Riceviamo e pubblichiamo
Confesso un peccato: l’invidia. Non per i soldi, non per il potere. È l’invidia dell’editorialista, che legge di un editorialista – non citato per nome, ma a mio parere riconoscibile come un bersaglio rosso in un poligono innevato – fatto oggetto di un’invettiva così spettacolarmente vuota da parte di un Consigliere della Repubblica, e pensa: “Però. Avrei voluto essere io quell’editorialista!”.
Dunque, mi è capitato, l’altra mattina, quello che Pirandello avrebbe definito un piccolo, curioso caso. Ho letto un post sui social di un Consigliere della Repubblica, Gian Matteo Zeppa, e mi sono scoperto invidioso. Invidioso di quel misterioso “solone” che, senza essere nominato, ha ricevuto un’attenzione così veemente, così colorita… Ah, se fossi io quel solone! Mi ci metto comunque nei suoi panni, per un momento, non potendo resistere all’invidia di chi osserva da lontano un simile spettacolo. Perché, in fondo, uno sfogo del genere da parte di un rappresentante delle istituzioni non può lasciare indifferenti. Turba, inquieta. E, a dirla tutta, puzza un po’ di quel vento che, in Italia, soffia da certe frange di nostalgie mussoliniane: un attacco obliquo alla libertà di opinione, camuffato da invettiva personale, per zittire chi osa analizzare i fatti con un po’ di sale in zucca, o, perlomeno, con la libertà di farlo come meglio crede.

Ma procediamo con ordine, fingendo che io sia quel solone fortunato. Il Consigliere, nel suo post, gli elargisce tre titoli, come medaglie al valore (o al disvalore, a seconda dei gusti). Il primo è “solone prezzolato“. E qui, confesso, l’ossimoro è da applausi. Un Solone, per definizione, è un sapiente legislatore. Un prezzolato è un mercenario. Dunque il nostro eroe citato senza citazione dall’On.Zeppa sarebbe un sapiente a pagamento. L’insulto si annulla da solo in un piccolo, delizioso cortocircuito logico. Far credere possibile un “solone prezzolato” è come disegnare “un cerchio quadrato”, tappare le orecchie a causa di “un silenzio assordante”. O, per restare in tema, dimostrare che l’opposizione sammarinese rappresentata da chi si cimenta in insulti via social sia “un’opposizione costruttiva”, seria e responsabile. Chapeau, davvero, almeno per lo sforzo creativo.
Il secondo titolo, più pittoresco, è “attempato leccaculo“. Tralasciamo l’immagine zoologica, che lascio volentieri alla fantasia di chi la evoca. Soffermiamoci sull’aggettivo: “attempato“. Qui il Consigliere tocca un nervo scoperto. Il solone ha un’età. Ha visto governi, ha letto bilanci, ha ascoltato concertazioni fallite e riforme annunciate, visto meteore politiche schizzare al cielo e, in un attimo, ricadere mestamente a terra!. La sua memoria è “attempata”. Ricorda le promesse e le confronta con i risultati. È un vizio che i giovani di spirito – anche se hanno vissuto in prima persona la parabola “dalle stelle alle stalle”, dall’essere il secondo partito al centrare per un pelo il quorum elettorale in appena una legislatura -, evidentemente, non hanno. Loro hanno il vantaggio di potersi indignare ogni giorno come se fosse il primo, senza il fardello di sapere come andò a finire la volta prima. Beati loro, con la loro fresca indignazione…
Il terzo è un mantra che il Consigliere si ripete, ma che generosamente condivide con il mondo: l’inutilità di “parlare con dei coglioni“. Qui l’argomentazione si fa adamantina. È una tesi autoconclusiva? Non so, ma l’esperienza mi ha insegnato che nel momento stesso in cui si rinuncia al dialogo tacciando l’interlocutore di stupidità, si certifica la propria incapacità di sostenerlo, quel dialogo. Un po’ come il rantolo di chi non ha più fiato per inseguire il pallone e si butta a terra sperando che l’arbitro fischi un fallo.
Mentre mi baloccavo con questo triplice status del solone, mi sono accorto di una cosa. Una mancanza. Un vuoto. In questo torrenziale sfogo, così ricco di zoologia e anatomia, mancava una parola, una cifra, un dato. Mancava, insomma, una qualunque argomentazione. Non una riga per contestare nel merito anche la più antisindacale delle analisi sulla riforma IGR. Non un numero… Niente. Il nulla argomentativo, mascherato dal baccano dell’offesa.
Quando – a mio parere – un rappresentante delle istituzioni adotta questo registro, il problema non è più l’onore di un singolo editorialista, giornalista, utente social. L’onore, dopotutto, non lo perdi quando ti insultano, ma quando te lo meriti davvero. Il problema è l’attacco frontale a un pilastro della democrazia: l’opinione, il commento… È l’idea che chi governa (o aspira a farlo) sia al di sopra della critica, e che chi critica lo faccia non per dovere di cronaca, per dare il suo contributo al dibattito o, semplicemente, per esprime la sua libera opinione personale, ma per servilismo.
Ed è qui, su questa forzatura comunicativa, che la strategia si rivela per quella che è: un diversivo. Un calamaro che, sentendosi in pericolo, spruzza inchiostro per intorbidire l’acqua e fuggire. L’inchiostro degli insulti per nascondere il bianco accecante della pagina vuota di idee. E quando un rappresentante istituzionale sceglie questa via, non si può non turbarsi. Perché puzza di un tentativo di intimidire l’opinione, di soffocare il dibattito con il rumore, anziché con i fatti. In Italia, certe frange extraparlamentari di estrema destra, che in tanti definiscono fascisti, lo fanno da anni: urlano per non far sentire le voci razionali del fallimento di ogni totalitarismo, che possa essere rosso o nero. Non è un’accusa, sia chiaro, solo un’osservazione da chi, come me, legge i giornali, fa tesoro delle esperienze e annusa l’aria.
E questo è quanto… Ringrazio, comunque, il Consigliere Zeppa per aver offerto questo spettacolo. Ha dimostrato, meglio di quanto un solone qualsiasi avrebbe mai potuto scrivere, che quando la politica non è in grado di argomentare, ma si mette ugualmente a scrivere il proprio contributo, specie se ricorrendo al dizionario degli insulti, fa apparire tutti enormi, grandi, sapienti più della politica stessa.
Ora, da semplice osservatore invidioso, torno al mio noioso hobby di sempre: leggere le carte e unire i puntini… È un’opera umile. Ma ha un pregio: a fine giornata, non lascia l’amaro in bocca. E nemmeno inchiostro sulle mani.
Enrico Lazzari
Dimenticavo… eccovi il post che ha suscitato la mia invidia verso il “solone” non citato: