San Marino. “LGBTombola”? No, grazie. Anche a San Marino preferisco l’ambo “classico”… Quando l’ossessione per le etichette “inquina” pure il Natale … di Enrico Lazzari

Tenetevi forte, perché la “modernità” ha bussato alle porte del Titano, di Santa Mustiola per la precisione. E non ha bussato con discrezione, ma con il solito bagaglio di sigle, bandiere e retorica arcobaleno. Stasera, al “Bar del Posto”, va in scena la “Festa di Natale con LGBTombola”, organizzata dall’Associazione 121.

Ora, io sarò vecchio, sarò un boomer, sarò quello che volete. Ma nella mia ingenuità pensavo che la Tombola fosse l’unico momento dell’anno in cui le uniche “palline” che contano fossero quelle col numero sopra, da estrarre dal sacchetto. Pensavo che l’unica ansia fosse quella di non avere il fagiolo secco per coprire il numero 90 (la Paura). E invece no. Anche il gioco più banale e tradizionale del mondo deve essere “brandizzato”, etichettato, sessualizzato, politicizzato… Non basta fare una tombola tutti insieme. No, bisogna farla LGBT.

E qui casca l’asino (o l’unicorno non binario, per essere inclusivi). La mia posizione è semplice e cristallina: massima libertà per tutti. Ognuno, dentro le mura di casa sua, nella sua vita, nella sua sessualità ha il sacrosanto diritto di amare chi vuole, di sentirsi chi vuole, di identificarsi come vuole. Che siate gay, etero, trans, pansessuali, fluidi o che vi sentiate degli elefanti obesi intrappolati nel corpo di un ragioniere, per me pari sono. Avete il mio rispetto e il diritto alla vostra felicità.

Ma c’è un “ma”. Ed è grosso come una casa. Queste iniziative, che sulla carta vorrebbero “includere”, in realtà fanno l’esatto opposto: dividono. Creano recinti. Perché se organizzi o intitoli una serata specifica per una categoria, stai implicitamente dicendo che quella categoria è “diversa”, “speciale”, “a parte”. La vera integrazione, quella intelligente, sarebbe sedersi tutti allo stesso tavolo, etero e gay, e imprecare insieme perché non esce mai il numero 77 (le gambe delle donne, o degli uomini, o di chi vi pare). Invece no. Ci si sente in dovere di sottolineare la differenza, di ostentarla.

In Europa, nella mia  Italia, nella vostra San Marino si è ormai caduti con mani e piedi in quella che chiamo la “deriva woke” de noantri. Una retorica pura dove l’eterosessuale, zitto e buono, inizia a sentirsi quasi in colpa per essere, banalmente, “tradizionalista”. Sembra che se non hai almeno una lettera dell’alfabeto LGBT+XYZ appiccicata addosso, tu sia noioso, o peggio, un repressore. È la santificazione delle minoranze e la demonizzazione silenziosa della normalità (intesa in senso statistico, non come giudizio morale).

Il risultato? Invece di combattere la discriminazione, la si alimenta. Perché a forza di dire “guardatemi, sono diverso, sono speciale, faccio la tombola arcobaleno”, la gente inizia a vederti davvero solo come “quello diverso”. È un autogol clamoroso. Si parte con la LGBTombola e si finisce – come purtroppo già accade altrove – con l’assurdità degli asili che vogliono educare i bimbi di tre anni alla “fluidità sessuale” prima ancora che abbiano imparato a non farsi la pipì addosso.

Quindi, cari amici e amiche dell’Associazione 121, giocate pure. Divertitevi. Ma permettetemi di dire che questa ossessione per le etichette ha stancato. Io – oltre alla mia Italia – sogno una San Marino dove non servano prefissi “LGBT” davanti alle cose per sentirsi moderni. Sogno un Paese dove tanto l’amore quanto la sessualità siano una cosa privata, bellissima e libera, e non un patentino da esibire per organizzare una serata al bar.

Stasera, se permettete, io gioco a Tombola altrove. Senza aggettivi. E spero di vincere il prosciutto, senza dovermi chiedere se il maiale, in vita, si identificasse come una gallina…

Enrico Lazzari