San Marino. Un mare d’amore

Una famiglia numerosa di Sammarinesi decide di trascorrere una vacanza in barca a zonzo per il Mediterraneo.
A bordo salgono un uomo proprietario della barca, sua moglie, i loro genitori anziani e i loro giovani figli con i rispettivi coniugi.
Caricano carburante, acqua e viveri a bordo, sufficienti per un paio di settimane, controllano l’attrezzatura e finalmente partono da un porto a sud della Sicilia.
Il tempo è buono, il mare un tavola, e a bordo il tempo scorre in allegria.
Ad un certo punto il radar segnala la presenza di un “qualcosa” a poche miglia da lì.
Immediatamente tutti si attivano per dirigersi verso quel puntino e una volta raggiunto si trovano davanti uno spettacolo straziante. E’ un canottino alla deriva con a bordo alcune donne con diversi bambini.
Tutti ridotti male, ma per fortuna tutti vivi.
Immediatamente, scattano le operazioni di primo soccorso ed i naufraghi in un batter d’occhio vengono issati a bordo, asciugati, curati, dissetati e sfamati.
E’ con orgoglio che ora proseguono la navigazione.
Orgoglio per se stessi, per il loro piccolo ma immenso contributo, ma orgoglio anche per il proprio Paese che come ci insegna la Storia, ha sempre aiutato le persone in difficoltà.
Purtroppo percorse alcune miglia, ecco di nuovo quel maledetto radar, con quel maledetto puntino.
Lanciano l’S.O.S., che viene raccolto da navi italiane, al momento però impegnate in una complessa operazione di salvataggio, e quindi decidono di effettuare loro il soccorso.
Arrivati nel luogo segnalato dal radar, non trovano nessun natante, ma solo corpi in acqua, molti senza salvagente, altri aggrappati a galleggianti di fortuna, altri ancora in chiara difficoltà per non saper nuotare.
La loro imbarcazione, se così la possiamo definire, è colata a picco solo da pochi minuti.
Di nuovo, l’uomo e i suoi famigliari si lanciano senza esitare nell’opera di soccorso e cominciano ad issare persone a bordo.
Questa volta però non sono donne e bambini, ma ragazzi e uomini robusti e nel pieno delle forze, anche se provati dall’esperienza del naufragio.
Questo non frena certo il proprietario e i suoi famigliari che continuano ad issare persone a bordo, senza curarsi del fatto che il mare nel frattempo si è andato ingrossando.
i genitori più anziani, dopo un po’, cominciano ad osservare che la loro barca, ora, a fatica sopporta il carico e lo fanno presente sempre più insistentemente.
Ma niente, il proprietario, a ragione, non se la sente di smettere di salvare persone, e poi, come si fa a decidere quando basta? E decide di continuare.
E quindi, su altri sventurati, anche se sembrano non finire mai.
Il mare va ulteriormente peggiorando, il carico è già eccessivo per le capacità della barca. Cercano di farlo presente, ora, anche gli altri dell’equipaggio.
E finalmente l’uomo si convince. Smette, con la morte nel cuore, di caricare. Ma il cuore non fa calcoli, e lo nota subito quando vede che con i passeggeri attuali ed il mare ormai una furia, la barca fatica non poco a rimanere a galla. Anzi seppur lentamente sta affondando.
Corre allora ai ripari, decidendo di scaricare alcune persone, per salvare le altre.
Guarda le prime caricate, le donne e i bambini e comprende immediatamente che mai e poi mai potrà compiere un gesto così inumano.
Allora volge lo sguardo verso la trentina di uomini e ragazzi.
Ma legge nei loro occhi che non riuscirà mai compiere un gesto così inumano.
Non gli rimane che la sua famiglia ma non se la sente di chiedere un sacrificio proprio a loro.
E così, gli anziani, capendo il suo dramma, decidono di fare da soli, e in un atto di estrema generosità si buttano in acqua.
D’altronde la Storia insegna: sono sempre gli anziani che, nelle difficoltà, vengono sacrificati.
Purtroppo il loro gesto per quanto eroico, si rivela inutile e la barca inesorabilmente continua ad affondare.
“Ma dove sono gli Italiani?” “Non arrivano. Saranno ancora impegnati….”, pensa l’uomo.
Si prepara a gettarsi in acqua lui, per alleggerire il carico, ma i giovani figli e relative consorti lo frenano. “Chi timonerà la barca, se ci lasci?”. “Ormai abbiamo deciso…” e dopo un breve saluto, si lanciano tra i marosi.
L’uomo rimasto ormai solo, è disperato. Ha perso i suoi cari, tutta la sua vita è finita negli abissi con loro. Solo l’orgoglio di aver perseguito il Bene e l’Altruismo senza limiti, lenisce in parte il suo dolore. In fondo si è comportato come ha sempre sentito dire da persone più importanti di lui e questo lo solleva un po’.
Purtroppo, scopre ben presto che anche il sacrificio dei giovani è risulta vano. La barca continua ad affondare, anzi ora è pure pericolosamente inclinata su un fianco.
A questo punto, persi tutti i suoi affetti comprende che la sua vita sarà inutile e decide di giocarsi l’ultima carta possibile.
Una rapida occhiata all’orizzonte per vedere se arrivano le navi italiane e constatare con rassegnazione che non ve n’è alcuna traccia, e si butta in mare anche lui, confortato dal fatto che sicuramente i posteri si ricorderanno della abnegazione e del sacrificio di un manipolo di sammarinesi, sparendo tra i flutti dopo poche bracciate.
Ora sulla barca Sammarinese, sono rimasti solo le donne e i bambini e i ragazzi e gli uomini issati a bordo.
Ma purtroppo è comunque troppo per quella povera barca, che nel giro di pochi minuti si inabissa, portando con sé tutto il suo carico umano.
Adesso sono arrivati gli italiani, ma altro non possono fare che constatare il disastro. Nessun superstite. Tutti morti.
E il giorno dopo sui giornali italiani si legge: “Disastro ne canale di Sicilia. Spariscono in mare decine di migranti disperati, in fuga da fame e guerre.
Nessuna traccia, al momento, degli scafisti Sammarinesi.”

Fine

Roberto Morini