C’era bisogno di una nuova associazione in un Paese che ne conta già oltre 150? Sicuramente sì, vista la massiccia presenza di pubblico alla presentazione di “121”, nuovo punto di riferimento per la difesa dei diritti della comunità LGBT+. In apparenza, San Marino potrebbe sembrare molto avanti in tema di parità di genere, invece c’è tanto di non detto, di nascosto, di situazioni difficili che vengono celate sotto il tappeto, di pregiudizi e di piccole violenze che vengono taciute per vergogna. Tutto ciò non è degno di un paese civile. Che di fatti si trova agli ultimi posti della classifica europea.
Non solo, ma finora non c’era un organismo ufficiale in grado di relazionarsi con organismi europei e mondiali, per lo scambio dei dati, per il dialogo e il confronto sulle problematiche più urgenti. Facile immaginare che il percorso di costituzione sia stato lungo e faticoso, come hanno raccontato i relatori dell’evento di giovedì pomeriggio, nella sala Montelupo di Domagnano: Luca Sacanna, presidente di 121; Claudia Rosa, vice; Alice Casadei Menghi, segretaria; Yvette Brodaz, tesoriera.
Le loro parole sono semplici e immediate, cariche si esperienze personali raccontate con l’emozione che viene dalla sofferenza, ma anche dalla consapevolezza che le battaglie combattute insieme hanno valore per tutti e non solo per se stessi. “Tutti devono sentirsi utili dentro a una comunità. Nessuno deve scappare per lavorare. Ci rammarichiamo per la fuga di cervelli. Nessuno parla delle fughe di amori, che vorremmo cercare di arginare”.
C’è il racconto di chi, ancora adolescente, diversa dalle sue compagne, si era trovata di fronte a un vuoto relazionale, nessun luogo in cui rifugiarsi perché costretta a nascondersi, salvo poi trovarlo fuori confine, ma solo quando era più grande. C’è il racconto della mamma che ha voluto diventare parte attiva di un progetto perché ci sono situazioni di grande disagio. “Ci sono bambini che a volte diventano invisibili”. Ma la diversità può essere una semplice normalità se si riesce a trasformare l’indifferenza con l’empatia della conoscenza. “Non è l’orientamento sessuale o l’identità di genere a fare i buoni cittadini, ma l’educare i figli affinché diventino cittadini consapevoli”.
È stato ricordato che tutti noi sentiamo spesso la frase “educazione gender”. Non esiste. Da tutti i relatori è venuto il monito: “Bisogna imparare ad accettarsi nella nostra preziosa individualità”. In sostanza, l’obiettivo dell’associazione è diventare un punto di riferimento per tutti i ragazzi che vivono situazioni di disagio e discriminazione, promuovendo la cultura di una società sana, in cui nessuno debba sentirsi diverso.
Gli scopo statutari, illustrati alla platea, dicono le stesse cose. Sono state spiegate anche le ragioni della scelta del nome: 121 è il numero della legge che nel 2004 ha abrogato l’articolo 274 del Codice penale che puniva le relazioni omosessuali. Ma questo è un numero palindromo (forse qualcuno se n’è accoro), si legge alla stessa maniera dal dritto e dal rovescio, e anche questo ha un profondo significato simbolico.
Più nello specifico, l’associazione 121 persegue il pieno riconoscimento dei diritti LGBT+, diffonde la cultura della parità dei diritti e dell’accoglienza, il contrasto ad ogni discriminazione (in particolare gli atti di bullismo in ambito scolastico); intende abolire gli stereotipi negativi, favorire spazi di confronto smascherando i pregiudizi, riconoscere il valore delle famiglie arcobaleno.
“121” è un’associazione laica con obiettivi sociali, ma anche etici e perfino economici. Tra le prossime iniziative, la proposta di creare uno speciale bollino per le strutture turistiche che dimostrino sensibilità nell’accoglienza dell’universo LGBT+, il quale, a livello turistico europeo, vale ben oltre 2 miliardi. Fare coming out non è qualcosa di semplice, è un atto di coraggio, soprattutto in tempi odierni che sembrano voler riproporre un agghiacciante ritorno indietro su quelle libertà individuali, che sono alla base della nostra civiltà.