Ad onor del vero, uno si chiama Gian Matteo, ha un look molto informale come quei capelli ribelli, molto spesso costretti in un codino che dà l’impressione di una persona a cui non importa niente di stare fuori dalle convenzioni. L’altro si chiama semplicemente Matteo, sempre vestito in modo formale, con giacca e cravatta, capelli sempre a posto, che danno l’impressione del “bravo ragazzo”.
Ma al di là del nome, sono davvero poche le analogie tra Matteo Zeppa e Matteo Ciacci, come è venuto evidente durante il comma comunicazioni della sessione consiliare ancora in corso. Ciacci infatti, come già avevano fatto altri suoi compagni di partito, si era avventurato in una forte critica all’attuale maggioranza soprattutto riguardo alle riforme in cantiere, che stanno slittando probabilmente verso l’autunno. Il taglio era sempre un po’ saccente, come di chi essendo stato al governo, sa più degli altri e può permettersi di attaccare perfino qualche attuale Segretario di Stato. Non solo, ma riferendosi a persone nominate dall’attuale maggioranza e appena scivolate nelle inutili bassezze del gossip, aveva commentato beffardamente: tutto si può e tutto è possibile.
Evidentemente non ricordava le sue esternazioni del marzo 2018, quando appena eletto Reggente ed intervistato dai giornali italiani come più giovane capo di stato del mondo si era espresso addirittura in dialetto e aveva usato frasi che, decontestualizzate, avevano messo in ridicolo l’istituzione e tutto il paese. Tanto che Feltri, su Rai2, aveva commentato sarcastico: “Mi ha fatto rivalutare Di Maio”. E il filosofo Cacciari gli aveva fatto eco: “Per una volta sono d’accordo con Feltri”.
Sarebbe stato fin troppo facile per Zeppa, che non ha peli sulla lingua, citare questo aneddoto, ma ha preferito ricordare le ragioni per cui era caduto il governo Adesso.sm. A cominciare dalle infiltrazioni confuortiane, per proseguire con l’assalto alle massime istituzioni finanziarie con il beneplacito filogovernativo; l’attacco al sistema giudiziario anche con l’appoggio di un giudice pluri-indiziato; le collusioni di un imprenditore come Grandoni con personaggi istituzionali. Tutto raccontato dalla Commissione d’inchiesta sulle banche. Ben si può capire come quel governo non abbia mai fatto le riforme di cui oggi, i suoi membri, rivendicano l’impellenza. Ma da che pulpito stavano facendo la predica…
Peggio ancora, una predica venuta da un personaggio che non più tardi di tre mesi fa è incappato in un incidente che l’ha visto protagonista di una violenza di genere, ma che tuttora dice di andare a “testa alta”. Durissimo Zeppa a tale proposito, quando ha sottolineato come il silenzio, in certi casi, sarebbe stata virtù molto apprezzata. Molto più debole Ciacci, che ha chiesto nuovamente la parola per “fatto personale” e ha rivendicato la dimensione domestica e non politica dell’accaduto. Sulla qual cosa abbiamo già scritto a suo tempo, e non staremo a tornare.
Un battibecco snobbato dalle cronache dei giornali, ma che ripropone a nostro avviso la questione della credibilità politica di certi personaggi. Ovvero di una qualità che in politica è tutto, ma ormai non ce l’ha più (quasi) nessuno. Una qualità che è il fondamento delle società democratiche, il collante tra i cittadini e i leader, che si può perdere, guadagnare e anche ritrovare. In sostanza: chi è un politico credibile e che ruolo hanno i media nel costruire la loro reputazione.
È considerato credibile chi è onesto, coerente, sincero, chi mantiene le promesse, chi è fedele agli impegni presi, chi non tradisce. Questa risposta è la stessa che ha dato Aristotele nella “Retorica”, quando sostiene che crediamo più facilmente alle persone oneste e, aggiunge, ancor più nelle questioni che non comportano certezza, ma opinabilità.
Ovviamente, chi mistifica i fatti, li strumentalizza, cerca di volgerli a suo favore, magari con l’aiuto di qualche giornalista compiacente, ha un tasso bassissimo di credibilità. Essa non è (solo) una qualità personale, espressione immediata di un’autorevolezza naturale e spontanea, talvolta è anche una pretesa che viene avanzata e contrattata nelle relazioni sociali, allora occorre anche riconoscere che essa è in qualche modo costruita, è il prodotto di un’intenzione e si può facilmente smontare.
Gli attuali processi di disintermediazione politica – con la crisi dei partiti e dei corpi intermedi che sostanziavano la partecipazione e creavano delle cinghie di trasmissione con vasti settori della società – hanno reso più problematico e contingente questo rapporto. La credibilità è dunque una scommessa. Una scommessa rischiosa. Ciò vale in ogni relazione, ma in particolar modo nel campo politico. E ancor più nel contesto attuale, in cui le appartenenze e i riferimenti politici appaiono più contingenti e aleatori, cambiano continuamente, devono essere sempre riaffermati e reinventati.
Zeppa e Ciacci vengono entrambi da movimenti di rottura rispetto agli schemi politici precostituiti. Anche in questo caso, le differenze sono evidenti: Zeppa e tutto il movimento Rete non hanno rinunciato a nulla degli ideali fondativi e hanno fatto battaglie cruentissime in nome della giustizia, della legalità, del bene del Paese. Da posizioni di governo hanno imparato a mediare, ma mai a rinunciare. Ciacci viene da Civico 10, sacrificato sull’altare degli interessi del governo Adesso.sm e ora entrambi spariti. Fatta eccezione per alcuni personaggi che tentano di riciclarsi mistificando in fatti.
Sono solo opinioni per carità, liberamente argomentate anche sulla scorta di ragionamenti letti su “La credibilità politica. Radici, forme, prospettive di un concetto inattuale”, di Guido Gili e Massimiliano Panarari, Marsilio, 2020. Con la ferma convinzione, tuttavia, che la credibilità politica dovrebbe tornare di moda, oggi più che mai.
a/f