San Marino. L’invasione delle nanoplastiche: dalla borsina della spesa, al bagno schiuma, al mare, al pesce che mettiamo nel piatto … di Alberto Forcellini

Scampi alla griglia in plastica, zuppa di scorfano alla plastica, acciughe e sgombri al forno con plastica. Come cambia il nostro menù in base ai risultati della ricerca scientifica sulla presenza di microplastiche nei pesci: c’è plastica in ogni pesce che mangiamo! Un recente studio universitario ha confermato che i frutti di mare e il pesce sono tra gli alimenti che contengono maggiori quantità di microplastiche. Le più “inquinate” sono le sardine e le frequenze maggiori di ingestione sono state trovate nei pesci provenienti dalle isole dell’Arcipelago Toscano, nell’area del Santuario dei Cetacei.

Le cause le conosciamo da tempo e trovano la loro ragione principale nell’uso smodato di plastica nel settore alimentare, nelle creme di bellezza, nei prodotti per il bagno e la doccia, e tanti altri prodotti quotidiani. Il loro non corretto smaltimento raggiunge i corsi d’acqua e, di conseguenza, arriva in mare. La decomposizione in parti sempre più piccole può quindi riflettersi nella presenza di microplastiche, minuscoli pezzi di plastica di lunghezza inferiore ai 5 millimetri, e nano plastiche (molecole ancora più piccole) che entrano nella catena alimentare dalla fauna ittica e di qui nel cibo che mangiamo tutti i giorni. Numerosi studi hanno rilevato una preoccupante quantità di microplastiche nell’acqua in bottiglia, nel sale, nella birra, nello zucchero e nel pesce, come dicevamo.

“Potremmo ingerire circa 0,7 mg di plastica quando mangiamo una porzione media di ostriche o calamari, e fino a 30 mg di plastica quando mangiamo un piatto di sardine” spiegano gli studiosi. Si sappia che 30 mg è il peso di un chicco di riso, dunque qualcuno potrebbe sottovalutare i rischi di tutto ciò. A lungo andare, però, i pericoli per la salute possono diventare concreti, anche considerando che i frutti di mare e il pesce non sono gli unici alimenti contenenti microplastiche o nanoplastiche.

Come fanno queste particelle dannose a depositarsi sui cibi? Non esiste una risposta univoca. Può essere colpa dei processi di lavorazione e di trasporto, oppure degli imballaggi. Le microplastiche, fanno notare gli esperti, possono attaccarsi ai frutti di mare anche tramite particelle sospese in aria. Inoltre gioca un ruolo chiave l’inquinamento degli oceani e dei mari, dove la presenza di plastica non accenna a diminuire.

Sono state trovate nanoplastiche anche nei vegetali e disperse nell’ambiente. Nulla di sorprendente, perciò, che possono finire nel sangue ed entrare in circolazione nel corpo umano. Quella che prima era soltanto un’ipotesi di laboratorio è stata dimostrata recentemente da una ricerca condotta nei Paesi Bassi. I risultati, pubblicati sulla rivista “Environment International”, sono stati ottenuti dal gruppo di lavoro guidato dal Professor ed ecotossicologo Dick Vethaak. Una scoperta che, per quanto gli effetti sulla salute umana siano ancora sconosciuti, merita certamente approfondimenti, in particolare sul possibile passaggio dei frammenti di plastica dal sangue agli organi.

La contaminazione dell’ambiente con materie plastiche intere o parti di esse (micro e nanoplastiche) è al giorno d’oggi oggetto di ampie discussioni nel mondo accademico e dei media. Il consumo di cibo è considerato una delle vie più significative di esposizione umana a queste piccole particelle di plastica. Tali preoccupazioni possono derivare non solo dall’esposizione ai monomeri reattivi nella struttura polimerica altrimenti biologicamente inerte, ma anche dai loro contaminanti associati.

Nell’ultimo mezzo secolo, il volume di materie plastiche prodotte ogni anno è costantemente aumentato. Questo indica una forte domanda di materie plastiche, che può essere visto nella vasta gamma di applicazioni per questi materiali nella vita quotidiana.

L’uso più comune della plastica è nel packaging (circa il 40%), seguito dal loro uso nell’edilizia, nell’industria automobilistica, nell’elettronica e nei materiali domestici. Tale utilizzo è incentivato dal loro basso costo e dalle loro caratteristiche vantaggiose, tra cui la malleabilità, il peso leggero e le proprietà di barriera al gas (quest’ultima caratteristica favorisce in particolare anche il loro uso nell’industria alimentare). Tuttavia, le stesse proprietà li rendono anche meno soggetti al degrado, aumentando così la loro persistenza nell’ambiente, con potenziali conseguenze non solo per la sostenibilità ambientale, ma anche per la sicurezza alimentare e la salute pubblica.

Ogni minuto, l’equivalente di un camion pieno di plastica finisce negli oceani, provocando la morte di tartarughe, uccelli, pesci, balene e delfini, fino ad arrivare nei nostri piatti!

Plastica monouso che galleggia a vista d’occhio e si deposita nei fondali, insieme a microplastiche invisibili contenute in tutto ciò che usiamo quotidianamente. Ma il mare non è una discarica! Non possiamo più permetterci prodotti progettati per inquinarlo. Il mare non è una discarica, bisogna proteggerlo: è un dovere di tutti, anche di chi abita lontano dal mare.

a/f