Esistono grandi artisti, affermati e conosciuti nel loro tempo, ma che poi restano inesorabilmente nell’ombra della dimenticanza, da cui emergono improvvisamente grazie a cultori ed estimatori dell’arte. È la sorte toccata a Maurizio Ferretti, pittore durante il fascismo, un’epoca difficile e inquietante, da molti definita liberticida, alla quale è riuscito a sopravvivere nonostante l’omosessualità. Una selezione di ben 39 delle sue opere è in mostra al Museo di Stato fino al 2 marzo prossimo, grazie alla disponibilità della signora Alessandra Romeo, consorte del Console Onorario presso il Regno Unito Maurizio Bragagni. I quadri derivano da un’eredità della signora ricevuta dallo zio, del quale Ferretti era stato maestro. Grazie all’amicizia tra Bragagni e il direttore degli Istituti Culturali Paolo Rondelli, è nata l’opportunità di questa mostra, che finalmente fa apprezzare in tutto il suo profondo simbolismo l’opera di un importante pittore italiano del secolo scorso.
Era nato a Livorno, città che ha dato i natali a Modigliani e a Giovanni Fattori, oltre che a scrittori e musicisti famosi. Ferretti risente in particolar modo dell’influenza futurista, anche se agli inizi del Novecento si affermano l’espressionismo, il fauvismo, il cubismo, il dadaismo, il surrealismo: una lunga campionatura di correnti pittoriche che vanno a definire una contemporaneità molto spesso influenzata dalla politica, o come reazione ad essa. Ferretti è un artista con un orientamento sessuale non standardizzato nelle forme volute dal regime; vive tempi difficili e, come molti altri, sperimenta la via dell’affiche (manifesti pubblicitari) per coniugare arte e guadagno. È anche una maniera per tutelarsi dalle scorribande punitive, dalle condanne al confino, divenute sempre più pericolose con l’emanazione delle leggi razziali. Lavorare per il regime come compromesso per sopravvive.
Alcuni manifesti fascisti, per altro di pregevole fattura, sono esposti anche nella mostra al Museo di Stato. Il resto delle opere riguarda un’esaustiva selezione dei generi pittorici prediletti dall’autore: paesaggi, nature morte e soprattutto figure, anche a tema religioso. Tra queste, una Deposizione dove il Cristo ha attributi così poco definiti che quasi potrebbe rappresentare una “Crista”. Ferretti infatti, nonostante i rischi insiti nell’esprimere apertamente la propria omosessualità, è rimasto fermo nell’impegno per l’autenticità e l’autoespressione. Un rifiuto fermo al conformismo imperante e una celebrazione dell’identità queer, che lo portano a dipingere nudi dalla sessualità talvolta indefinita, dove le forme tradizionali di genere vengono sovvertite e ridefinite e dove i corpi femminili sfuggono ai canoni estetici della bellezza classica.
Sembra quasi che, così facendo, Ferretti voglia riaffermare il suo impegno per una società più inclusiva e compassionevole, dove tutti gli individui sono liberi di esprimersi autenticamente e senza paura di persecuzioni. Tutto ciò trasforma la sua arte in qualcosa che supera la contingenza del Ventennio per diventare di una conturbante attualità.
All’inaugurazione della mostra, accanto a Rondelli e al console Bragagni, hanno presenziato anche il Segretario di Stato alla Cultura Teodoro Lonferni e l’Ambasciatore d’Italia Fabrizio Colaceci, a significare che la sinergia tra istituzioni e territori può approdare a progetti culturali di squisito interesse.
Angela Venturini