Quello che accade nel mondo ci interroga ci chiede di prendere posizione: la guerra in Ucraina, con il seguito di morte e distruzione, le epidemie che sembrano non dare tregua a un mondo incapace di pensare alla vita e alla morte, e, accanto a tanti avvenimenti, possiamo riflettere sulla beatificazione di Charles de Foucauld e alle recenti decisioni del Parlamento europeo.
Riguardo a quest’ultimo argomento mi ha colpito il fatto che, di fronte all’ennesimo atto di violenza contro i cristiani, i politici europei non abbiano speso una parola in difesa di Deborah Samuel, la giovane nigeriana lapidata e bruciata viva «perché si era semplicemente lamentata dell’afflusso di messaggi religiosi sul gruppo WhatsApp della sua classe, che è stato ritenuto ‘blasfemo’ dagli islamisti», come ricorda al Parlamento europeo Jean-Paul Garraud, chiedendo un dibattito franco sull’argomento.
Il Parlamento europeo già qualche giorno fa, in un O.d.G. in cui si affrontava la situazione di assenza di rispetto nei confronti delle religioni, aveva deciso di cancellare questa frase: «Si stima che i cristiani costituiscano la maggioranza di tutti i perseguitati religiosamente e che 340 milioni di cristiani nel mondo subiscono alti livelli di persecuzione e discriminazione, con oltre 4.500 cristiani uccisi solo nel 2020 a causa della loro religione».
È difficile riconoscersi in questa Europa, incapace di difendere gli uomini e le donne che vivono quei principi, la fede cristiana, che l’hanno resa faro di civiltà.
Forse a questa Europa bisognerà ricordare le parole del santo Charles de Foucauld: «I musulmani possono diventare veramente francesi? In via eccezionale, sì; ma in maniera generale, no. Molti dogmi fondamentali della religione islamica vi si oppongono. Con alcuni di questi, vi possono essere degli accomodamenti; ma con uno, quello del mahdì, non c’è spazio di mediazione.
Ogni musulmano crede che, all’arrivo del giudizio finale, arriverà il mahdì che dichiarerà la guerra santa e stabilirà l’Islam su tutta la Terra, dopo aver sterminato o sottomesso tutti i non-musulmani. All’interno di questa visione di fede, il musulmano considera l’Islam come la sua vera patria e ritiene che i popoli non-musulmani siano destinati, presto o tardi, ad essere sottomessi da lui, o al massimo ai suoi discendenti.
Se è governato da una nazione non musulmana, egli considera questa situazione come una prova passeggera; la sua fede lo rassicura che ne uscirà e trionferà su coloro che al momento lo tengono sottomesso.
Per questo, i fedeli islamici possono preferire una nazione a un’altra, possono preferire la sottomissione ai francesi piuttosto che ai tedeschi, perché sanno che i primi sono più accondiscendenti che i secondi; possono essere attaccati a questo o a quel francese, come si è affezionati ad un amico straniero; si possono battere con grande coraggio per la Francia, con sentimento d’onore e carattere guerriero, con spirito di corpo e fedeltà di parola, come i soldati di ventura del XVI e XVII secolo.
Ma, in un senso più generale e senza eccezioni, finché sono musulmani, essi non saranno francesi, perché attenderanno, più o meno pazientemente, il giorno del mahdì, quando sottometteranno la Francia. (…) Il solo modo in cui queste persone possono diventare francesi, è che diventino cristiane».
Non amiamo il grido di Caino che, oltre a uccidere il fratello (e questo per ragioni religiose), ne prende le distanze. Forse imparare la lezione di chi ci ricorda che siamo «Tutti fratelli» potrà ridare speranza al mondo intero. E teniamo conto che in quel «tutti» ci devono stare proprio tutti.
don Gabriele Mangiarotti