Finita l’emergenza sanitaria, sono tornati in piazza. Quasi una settimana fa, il primo sciopero post pandemico dei Fraiday for future, per il clima. Migliaia e migliaia di ragazzi, da Milano a Bari, attraverso tantissime altre città italiane, hanno issato cartelli, canti, slogan, proteste “non per chiedere il futuro, ma per riprenderselo”.
“Ci ribelliamo – hanno spiegato i manifestanti – a un sistema che allarga la forbice tra ricchi e poveri e faremo nomi e cognomi di chi compie crimini di guerra, crimini contro l’umanità. Lo diciamo da tre anni che bisogna cambiare paradigma, stravolgere il sistema, e che la crisi va risolta con gli stessi soldi di chi ci ha portato dentro”. Dito puntato sul tema energetico che, proprio con la guerra in Ucraina, è diventato ancora più centrale.
La guerra è sempre sbagliata e lo è ancor di più quando rischia di farci fare grandi passi indietro nella lotta al cambiamento climatico. Questo è quello che sta avvenendo con la guerra in Ucraina dove, oltre all’inconcepibile massacro di civili ed alla distruzione delle città, ci saranno conseguenze inimmaginabili sulle questioni climatiche. Soprattutto oggi, che ci troviamo già in una situazione di non ritorno per quanto riguarda il clima.
L’impatto ambientale delle guerre inizia molto prima che vengano lanciati gli effettivi attacchi con bombe e missili. Costruire e sostenere forze militari consuma quantità enormi di risorse: da acqua a idrocarburi, da metalli comuni a terre rare, come ittrio e terbio utilizzati per le armi nei veicoli da combattimento. Mezzi militari, aerei, navi e infrastrutture per addestramento richiedono energia, che per la maggior parte è data dal petrolio, con un’efficienza energetica molto bassa. Secondo il Conflict and Environment Observatory (CEOBS), un’organizzazione che mira a educare il pubblico sulle conseguenze ambientali e umanitarie delle forze armate, i militari fanno un uso massiccio di carburante per produrre l’energia utilizzata nelle basi militari, per alimentare le attrezzature militari e le navi da guerra.
Ma non è tutto: le armi e il materiale militare utilizzati durante i conflitti lasciano anche una sorta di eredità ambientale. Ancora oggi, dopo più di mezzo secolo dalla seconda guerra mondiale, mine antiuomo, munizioni a grappolo e altri residuati bellici esplosivi possono essere trovati in alcune parti d’Europa. Peggio ancora, la crisi energetica causata dalla dipendenza dal gas russo, sta inducendo molti paesi a riaprire le centrali a carbone, con ulteriore aggravio dell’inquinamento.
È un cane che si morde la cosa: il cambiamento climatico è sicuramente un moltiplicatore di minacce tra Stati ed il riscaldamento globale contribuirà a esacerbare emergenze economiche, sociali, politiche, di sicurezza e sanitarie, con ricadute negative soprattutto sui più poveri della popolazione globale. Inoltre, l’aumento della vulnerabilità climatica complessiva porterà ad un aumento dei processi migratori, per altro già in atto da tempo.
L’altro grandissimo pericolo ambientale ci viene dalla plastica. È un materiale che non si distrugge mai: si sgretola, sminuzza, parcellizza, fino a diventare microplastica, ovvero particelle grandi meno di un millimetro, che a loro volta si riducono ulteriormente in nanoplastiche con dimensione compresa tra 0,001 a 0,1 µm (cioè tra 0,000001 e 0,0001 millimetri). Le nanoplastiche sono simili al plancton, sono diventate nutrimento per i pesci e sono arrivate dovunque: dal Polo Nord al Polo Sud e perfino nell’apparato digerente e nell’apparato respiratorio umano. Insomma, ormai sono parte della catena alimentare e le mangiamo senza accorgercene.
Le nanoplastiche sono anche nelle stoviglie, nelle bottiglie e nei contenitori che si usano in casa, magari un po’ usurati, e che quindi vengono inglobate nei cibi. Uno studio rivela che mangiamo mediamente 5 grammi di plastica al giorno. È il peso equivalente di una carta di credito.
Le conseguenze sono allo studio dei ricercatori ma anche intuitivamente si può capire che possono danneggiare le cellule umane. L’ambiente permea tutto ciò che facciamo e tutto ciò che siamo. Oggi ne siamo davvero consapevoli. Bisogna avere anche la consapevolezza di comportarci di conseguenza. Come chiedono i ragazzi di Friday for future.
a/f