San Marino. Meloni e la svolta storica delle donne al vertice dello Stato. Con la fredda accoglienza del Titano … Alberto Forcellini

Appena cinque giorni fa ha vinto le elezioni in Italia. Giorgia Meloni, 45 anni, un curriculum politico e istituzionale di tutti rispetto, una madre, una donna, femminista ma non troppo, Presidente del Consiglio dei Ministri in pectore. Le cronache raccontano che le donne italiane hanno votato per lei, nonostante le discussioni sull’aborto durante la campagna elettorale. Nata e cresciuta nel quartiere della Garbatella, le cui inflessioni dialettali si sentono benissimo nonostante parli inglese, francese e spagnolo, è stata eletta deputata per la prima volta, a 29 anni (il che rappresentava già un traguardo ragguardevole per l’epoca) ma solo qualche giorno dopo la proclamazione era già pronta a salire sullo scranno più alto di Montecitorio, in qualità di presidente vicario in quota An.

Da lì, un’ascesa continua. Intanto parte con la sfida ad essere la prima donna leader di partito (e attualmente l’unica) per giunta di destra, cioè in un territorio conservatore, considerato generalmente più chiuso alla presenza femminile in politica. Gli inizi, come è noto, non sono dei più incoraggianti. Fonda Fratelli d’Italia, che però non arriva al 2 per cento alle Politiche del 2013, migliora alle Europee l’anno successivo ma non supera lo sbarramento e non elegge deputati a Strasburgo. Cresce ma non troppo alle politiche del 2018, quando prende il 4,3 per cento, contro il 14 per cento di Forza Italia e il 17,4 per cento della Lega di Matteo Salvini. Poi, la decisione di non entrare nel primo governo Conte assieme all’alleato Salvini, e poi sempre all’opposizione durante il governo Draghi. Ma alla fine vince più di quanto abbia mai vinto un altro partito.

Forse è l’opposizione il segreto della sua vittoria? Sicuramente in parte. Poi c’è che Giorgia Meloni è una “secchiona”, studia, si prepara e quando parla è convinta di quello che dice, è appassionata, è coerente. È molto difficile prenderla in contraddizione. Così conquista la fiducia di tutto il partito. Così sorpassa Salvini, fortemente ideologico, che sa infiammare le piazze ma è spesso contradditorio. La vittoria netta del centro destra è tutta merito di Meloni che incassa un forte travaso di voti sia da FI sia dalla Lega, oltre che da altri partiti di area liberale. Meloni mette all’angolo anche Letta, che non ce la fa a tenere insieme la sinistra e perde la poltrona al governo, ma il suo PD è l’unico partito che non ha perso voti. Gli altri hanno perso tutti. Compreso Conte, che riscuote a sorpresa un 15% (neppure sperato alla vigilia del 25 settembre) ma che è giusto la metà del consenso ottenuto alle precedenti politiche.

Lei esulta, dispensa sorrisi e ringrazia tutti. Ma fa subito un atto di umiltà, lasciando tutto lo spazio al partito nella conferenza stampa del giorno dopo. Si mette immediatamente al lavoro per creare un governo che stabilisca il necessario equilibrio tra alleati che comunque intendono giocare un ruolo da primi attori (la Lega ha la metà dei parlamentari del gruppo di maggioranza, nonostante abbia ottenuto un terzo dei voti rispetto a FDI). Giorgia Meloni deve governare: ha il vantaggio della proclamazione popolare e lo svantaggio di una crisi internazionale che si riflette in una valanga di problemi. Per questo vuole un governo di qualità.

San Marino, di solito così prodigo di congratulazioni nei confronti dei vincitori, non scrive neanche un rigo ufficiale verso la Meloni, né da parte dei partiti, né delle istituzioni. Qualche commento in Consiglio, per lo più sul risultato delle elezioni. Nessuno verso una donna che si appresta ad essere la prima donna d’Italia. Neppure da parte delle associazioni femministe, come la Commissione pari opportunità, né UDS che di battaglie per le donne ne ha fatte tante. Dopo aver sdoganato il termine “Consigliera” pare che la preoccupazione principale di questi giorni sia dire “Reggentessa” o “Capitana Reggente”. Guai a dire: “Signora Capitano Reggente” o “Signora Segretario di Stato”.

L’ascesa delle donne non è una questione di forma, come ci insegna proprio in queste giorni “AstroSamantha” appena diventata prima donna europea comandante della Stazione Spaziale. È sempre una questione di sostanza, competenza, costanza e responsabilità. Per Meloni c’è un’accoglienza agrodolce anche a livello internazionale. Ma lei non è Trump e ha già dimostrato di affrontare anche le situazioni più aspre con i piedi ben piantati a terra. Il resto, sarà tutto da scrivere.

a/f