San Marino. L’inverno demografico: le conseguenze si sentiranno sul welfare, sul sistema economico e soprattutto su quello scolastico … di Alberto Forcellini

È di qualche giorno fa l’annuncio del Segretario alla Pubblica Istruzione sulla necessità di ripensare il modello scolastico impostato su un plesso per ogni Castello. Ci sono sempre meno bambini, come raccontano dati inesorabili, per altro simili a quelli italiani ed europei. Ne ha parlato ieri con toni accorati anche il Presidente Mattarella agli Stati Generali della natalità.

A San Marino, dagli oltre 300 nati di media annuale si sta scendendo sotto i 200. Nel primo trimestre di quest’anno, si sono registrate 12 unità in meno rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, in cui si era già visto un calo evidente.

Il tasso di natalità è da anni in riduzione, anzi, ormai è in decisa caduta libera. Inevitabili le conseguenze sulla scuola perché l’onda lunga della riduzione di nascite sta portando a un numero progressivamente in calo di iscrizioni degli alunni. Il primo effetto si vede già a livello di scuola materna ed elementare. È destino che si ripercuoterà sulle medie, fino alle superiori.

Gli esperti parlano di una “transizione demografica” la cui portata e pervasività, soprattutto se confrontata con gli stessi fenomeni che avvengono contemporaneamente in altri paesi europei, è tale da impattare in maniera significativa sia sul sistema di welfare, sia sull’assetto produttivo ed il mondo economico in generale, oltre che come già detto sul sistema scolastico.

Il “declino” demografico in atto e i conseguenti livelli preoccupanti di invecchiamento progressivo della popolazione, purtroppo non sono temi che rimangono a lungo nel dibattito pubblico e nell’agenda delle forze politiche, pur rappresentando uno dei fenomeni strutturali più studiati e su cui è (relativamente) più semplice fare previsioni. E anche quando questi fenomeni emergono nel dibattito pubblico appare ben poco diffusa la consapevolezza del ruolo che rivestono e della loro interdipendenza con i fenomeni socio-economici, così come dell’importanza di politiche che tengano conto della loro rilevanza.

Le cause della denatalità sono da attribuire ad una serie di fattori che si intrecciano e si rinforzano causando una spirale negativa. Un “inverno demografico” più che evidente, anche se spesso sottovalutato o accettato con fatalistica rassegnazione.

Tra gli aspetti fondamentali che contribuiscono al calo delle nascite ci sono sicuramente fattori sistemici. Alcuni studiosi pongono l’accento sulle cause più antropologiche: è un problema di dittatura dell’io. Una società che non sa più dire “noi” non fa figli. Lo stesso Papa Francesco lo ha denunciato non molto tempo fa, con parole molto dure: “Tante coppie non hanno figli perché non vogliono o ne hanno soltanto uno perché non ne vogliono altri, ma hanno due cani, due gatti. Eh sì, cani e gatti occupano il posto dei figli”. Quanto abbia ragione lo dimostra la proliferazione di aziende che commercializzano pet food, abbigliamento per animali, saloni di bellezza e cure estetiche, perfino passeggini per portare a spasso l’amico a quattro zampe.

Alla radice del problema c’è una mancanza di visione del futuro e un tipo di approccio alla vita molto diverso da quello delle generazioni passate. Ormai c’è la piena consapevolezza che per riempire le culle non bastano asili nido gratis. Bisogna lavorare sul tessuto sociale e ricostruire un’idea di comunità. Le culle sempre più vuote sono il risultato di un Paese impaurito, ripiegato sul presente, incapace di pensare al futuro. La pandemia ha acuito ulteriormente le paure già presenti e ne ha aggiunto di nuove. Poi è arrivata anche la guerra.

Non si può fare finta di niente perché sta andando in crisi l’approccio finora riservato al nostro modello di società. Soprattutto quello scolastico. Se un tempo bisognava risolvere il problema delle “classi pollaio” oggi c’è quello delle classi vuote. È importante che il Segretario di Stato abbia dato il via al ragionamento e al confronto con un gruppo di lavoro che studia non solo i numeri, ma anche il modello pedagogico perché classi con pochi bambini non sono necessariamente le migliori. Fuori confine, le classi con un numero inferiore di studenti sono generalmente le più ambite, specialmente dai genitori. Questo perché gli insegnanti possono prestare maggiore attenzione a ciascun alunno e gestire la classe al meglio. Pertanto, molti Paesi limitano a circa 30 il numero massimo di alunni per ciascuna classe. A San Marino, classi così numerose non ci sono state mai state, neppure negli anni immediati del dopo guerra quando le famiglie avevano anche 10 o 15 figli.

La probabilità di accentrare la scuola elementare in due punti baricentrici rispetto all’estensione del territorio è il primo punto da cui far partire il confronto con i Castelli e con le famiglie. Si parla di una previsione da realizzare fra 15 anni. Ci sarà tutto il tempo anche di bisticciare fra forze politiche che hanno un’altra visione, ma l’importante è cominciare a lavorare.

a/f