È sempre apparsa come una grande ammalata, la PA, affetta da indeterminatezza e contraddittorietà delle sue funzioni. Difetti, che insieme al clientelismo elettorale, hanno portato alla elefantiasi e a un immobilismo di sistema difficilissimi da curare. Mali antichi, che si sono incancreniti nel tempo e che rischiano di diventare un vero e proprio freno a quel progetto di sviluppo e di modernizzazione dello Stato e dell’economia, sempre più imprescindibile.
La pubblica amministrazione è il braccio esecutivo del potere politico (inteso, è bene chiarirlo subito, come potere di governo della cosa pubblica e non come focolaio di intrighi); è lo strumento fondamentale di cui il potere politico, come delegato della collettività (così avviene nei regimi democratici), si avvale per realizzare i fini della collettività stessa; è l’apparato che con i suoi organi centrali e periferici assicura, o dovrebbe assicurare, i servizi indivisibili necessari e quei servizi che, per la loro natura, non possono essere affidati ai privati.
Quindi, la PA è una funzione essenziale, anzi vitale, per il buon funzionamento dello Stato. In questa legislatura, nonostante l’emergenza pandemica che sta tuttora assorbendo gran parte delle energie e delle risorse, il governo si è posto l’obiettivo di uscire dal labirinto della PA, procedendo per passi successivi, ogni volta esaminati, confrontati e condivisi con gli stessi operatori pubblici, che da anni vivono essi stessi un disagio e che quindi conoscono molto bene le problematiche.
Si parla quindi di accorpamento e ridistribuzione delle funzioni tra i diversi settori, per evitare un’eccessiva parcellizzazione delle strutture. Più terra a terra: settori che hanno un dirigente per quattro o cinque dipendenti, altri che ne hanno decine con più funzioni anche molto complesse e un solo dirigente, evidenziano una certa disparità, che non aiuta la serenità del clima. In ogni caso, ogni progetto di accorpamento prevede uno studio approfondito sulle affinità, le compatibilità, la similarità professionale, che sono condizioni imprescindibili. Per intenderci: un ragioniere è un ragioniere in qualsiasi dipartimento, altrettanto un esperto informatico, e così via. Ovviamente, in tutto questo processo bisogna prevedere lo snellimento delle procedure amministrative e il superamento delle questioni finanziarie.
In questa direzione va l’accorpamento tra le Poste e l’Ufficio Filatelico Numismatico, preceduto da un approfondito studio di fattibilità e di indirizzo politico da perseguire, mentre gli aspetti legati al personale dovranno essere confrontati con il sindacato. Se n’è parlato diffusamente questi giorni ma, a scanso di critiche, specifichiamo ulteriormente che non si parla di privatizzazione delle Poste, né di esternalizzazione del servizio, perché le Poste rimangono comunque un ente a partecipazione statale.
Su queste linee di indirizzo si muovono anche il decreto 213, appena approvato in Consiglio, e il PDL sull’Avvocatura dello Stato. Entrambi, nell’ottica dell’accorpamento e della ridistribuzione delle funzioni del settore pubblico allargato per ottimizzare, snellire e (aspetto non secondario) razionalizzare, ovvero ridurre, la spesa corrente.
Direttamente collegato al decreto sugli accorpamenti, quello più immediato riguarda la Segreteria Esecutiva con la Segreteria Istituzionale, al cui interno viene creata una sezione legata agli studi legislativi, la quale viene tolta quindi all’Avvocatura. L’innovazione accoglie una richiesta avanzata dai gruppi consiliari già in sede di commissione, per lavorare ai cosiddetti testi unici e contemporaneamente diventare un punto di riferimento a livello legislativo, quindi poter avere dei modelli da mettere a disposizione del legislatore.
Sempre nel decreto 213, è inserita la creazione di un nuovo istituto, detto delle posizioni organizzative, che servirà a superare progressivamente il profilo di ruolo dei responsabili PA, per offrire maggiore flessibilità e autonomia alla struttura. Si tratta in sostanza di dare ai dirigenti la possibilità di poter scegliere le figure professionali più consone a raggiungere quegli obiettivi per cui ogni anno, i dirigenti stessi, verranno valutati.
C’è poi contenuto nel testo del decreto, l’indirizzo politico per la centralizzazione della gestione del personale, una funzione che oggi è disseminata un po’ in tutti i dipartimenti. È il concetto di cui parlavamo poco sopra. L’intenzione è di attualizzare questo percorso nei prossimi mesi, con le necessarie deliberazioni.
L’Avvocatura dello Stato, in difficoltà ormai cronica, diventa oggi una struttura extra dipartimentale con maggiore autonomia, oltre tutto alleggerita delle funzioni non proprie, attraverso un apposito pdl. Lavorerà in stretta sinergia con il Congresso e con il Consiglio in termini di rendicontazione delle proprie attività a livello annuale. Il dirigente dell’avvocatura sarà l’avvocato generale dello Stato.
Sono interventi che cambiano la struttura e l’organizzazione della PA e puntano ad ottimizzare la spesa corrente, tuttavia hanno scatenato le reazioni violente delle opposizioni e perfino del sindacato. Nei numerosi comunicati che si sono succeduti in questi giorni, si obietta il tentativo di liberalizzazione, di restaurazione (che parrebbe però il contrario), di permissività senza freni, di mancata condivisione, di venuta a meno di autorevolezza, eccetera, eccetera. A parte che per poter giudicare bisogna vedere quali effetti questi interventi andranno a provocare, ma sarebbe importante che, come ha già fatto gli Interni, anche gli altri soggetti andassero a parlare negli uffici con i dipendenti per avere una visione un po’ meno politicizzata di tutta la situazione.
a/f