San Marino, la Serenissima Repubblica abbarbicata sul Monte Titano, ha sempre sventolato la bandiera della resilienza, un fazzoletto di terra che per secoli ha detto “no grazie” a chiunque volesse metterci sopra le mani. Ma oggi, signori miei, il nemico non arriva più con spade e cannoni: si presenta come il vicino di casa disponibile, si infiltra come un hacker, si accomoda, addirittura, tra i caveau delle banche, con la cravatta ben annodata e un ghigno da padrone feudale.

Sì, oggi parliamo di banche e banchieri… Non di quelli del CIS e di una Banca Centrale ormai, per fortuna, riportata al suo dovere – non mi va di rovinarmi il fegato anche oggi – ma di quelle che in questo nuovo decennio, dopo aver spremuto le casse pubbliche per garantirsi la sopravvivenza, dovevano essere il motore dell’economia e, invece, si sono trasformate in un club esclusivo di signorotti che decidono chi merita un conto corrente e chi no, con la grazia di un buttafuori che ti guarda le scarpe e l’elastico delle mutande prima di lasciarti entrare in discoteca.
Mentre il mondo sfreccia verso il futuro, così, San Marino resta fermo al palo, impantanato in un sistema bancario che sembra un reliquiato medievale, dove per aprire un conto non basta neppure un’otra di sesterzi d’oro… E neppure un forziere sottratto a Capitan Uncino se sei un’impresa, soprattutto se straniera e, Dio non voglia, una startup tecnologica. Per queste ottenere un C/C a San Marino diventa un’odissea degna di Ulisse.
Non è un mistero per nessuno. Negli ultimi anni, il Titano ha assistito a un esodo silenzioso ma devastante: aziende pronte a investire, a creare lavoro, a pompare ossigeno in un’economia che respira a stento, a rimpinguare le casse pubbliche, si sono viste mostrare la porta dalle banche private con un secco “Non ci piaci, Ciccio, vai da un’altra parte”. E via, sogni, opportunità e, soprattutto, soldi scaraventati giù dal monte.
I cittadini privati? Quelli, per carità, un conto lo ottengono senza troppe storie, magari dopo una telefonata all’amico che hanno votato nel giugno dello scorso anno, ma guai a essere un investitore straniero o una startup con idee brillanti: lì scatta il veto, come se San Marino potesse permettersi il lusso di fare lo schizzinoso.
Il risultato, ovviamente, è un disastro prevedibile: investimenti che svaniscono, serrande già oliate ma che non si alzano e un debito pubblico miliardario – gentile omaggio del governo Adesso.sm del decennio scorso – che ride in faccia a un Paese senza entrate fiscali sufficienti per pagarlo, tanto da rendere indispensabile una riforma IGR da una ventina di milioni di gettito extra.
Intanto, l’Italia, la vostra cugina caotica che di solito guardate dall’alto della Terza Torre, con “sufficienza”, vi anticipa con una legge che garantisce conti correnti a tutti (tranne che a riciclatori e terroristi, ovviamente). Semplice, efficace, quasi banale. Qui in Repubblica? Fantascienza…
Per fortuna, in questo vostro panorama desolante spunta Luca Della Balda, consigliere di Libera, che con un megafono in mano urla ancora una volta – lo ha fatto anche in passato – un’ovvietà che la politica sammarinese avrebbe dovuto tatuarsi in fronte anni fa: “Non si vive senza un conto corrente!”. Applausi, Luca, hai riprovato a far scoprire l’acqua calda, ma ora devi portarla ad ebollizione, devi farla bollire. La crociata del consigliere di sinistra per sensibilizzare sul tema è un barlume di speranza in un’aula consigliare abituata a infilare la testa sotto la sabbia, come uno struzzo più pigro di un koala.
Ma, caro Della Balda – come ho già detto – non basta sventolare la bandiera dell’indignazione: ora devi prendere quel megafono e usarlo per radunare la truppa, scrivere una legge e trascinare il Consiglio Grande e Generale fuori dal letargo. Le chiacchiere, per quanto giuste, sono come un aperitivo senza cena: stuzzicano l’appetito, ma lasciano lo stomaco vuoto e un retrogusto amaro. Il modello italiano è lì, servito su un piatto d’argento: copialo, adattalo, fallo tuo. Non c’è bisogno di inventare la ruota, basta smettere di bucarla.
Il vero nodo, di tutto, anche di ciò, è uno sviluppo, una economia in rianimazione… Perché qui, parliamoci chiaro, non si tratta solo di diritti dei cittadini, che pure sono importanti, per carità, nessuno vuole elemosinare un conto per pagare le bollette. No, qui si parla di sopravvivenza economica. San Marino ha un debito pubblico che sembra il conto di un weekend al Cesar Palace di Las Vegas e, per saldarlo, servono soldi veri, non promesse elettorali. Soldi veri che arrivano da imprese, investitori, startup, soprattutto quelle tecnologiche, che sono il futuro mentre voi state ancora a lucidare le spade di luccicante ferro battuto e a contare i turisti col pallottoliere.
Ma cosa fanno, per lo sviluppo, le vostre banche? Trattano chi sale il Titano per investici come venditori porta a porta molesti: “No, grazie, non ci serve il suo denaro innovativo, torni pure a Milano o a Singapore”. Una follia che vi costa cara, perché ogni azienda respinta è un altro chiodo nella bara di un’economia immobile. Serve un sistema bancario che funzioni da trampolino, non da muro di gomma: conti aperti alle imprese senza isterismi, regole trasparenti e un bel “benvenuto” a chi porta idee e capitali, invece del solito “arrivederci e non si disturbi a tornare”.
San Marino, sveglia o game over… Il governo, quel carrozzone che passa più tempo a tagliar nastri che a tagliare i problemi – ma almeno questo, al contrario di qualche “sinistro” precedente, non ne crea di nuovi – deve aprire gli occhi. Subito. Basta lasciare alle banche il timone: lo Stato si riprenda il volante, imponga l’inclusione finanziaria per le imprese e metta fine a questo Far West in doppiopetto. Immaginate una San Marino dove una startup tecnologica non deve fare la danza della pioggia per aprire un conto, dove un investitore straniero non viene guardato come un marziano, dove l’economia corre invece di zoppicare… Non è un’utopia da sognatori, è una necessità urgente, ma bisogna muoversi e, ieri, era già tardi.
L’alternativa? Un declino lento e inesorabile, con i giovani che scappano, le imprese che salutano e il Titano ridotto a un museo di glorie passate, con le banche a fare da custodi di un tesoro di latta.
Della Balda, da un banco di maggioranza, ha riacceso i riflettori, ora il governo accenda il motore: porti in Consiglio, subito!, una legge che sblocchi questo disastro e dia una scossa al sistema.
Governo e consiglieri, smettetela di cincischiare come damigelle indecise: ogni giorno perso e un passo nel cammino di sola andata per il fallimento. Il Titano non merita di essere una comparsa in questa tragicommedia bancaria, ma il protagonista di una riscossa economica. Forza, muovetevi, o preparatevi a un finale degno di un film horror: San Marino, la Repubblica che disse “no” agli investitori e “sì” alla pensione, con le banche a suonare la marcia funebre e il debito a spegnere le luci.
Sipario? Non ancora, ma il pubblico sta già fischiando…
Enrico Lazzari