
Il panorama politico contemporaneo sammarinese si interroga sulla persistenza dell’ideologia democristiana e sul suo ruolo nell’evoluzione delle sinistre, del centro e dell’area moderata. Il titolo di questo editoriale, ispirato al racconto autobiografico di Paolo Casotti, che narra le vicissitudini della sinistra italiana negli ultimi quarant’anni, pone una domanda provocatoria: siamo destinati a rimanere intrappolati in un paradigma politico superato, incapaci di rinnovamento?
Il libro, che ho letto con grande avidità data la mia insana passione per la politica, stabilisce un collegamento chiaro tra il mancato impegno per una svolta riformista da parte della sinistra italiana e la situazione politica che si è venuta a creare nel belpaese dopo la Seconda Repubblica.
A San Marino, dove la Democrazia Cristiana sammarinese affronta una crisi di consenso senza precedenti sembra palesarsi la stessa cosa. Il parallelismo è lampante: entrambi i contesti riflettono una lotta interna per l’adattamento e il rinnovamento in risposta a un mondo in rapida evoluzione.
A San Marino, l’ultima elezione dei Capitani Reggenti ha rappresentato una svolta storica.
La Democrazia Cristiana sammarinese, un tempo fulcro indiscusso della politica del Titano e sempre in posizione centrale sulla scena politica, ora si confronta con le conseguenze della propria arroganza e del proprio isolazionismo. Questa situazione si riflette in una perdita di consenso, un calo tangibile e avvertibile ovunque: per le strade, nei bar, sui social network, e in tutti i luoghi di incontro, sia virtuali che reali.
Il segnale è inequivocabile: i cittadini di San Marino reclamano un cambiamento, un’opzione alternativa a una politica percepita come distante dalla realtà quotidiana del paese, dove solo una ristretta cerchia di privilegiati e i loro sodali, perlopiù professionisti, detengono le leve del potere. Questo monopolio del potere ha portato a conseguenze assurde, irrazionali e, in ultima analisi, dannose per la collettività.
Questo scenario ha trovato eco nel voto di opposizione stranamente unita contro la proposta di reggenza della DC, segnando una storica alleanza tra i partiti di sinistra e di centro: si è trattato di un voto esplicitamente CONTRO LA DEMOCRAZIA CRISTIANA, piuttosto che un rifiuto personale nei confronti dell’amico Rossano Fabbri, al quale esprimo tutta la mia stima e il rammarico per la sua mancata elezione.
La lezione da trarre è chiara: l’arroganza, gli errori strategici e la miopia politica non solo allontanano gli alleati, ma anche rafforzano e galvanizzano l’opposizione, minacciando la continuità al potere del partito del santo. Ponendo l’accento su Giancarlo Venturini, figura di spicco e segretario politico della DC, si potrebbe chiedere: se Pasquale Valentini o peggio Teodoro Lonfernini fossero stati al comando, la situazione sarebbe stata migliore? La domanda, retorica, suggerisce già la risposta: probabilmente, ci saremmo trovati in un guado ancora più profondo. Un disastro sia per la Dc ma anche per il paese. Ma, ovviamente, questo è solo un mio punto di vista, legittimo ma esclusivamente mio anche se, probabilmente, condivisibile dai più.
Di fronte a questa situazione, la DC si trova davanti a una scelta dirimente. Può decidere di restare legata a un passato che non incontra più le necessità dell’elettorato, o avviarsi verso un autentico rinnovamento. Quest’ultimo percorso richiede non solo coraggio e una visione lungimirante, ma anche un dialogo aperto e costruttivo con tutte le parti politiche, inclusa l’opposizione, e con i vari segmenti della società civile, anche quelli potenzialmente in disaccordo con la DC.
La strategia futura non può essere quella di dividere per regnare, ma di unire per rinnovare.
Ed allora la domanda “Moriremo tutti democristiani?” acquista una risonanza particolare.
Non si discute meramente della tenuta di un partito, ma dell’agilità dell’intero apparato politico nel mutare, crescere e affrontare le urgenze odierne e imminenti. La DC, insieme ad ogni altro partito, è chiamata a riflettere sulla propria pertinenza in una realtà che evolve rapidamente, in una San Marino che aspira a distanziarsi dall’eventuale declino europeo imminente, o, ancora più grave, da un conflitto europeo, una guerra, che le è estranea, avendo sempre fieramente preservato la propria indipendenza e neutralità messa a rischio proprio dall’oscuro trattato di associazione europea, di cui ancora non si conoscono i contenuti, e dall’aver comminato, incautamente, scioccamente e senza un doveroso passaggio consigliare sanzioni alla Russia di Putin.
Come Direttore del GiornaleSM, sono convinto che il nostro impegno sia fondamentale nel promuovere il dibattito pubblico, visto il seguito che abbiamo, fornendo stimoli per una riflessione critica profonda e contribuendo a disegnare il futuro di una politica più aperta, inclusiva e reattiva. La politica, in fin dei conti, dovrebbe essere intesa come un servizio dedicato all’ascolto e al soddisfacimento delle necessità dei cittadini, piuttosto che come un mezzo per la pura autocelebrazione del potere, attraverso la distribuzione di prestigiosi incarichi e commissioni o influenzando direttamente la vita delle persone.
La risposta alla questione sollevata all’inizio si gioca sulla capacità dei partiti di navigare le acque del cambiamento, offrendo soluzioni tangibili ai cittadini ed ai partiti di San Marino, libere da odiosi veti contraddittori che, come dimostrato anche recentemente con Venturini, si rivelano controproducenti.
Marco Severini – Direttore del GiornaleSM