Un altro prezioso appuntamento culturale dell’Ambasciata d’Italia a San Marino per la serie “maestri” dedicato, questa volta, a Giorgio La Pira. Sicuramente “un italiano illustre”, dalla personalità controversa perché fuori da ogni schema, un esempio tra i più sintomatici del contributo dato dai cattolici italiani alla fase costituente dopo l’esperienza della lotta al Fascismo e della Resistenza. L’orizzonte da lui definito è quello garantito da una radicale filosofia del bene comune. Una visione del politico e della comunità sociale in cui il fine della società non è il bene individuale, né la loro sommatoria. Il bene comune, infatti, è un fine e non solo il mezzo per la felicità dei singoli nella luce della fede.
A120 anni dalla nascita, l’Ambasciatore Fabrizio Colaceci ha invitato a parlarne ad una conferenza a lui dedicata: la professoressa Patrizia Giunti, presidente della Fondazione La Pira, titolare della cattedra di diritto romano alla facoltà di Giurisprudenza dell’università di Firenze e docente alla Lateranense; e lo scrittore, giornalista Alberto Mattioli. A condurre il dibattito, il professor Renato di Nubila. In platea, il Vescovo Domenico Beneventi e il Vescovo emerito Andrea Turazzi. I saluti istituzionali affidati al Segretario di Stato Teodoro Lonfernini.
Perché parlare di La Pira in un’epoca in cui molti dei suoi ideali: la democrazia, la giustizia, la pace, sembrano falliti o estinti? La risposta è venuta dai diversi oratori nel tratteggio di una biografia che è una specie di caleidoscopio, dove ogni aspetto, ogni elemento ha come elemento comune la fede. È questa la cifra della sua intera esistenza.
Da qui nascono i principi fondamentali della Costituzione italiana, di cui egli firmò il secondo articolo. Giorgio La Pira, infatti, fu certamente tra le intelligenze più attive di quella fase post-fascista e apprezzato componente dalla Commissione dei Settantacinque chiamata a redigere il “testo base”, con il significativo incarico di relatore alla Prima Sottocommissione dedicata ai “Diritti e doveri dei cittadini”.
Fu eletto sindaco di Firenze nel 1951 (fu rieletto per altri due mandati) e, di fronte ad una città distrutta dalla guerra, si fece protagonista della ricostruzione, con una speciale attenzione a chi una casa non ce l’aveva, e verso la classe operaia. Quando la officine Pignone rischiarono di chiudere perché era finita la committenza bellica, La Pira fece cambiare il progetto produttivo e lo presentò a Enrico Mattei, salvando migliaia di operai dal licenziamento. Con La Pira, Firenze si gemellò con Filadelfia, Kiev, Kyoto, Fez e Reims. Il segretario generale dell’ONU U Thant e l’architetto Le Corbusier vennero nominati cittadini onorari. Nel 1958 ricevette a Palazzo Vecchio un rappresentante del governo di Pechino. Nel pieno della guerra fredda, Firenze era diventata il centro del mondo.
Nel 1965, in veste di Deputato, si recò in Vietnam per incontrare di persona Ho Chi Minh e lavorare insieme a una bozza di accordo bilaterale, che sarà rifiutata l’anno dopo. Il destino volle che 8 anni più tardi, la pace in Vietnam si raggiunse negli stessi termini individuati da La Pira. E mentre nessuno parlava con la Russia, lui si recò anche al Cremlino per cercare di aprire un nuovo dialogo.
Ma la sua grande visione di pace fu anche la sua condanna, perché fu definito un “visionario” seguace di utopie. Un appellativo che gli si cucì addosso come un manifesto. Riscosse l’opposizione di tutti. Il viaggio diplomatico ad Hanoi: era andato troppo oltre. Per i suoi interventi a favore degli operai fu accusato di statalismo, di “comunismo bianco” e peggio ancora di “marxismo spurio”. Si difese scrivendo a Paolo VI: “Non sono un visionario, ma un misuratore del reale”. Per questo era convinto che la pace si potesse costruire solo con un negoziato, non con l’investimento militare. Convinzione che oggi è attuale più che mai.
La Pira non prese mai la tessera della DC, per questo era considerato “incontrollabile”. Ma lui affermava che il suo capo era Dio e solo a lui doveva rendere conto. Non era nato cattolico, né praticante, ma quando si convertì rimase sempre aderente al Vangelo. Tuttavia, all’uomo di fede non bastava pregare, bisognava agire. E così fece La Pira, allineando la concezione dell’umano e della sua dignità ai principi del liberalismo democratico. Quella grandezza umana, politica, religiosa, che sempre lo contraddistinse, e la sua visione laica dell’architettura dello Stato, non gli furono riconosciute in vita. Eppure, oggi erompono in tutta la loro sconvolgente emergenza.
Angela Venturini