Oggi ricorrono sette devastanti anni dal terribile incidente in bicicletta che ha segnato l’inizio di un calvario durato 841 giorni per Michael Antonelli. Giovane promessa del ciclismo, tesserato con la Mastromarco Sensi Nibali, Antonelli aveva solo 19 anni quando, il 15 agosto 2018, durante la Firenze–Viareggio, precipitò in un dirupo in seguito a una curva stretta non sufficientemente segnalata né protetta.
Un tratto di circa 28 metri sulla discesa del Monte Oppio, in Val d’Arno, risultò completamente privo di barriere o segnaletica adeguata: secondo la procura, una negligenza da parte degli organizzatori della gara. Antonelli riportò gravissimi traumi – cranico e polmonare – che lo resero completamente non autosufficiente, costretto a una vita di ricoveri e assistenza famigliare continua.
Solo il 3 dicembre 2020, oltre due anni dopo, Michael spirò a causa di un’insufficienza respiratoria acuta da Covid-19, in uno stato di salute ormai gravemente compromesso.
Dopo anni di attesa, nel dicembre 2024 il tribunale di Pistoia ha emesso, in primo grado, la sentenza di condanna per due figure chiave: Gian Paolo Ristori, 82 anni, presidente dell’AS Aurora (organizzatrice della gara), condannato a 2 anni di reclusione. Rodolfo Gambacciani, 72 anni, direttore di gara, condannato a 1 anno e 8 mesi.
Entrambi hanno beneficiato delle attenuanti generiche e pena sospesa.
È stata riconosciuta la responsabilità per omicidio colposo: la mancanza di adeguate protezioni in quel tratto di strada era una grave omissione.
La madre, Marina Mularoni, commosse tutti pronunciando parole forti: “Mio figlio non aveva colpe… Del mio Michael, istituzioni e Federazione si sono dimenticate molto presto”. La difesa, però, ha già annunciato appello.
La vicenda di Michael Antonelli non è solo una tragedia personale, familiare e di tutta la Repubblica: è anche una ferita aperta nel mondo del ciclismo, che impone una riflessione profonda sulla sicurezza nelle gare su strada agonistiche. La mancanza di semplici barriere o personale di segnalazione adeguato si è rivelata fatale.
Oggi, a sette anni di distanza – anche se il 3 dicembre segna la data effettiva della sua morte – ricordiamo Michael non solo per la tragedia che lo ha colpito, ma anche per il potenziale che aveva, e per la dignità e la forza che ha trasmesso alla sua famiglia durante un lungo, poi rivelatosi inutile, percorso di cure e sofferenze.