Abraham Moles, nel 1967, faceva riferimento all’esistenza di più di 250 definizioni di cultura. Gli antropologi Kroeber e Kluckhohn tentarono di impostare una definizione di cultura di validità universale, ma registrarono circa 150 concezioni differenti.
Il termine, di origine latina, deriva dal verbo colere, che significa “coltivare” e veniva dunque impiegato per indicare qualsiasi manipolazione della natura ad opera dell’uomo. Ma anche oggi si intende come l’insieme dei sensi operativi, legati al lavoro agricolo ed ai suoi risultati o all’allevamento di microrganismi (la cultura o coltura dei virus, della vite, dell’olivo, eccetera).
I latini utilizzavano questo termine non solo per indicare tale rapporto tra la natura e l’uomo ma anche insieme al termine anima per indicare il processo di coltivazione, ossia di educazione, della propria anima. Così come si coltiva la terra, la cultura indica quindi un processo di coltivazione dell’uomo attraverso tutta una serie di procedimenti e di processi di apprendimento (cultura animi). Inoltre l’aggettivo cultus (l’etimologia è analoga) stava a designare tutto ciò che si rivelava curato, lavorato, coltivato e s’oppone quindi agli aggettivi silvester o neglectus. Da qui il termine culto, che viene utilizzato per tutte quelle situazioni che richiedono una cura assidua: verso gli dei o verso l’essere umano.
Non a caso, anche oggi, tutto fa cultura: la fiera di paese, un concerto rock, la sagra dei maccheroni, l’artista di strada e mille altre cose. Ma c’è anche un tipo di cultura intesa come attività intellettuale superiore, che si rifà al complesso delle conoscenze intellettuali e delle nozioni, che contribuisce alla formazione della personalità. In sostanza va ad indicare quel patrimonio di conoscenze di cui una persona si è impadronita e può essere accostato al termine greco paidéia e al latino humanitas: il primo indica il modello educativo in vigore nell’Atene classica, mentre con il secondo si intende una concezione etica basata sull’ideale di un’umanità positiva, fiduciosa nelle proprie capacità, sensibile e attenta ai valori interpersonali e ai sentimenti.
La cultura, dunque, ha un immenso valore, è una vera e propria ricchezza intesa nella pienezza semantica del termine. Oltre a contribuire in misura determinante alla formazione della personalità umana, essa può divenire una fonte inesauribile di prosperità, sia per la persona, sia per chi “produce” cultura.
Abbiamo ritenuta doverosa questa premessa perché da qualche tempo di parla di un “polo museale” con l’individuazione di nuovi spazi per rilanciare l’offerta culturale della Repubblica. Idea nobile e obiettivo splendido, che ha anche una grande valenza economica, al cui interno ritroviamo però alcune stonature.
Dice giustamente il Segretario di Stato Andrea Belluzzi: “ … la cultura ha la necessità di uscire dalla mera funzione conservativa, che è fondamentale e verrà implementata a livello di strutture, attività di tutela e restauro, e partecipare invece alla costruzione dell’offerta turistica e non solo del Paese, attivando quindi anche le funzioni riguardanti la promozione di ciò che custodisce e di ciò che organizza, come ad esempio saranno le mostre temporanee che ciclicamente dovranno presentarsi nei diversi spazi.” (fonte San Marino Fixing).
Cosa c’entra tutto ciò con l’idea di un “Museo della Repubblica” da realizzare nell’attuale sede centrale della Cassa di Risparmio, che verrà spostata altrove? Il Museo di Stato non è già un museo della Repubblica? Lì sono già esposti i documenti, le opere d’arte, i reperti archeologici e le donazioni, che costruiscono il percorso storico di San Marino, illustrano le sue millenarie tradizioni, ne tratteggiano la sua più profonda identità. A molti cittadini pertanto è rimasto davvero incomprensibile il significato di un “nuovo museo della Repubblica”.
Ottima l’idea di collegare gli spazi Carisp con le cisterne del Pianello, che già di per sé possono costituire una grande attrazione culturale. Oltre tutto, queste strutture si trovano nelle immediate vicinanze della bellissima Galleria di arte moderna, allestita in quelle che una volta si chiamavano le Logge dei Balestrieri. Se questo dovrà essere il polo museale di Città, sarebbe davvero una bella cosa. L’importante, almeno per chi scrive, sarebbe non collegare il tutto con una sorta di ponte futuribile assolutamente stonato in un centro storico medievale (ricostruito, ma medievale) diventato patrimonio Unesco. Una sorta di protuberanza che andrebbe ad inserirsi come una brutta proboscide nell’immagine della capitale.
Ci riferiamo al famoso progetto di Tadao Ando, arrivato a San Marino nel 2012, bloccato nel 2016 perché non si sono trovati investitori, ripescato nel 2018 in mezzo a una valanga di critiche e poi finito in nulla.
In conclusione, bene l’idea degli spazi da recuperare e riorganizzare. Ma c’è molto da fare, a nostro avviso, per recuperare la ricchezza del concetto semantico di cultura. Non c’è da inventare nulla: in passato sono state allestite delle mostre di arte moderna di così alto livello che hanno proiettato San Marino su scala mondiale. L’attuale patrimonio artistico della Galleria di Arte Moderna è frutto di quel progetto, che potrebbe essere validamente rivisitato. Poi c’è tutta l’arte antica, quella medievale, quella rinascimentale, quella barocca, quella impressionista, eccetera, eccetera, a cui San Marino può attingere grazie alla collaborazione e sinergia con altri musei, che hanno i magazzini pieni e spazi espositivi ridotti. Non dovrebbe essere così difficile recuperare l’idea delle “grandi mostre” per attirare, compiacere e stupire di bellezza l’ormai disincantato turista moderno.
a/f