Seduta soprattutto tecnica, incentrata sui bilanci di Penta Immobiliare e Fondazione per lo Sviluppo Economico, quella di ieri mattina che chiude la settimana dibattimentale del Processo Mazzini. Una seduta dove i teste hanno, in linea di massima e salvo qualche sporadica eccezione, confermato quanto dichiarato in fase istruttoria al giudice inquirente.
L’aspetto più interessante della giornata è sembrato quindi essere il duro scontro fra l’avvocato Simone Menghini e il perito Pacifico Cristofanelli, incaricato dal Tribunale di verificare l’autenticità di tre firme, una su un libretto al portatore e altre due su altrettante distinte bancarie, ricondotte all’ex Segretario di Stato Fiorenzo Stolfi, assistito, appunto, dal legale sammarinese.
Firme che fin dai primi interrogatori sono state disconosciute dall’indagato, al pari della relativa movimentazione finanziaria. Il perito, dal canto suo, ha confermato quanto già scritto nella sua relazione, ovvero che -secondo la sua esperienza- quelle firme sarebbero autentiche. Senza, però, convincere o costringere alla resa l’avv.Menghini, che ha dapprima snocciolato dati statistici e pareri di altri esperti di grafologia secondo cui il tasso di attendibilità della -chiamiamola- “scienza grafologica” si aggirerebbe intorno al 70 o 80 per cento. Il margine di errore, secondo questi, sarebbe quindi relativamente alto, ovvero dal 20 al 30 per cento delle perizie potrebbero rivelarsi errate.
Anche questo, però, non ha convinto il teste che ha controbattuto con decisione le tesi del legale difendendo l’attendibilità, l’affidabilità del suo lavoro. Il difensore di Stolfi, quindi, è sceso sul caso specifico riuscendo a far evidenziare dalla testimonianza del teste che una incongruenza in quelle firme è concreta. Infatti, e questo è divenuto ormai un dato certo grazie alla conferma del perito, nonostante le tre firme dovrebbero essere state apposte simultaneamente una all’altra, ovvero nello stesso momento, per le stesse sono state utilizzate due penne diverse. Una inconsuetudine che, con più o meno efficacia, alla fine, andrà di certo ad alimentare la tesi di difesa.
In ogni caso, a parte la vicenda di queste firme e le constestazioni mosse negli atti istruttori all’indirizzo degli ex Segretari di Stato Pier Marino Mularoni e Piermarino Menicucci -chiamati in causa per la compravendita di due abitazioni che oggi hanno registrato un paio di testimonianze che minano il teorema accusatorio- la sessione di ieri non ha visto l’accusa uscire dall’Aula con un pugno di mosche, visto che gli elementi riecheggiati dal banco dei testimoni confermerebbero l’impianto accusatorio definito dagli inquirenti, almeno relativamente al fascicolo Penta Immobiliare, incentrato su ipotesi di riciclaggio e false comunicazioni sociali, i cui bilanci, come confermato dal “liquidatore giudiziario”, presenterebbero alcune concrete anomalie e incongruità.
Enrico Lazzari, La Voce