San Marino. Non ci stancheremo mai di invocare la pace, ma al momento siamo tutti chiamati a fare i conti con la guerra … di Alberto Forcellini

Siamo ormai ad un mese e mezzo di guerra, di distruzione, di morti. Ma non saliremo in cattedra a dire quello che San Marino debba fare o non debba fare: ci sono persone che sanno tutto, beate loro!
Impossibile avere parole per le immagini che ci arrivano dal fronte, sembra di essere tornati tra il ’44 e il ’45, a Berlino, quando ebrei e non solo venivano ammazzati per strada dalle SS, rei semplicemente di esistere, mentre tutto intorno piovevano le bombe. Ma anche in Italia succedevano le stesse cose. Chi abbia letto “M. Il figlio della provvidenza” e “M. Il figlio del secolo” entrambi di Antonio Scurati, ha potuto entrare praticamente quasi dal vivo nelle dinamiche di una tirannia e nella mente di un tiranno. Non c’è più spazio per lo stupore della crudeltà.
Con questo conflitto siamo tornati indietro alle guerre di invasione, dell’occupazione di un territorio centimetro per centimetro, con l’ordine per i soldati di uccidere, stuprare, saccheggiare. Come nel Medioevo.
C’è qualcosa che non quadra: dov’è finita la colonna di mezzi militare lunga 62 chilometri, che avrebbe dovuto circondare Kiev e prenderla d’assedio? A un certo punto si viene a sapere che gli invasori non avevano più benzina per i camion, né cibo per gli uomini; così esposti erano bersaglio facile per i droni bombardieri. Il potente esercito della “grande madre Russia” messo in difficoltà dai partigiani ucraini, tanto che ha dovuto fare ricorso ai mercenari e ai giovani appena diciottenni. Anche questo c’è tra le assurdità di questa guerra.
Siamo nel secolo della super tecnologia e delle armi intelligenti: allora perché le bombe colpiscono i palazzi delle periferie, gli ospedali, le scuole, i teatri? Perché non puntano sui cosiddetti obiettivi strategici e invece uccidono donne, bambini, anziani, ammalati, mamme incinte? Migliaia di drammi nel dramma della guerra, attraverso una sequenza infinita di immagini che spaccano il cuore.
Parole di orgoglio vanno sicuramente spese per un piccolo Paese come il nostro che ha già accolto oltre 300 profughi. Un numero importante che letto in percentuale sulla popolazione residente, equivarrebbe a 600 mila rifugiati in territorio italiano. Dove non sono arrivati i ricongiungimenti familiari, sono arrivate le famiglie, la Caritas, la Protezione Civile, le tantissime associazioni di volontariato che si sono organizzate per offrire assistenza, cibo, abiti. Poi c’è l’Ospedale per tutta l’assistenza sanitaria, e la scuola di ogni ordine e grado per dare a bambini e ragazzi una parvenza di normalità.
Non ci stancheremo mai di invocare la pace, ma al momento siamo tutti chiamati a fare i conti con la guerra. Conti ogni giorno più salati perché l’idea di mercati aperti, con livelli equi di concorrenza, dove domanda e offerta si incontrano in tutto il mondo, è stata congelata. O meglio polverizzate dalle bombe sull’Ucraina. D’altra parte, le leggi dell’economia di guerra hanno la precedenza su quelle dell’economia di mercato.
Per “economia di guerra” si intende, secondo la definizione di Vera Zamagni nel dizionario di economia e finanza della Treccani del 2012, “l’adeguamento del sistema economico alle necessità della guerra”. Prosegue Zamagni: “Il problema economico provocato da un conflitto è duplice: da un lato rendere disponibili risorse per gli armamenti, il mantenimento e la mobilitazione degli eserciti e, dall’altro, organizzare la produzione a sostegno della guerra”.
Come si entra in un’economia di guerra, cosa succede in questi casi e perché l’Italia, che è il primo paese di nostro riferimento, ne è lontana? “Per ora il punto debole è l’approvvigionamento di energia dall’estero, siamo piuttosto in un’economia delle scorte” spiega Stefano Manzocchi, docente alla Luiss.
L’Europa aveva appena cominciato a vedere la luce in fondo al tunnel della pandemia, quando è arrivato il conflitto tra Russia e Ucraina a cambiare nuovamente le prospettive mettendo in dubbio la ripresa economica. Secondo le ultime previsioni pubblicate dalla Banca Centrale Europea, l’impatto della guerra sulla crescita in Eurozona sarà quasi sicuramente elevato.
Tra i rischi più reali e molto vicini, lo spettro della stagflazione (bassa crescita e alta inflazione) è una minaccia sempre più concreta. A determinare le sorti dell’economia europea sarà tuttavia soprattutto la durata del periodo di stagflazione: “solo” un anno o di più? Da questa dipende la probabilità che il rallentamento economico e il rialzo dei prezzi, insieme, abbiano un impatto più o meno forte sulla tenuta complessiva dei sistemi economici europei.
C’è molto fermento su tutti i fronti. La sanzioni verso la Russia e il crollo delle esportazioni dall’Ucraina hanno avuto un impatto molto forte sulla produzione e sui commerci. Tuttavia, nonostante le difficoltà e i rincari, non siamo ancora in un’economia di guerra in senso classico.
Per fortuna non siamo ancora alla retorica nazionalista tipica del bellicismo novecentesco e non dovremo cambiare i nostri obiettivi. Di sicuro bisognerà cambiare il modo di perseguirli.
a/f

(Fotografia tratta da corriere.it)