Gentile Orietta Ceccoli,
non credo che sia buon metodo di dialogo riportare le posizioni altrui in modo distorto o confuso, tra l’altro perché quanto affermo nell’articolo mi pare vada in parte nella direzione da lei auspicata.
Del resto chi mi conosce sa bene quanto affermo, e le mie frequentazioni con le realtà del FAFCE (Federazione delle Associazioni Cattoliche in Europa) e di 40 days for life (di cui ho dato relazione anche in vari articoli da me scritti) indicano con chiarezza la linea che sostengo (e che mi pare emerga anche dalla mia risposta a Spadoni).
Riporto quanto condiviso con il Coordinamento delle Associazioni laicali e inviato a tutti i partiti in occasione delle ultime elezioni qui in Repubblica: «Anche San Marino deve incamminarsi sulla medesima strada, studiando le riforme legislative più adeguate alla nostra realtà e vivendo questo percorso come un investimento necessario per il futuro del nostro paese.
Possiamo dire che l’arma vincente in tutte le realtà sopra citate è stata la determinazione di partire dal bisogno del bambino di vivere – come da dettato naturale – i primi momenti della vita e tutto il primo anno nella simbiosi iniziale e poi nell’empatia delle cure materne. A questo fine in Germania è stata assicurata alla mamma la possibilità di una aspettativa ragionevolmente retribuita, per un periodo di tre anni rinnovabili, mentre vengono conservati il posto di lavoro e le possibilità di carriera della donna al rientro nell’attività lavorativa. In Francia l’aspettativa per maternità viene garantita per due anni, è retribuita e prevede la copertura dei contributi previdenziali onde non avere, al momento del rientro in attività, interruzioni di carriera.
In sostanza, una donna non deve rinunciare ad essere madre perché ha bisogno di lavorare, rimandando magari al futuro un desiderio che in età più avanzata potrebbe non più realizzarsi.
E’ stato dimostrato che leggi scritte non nel solco dell’ideologia ma tenendo conto semplicemente del Bene Comune, ispirate al bisogno dei più fragili e piccoli – importanti perché garanti di un futuro – si rivelano oggi leggi fondamentali alla costruzione di comunità più civili e umane.
E tale esperienza comprova che il bene delle famiglie è anche il bene delle comunità.
Inoltre, la famiglia ha un insostituibile ruolo di “ammortizzatore sociale” nell’assistenza agli anziani, ai malati, ai soggetti più fragili della società.
Il suo ruolo va valorizzato anche perché l’aiuto che può dare la famiglia nella tutela di tali soggetti è assolutamente insostituibile: si tratta di un dono che la famiglia fa all’intera società.»
Mi pare che la linea da sempre affermata per rispondere alla sfida dell’inverno demografico sia molto diversa dall’incremento della immigrazione.
Su questo tema credo sia utile un serio confronto, senza paraocchi né schematismi. Ne va il bene e il futuro della nostra Repubblica, che potrebbe (come spesso da me ricordato) diventare quello che per sua vocazione le appartiene, essere faro di civiltà e di benessere sociale. Questo possono i piccoli stati, se rimangono grandi nel cuore e negli ideali.
Non me ne vorrà Francesca Busignani se riporto quanto le ho scritto in risposta al suo intervento sulla difesa della natalità e maternità, perché ho espresso quanto da me sempre ritenuto valido: «Da un lato, è evidente che per affrontare la questione della natalità (e dell’inverno demografico) non basta auspicare maggiori risorse o tentare con pannicelli caldi di risolvere la questione. Nel mondo ci sono esperienze (Francia, Germania, Polonia, Ungheria, Trentino) che mostrano soluzioni vincenti al problema: si tratta di non danneggiare la madre che desidera accompagnare la crescita del figlio o dei figli consentendo un tempo adeguato (e non penalizzante per la carriera) per l’accudimento (e l’educazione) dei figli stessi.
Dall’altro è chiaro che una legge che fa dell’aborto un diritto e una conquista, addirittura da inserire nelle carte costituzionali dei singoli stati, è frutto di una cultura contro la vita non potrà mai favorire la maternità, ed è essa stessa all’origine di quell’inverno demografico deprecato a parole ma sostenuto nei fatti e nei provvedimenti.
Avevo già notato la posizione [da lei] espressa a proposito della penalizzazione della maternità, là dove non si interviene con modifiche sostanziali in ordine al periodo della crescita dei figli e al rispetto della progressione di carriera (che ha conseguenze devastanti in ordine alla pensione).
Credo che sia necessario un lavoro comune che abbia sia la dimensione culturale per la difesa della maternità sia la preoccupazione di suggerire interventi legislativi adeguati.»
Questo per riprendere un confronto che mi pare urgente e necessario, e che non ha come protagonisti solo alcune parti contrapposte (laici contro credenti) ma riguarda tutti noi, senza ottocenteschi schieramenti e opposizioni.
Al confronto sono sempre aperto, e mi pare che lo sia anche lei, per tutte le volte che l’ho vista partecipare ad incontri pubblici «di parte».
don Gabriele Mangiarotti