Il Paese galleggia nell’immobilismo in attesa delle riforme promesse e di quelle imposte dall’associazione all’Unione Europea, ammesso che si faccia.
Osservando il panorama politico del Paese, noto che negli ultimi decenni è prevalsa la tendenza a inventare gerarchie burocratiche e posti clientelari, nonché a creare disuguaglianze, complice una sinistra che ha rinunciato alla sua funzione storica di opporsi e di correggere le disuguaglianze e le evidenti forme di autoritarismo. Infatti, invece di promuovere la giustizia sociale attraverso una equa distribuzione dei redditi, e lo stato di diritto con la separazione e l’equilibrio dei poteri, ha condotto lotte per il potere, si è frazionata ed è diventata marginale.

La fase che attraversiamo è molto delicata e complessa per cui la sinistra non può aspettare altro tempo per unirsi. E’ urgente che raccolga la sfida, che scelga il cambiamento e che imbocchi decisamente la strada per attuare politiche riformatrici che realizzino lo stato di diritto e che consolidino lo stato sociale per un Paese più equo e più vivibile. Quando vedrà la mucca nella camera da letto sarà già troppo tardi.
Il nostro Paese è troppo fragile e in notevole ritardo rispetto alla modernità. Corre il rischio di associarsi all’Europa in condizioni precarie in quanto tra le politiche necessarie e quelle attuate da una dirigenza immobilista c’é un vero e proprio fossato.
Non si tiene conto che la popolazione invecchia e i giovani lasciano il Paese; che il sistema educativo è inadeguato; che la sanità non è impostata sulla prevenzione e continua a scivolare verso il privato; che la spesa corrente è fuori da ogni parametro; che la Pubblica Amministrazione è basata ancora sul cartaceo; che i ritardi della giustizia sono clamorosi; che il folle debito pubblico priva lo Stato di risorse enormi; che il sistema fiscale è ridotto ad un groviglio di norme dettate dal clientelismo e dall’incompetenza; che la pianificazione territoriale ha un ritardo di 23 anni (!)
Non sono queste le condizioni per affrontare la sfida internazionale.
Non è questo il tempo di rintanarsi nel privato, anzi è il momento di opporsi ad una politica debolissima e autoreferenziale che non ha più neppure il coraggio di presentarsi ai cittadini e tenta di professionalizzarsi nel Palazzo con la conseguente retribuzione. Un parlamentino di impiegati statali e disoccupati.
Una politica che teme il dibattito e il confronto e che chiede solo voti di preferenza al cittadino ogni 5 anni. Una politica senza visione, senza progetto, senza riforme, che vuole tenerci in casa scambiando due parole in famiglia e con qualche amico. Vuole tenerci impegnati per le incombenze quotidiane e farci seguire quello che passa la TV governativa o quella specie di informazione locale.
L’importante è che stiamo lontani dalla cosa pubblica, che ci lamentiamo con garbo e prudenza, che andiamo a bussare alle porte della casta, che accettiamo la nientocrazia in vigore.
Che non pretendiamo di togliere il segreto di stato al debito estero, di mettere fine alle residenze fasulle, di conoscere le mafie che insidiano il Paese con complici interni, di sapere i costi e i benefici dell’associazione all’Unione Europea, di sollecitare riforme istituzionali per realizzare lo stato di diritto, di capire come sarà risanato l’enorme buco della finanza pubblica, di quali infrastrutture sarà dotato il territorio, di avere un piano energetico, di impostare un piano casa che vada oltre l’emergenza, di ottenere una “giustizia giusta”, di elaborare un progetto di futuro.
Ma così la sfida del futuro è già persa.
Emilio Della Balda