Ultima udienza, mercoledì, del processo che vede il vice brigadiere della Gendarmeria, Mirco Mazzccchi, sul banco degli imputati. Una udienza tutta imperniata sulle arringhe di parte civile, pubblica accusa e del collegio di difesa. La vicenda che ha portato il gendarme Mazzocchi in servizio al carcere del Cappuccini sul banco dei ‘cattivi’ è nota anche per via dei riflessi che ha avuto sull’inchiesta “Mazzini” ancora in corso. […] Il tutto per un passaggio attraverso le sbarre del carcere dì un oggetto misterioso: nero, piccolo da essere in parte occultato dalle mani del vicebrigadiere. Secondo questi si trattava di un carica batteria per rasoio elettrico, secondo l’accusa di una radio ricetrasmittente. Un dettaglio non di poco conto. Se si trattava di un carica batteria, Mirco Mazzocchi sarebbe colpevole di aver infranto il regolamento carcerario per un atto di eccessiva gentilezza nei confronti di Podeschi quindi punibile con un atto disciplinare. Se invece si trattava realmente di un mezzo per comunicare con l’esterno del carcere sarebbe un reato grave (art. 362, da sei mesi a tre anni). Dai filmati della Tv interna non è chiara la natura dell’oggetto misterioso. E sono stati proprio i filmati ad aprire la cella dopo 64 giorni: infatti per gli inquirenti le immagini Tv erano sufficienti ad eliminare un possibile inquinamento delle prove e la reiterazione del reato. A carico di Mirco Mazzocchi comunque resta la complessa testimonianza di un compagno di cella di Podeschi che prima ha deposto contro Mazzocchi, poi ha ritrattato, quindi ha ritrattato la ritrattazione. E c’è pure la testimonianza di un ristoratore che avrebbe riconosciuto la voce di Podeschi attraverso il proprio walkie talkie che casualmente ha intercettato una conversazione con altra persona non identificata: quindi Claudio Podeschi era in possesso di una ricetrasmittente.
Tribuna
