Il “sovrapprezzo” si sarebbe reso necessario per mantenere impegni assunti con altri ex soci di Delta.
Tribuna torna ad occuparsi della vicenda Sopaf (la holding gestita dai fratelli Magnoni oggi ai domicilari). La finanziaria, lo si ricorda, è legata a doppio filo al gruppo Delta che ha coinvolto la Cassa di Risparmio sammarinese.
A partire dal 2005 Delta, per diluire la quota di partecipazione e l’impegno della Cassa, cerca azionisti forti. Il primo contatto fu con la Lehman Brothers (il cui Amministratore Delegato in Italia era all’epoca Ruggero Magnoni, fratello di Giorgio), non se ne fece nulla e subentrò Sopaf alla cui guida era appunto Giorgio Magnoni.
In seguito a visioni strategiche non condivise (soprattutto la quotazione in Borsa di Delta fondendola con altre 2 società operanti nello stesso settore, Linea e Ducato) emerse la volontà di Sopaf di cedere quota di Delta; ciò aveva generato uno scontro piuttosto duro con gli allora vertici della Cassa, l’amministratore delegato, Mario Fantini e il presidente Gilberto Ghiotti.
La cessione venne perfezionata dopo la decapitazione dei vertici della Cassa in seguito all’inchiesta forlivese. Secondo gli inquirenti italiani, la Cassa all’epoca rappresentò il “polmone finanziario” di Sopaf che ne ha garantito la sopravvivenza. Anche Stefano Elli de Il Sole 24 Ore se n’è occupato e Milena Gabanelli ne ha parlato su Report.
Fantini si oppose e a seguito degli sviluppi della vicenda sul Titano scese l’ombra di Tre- monti. Per Delta finì male e nel tracollo si portò appresso Fantini. Il processo per le attività di riciclaggio ed esercizio abusivo di attività bancaria è tutt’ora in pieno svolgimento a Forlì. A San Marino, liberarsi dei Magnoni acquisendo la loro partecipazione in Delta, venne a costare 70 milioni di euro – secondo il Sole 24 Ore pagati in Lussemburgo – e qualcuno sul Monte la definì un’estorsione.
Cassa non aveva infatti possibilità di scelta se non quella di cedere alla richiesta. Questa somma servì ai Magnoni per sopravvivere al tracollo della Lehman. Sopaf, dal 7 gennaio 2010 al 30 giugno 2011, ha trasferito in Italia, da San Marino, 50,3 milioni di euro. L’anno precedente il 31 dicembre 2009 Sopaf riceve 10,1 milioni.
E proprio da qui partono le domande. I nuovi documenti a nostra disposizione, mettono in luce alcuni aspetti fino a ieri poco chiari. Innanzitutto va precisato che nulla venne pagato dalla Cassa in Lussemburgo. Carte alla mano emerge infatti che le somme sono state erogate sul conto sammarinese di Sopaf, aperto presso la Cassa di Risparmio. La stessa Sopaf ha successivamente fatto girare la somma in Italia e poi verso il Lussemburgo. Un particolare non di poco conto.
2009, anno chiave: succede di tutto Dopo il commissariamento del Gruppo Delta (maggio 2009), la necessità per la Cassa è quella di vendere Delta a controparti interessate; per fare ciò è necessario “riunire” tutte le quote di Delta, per poi vende-re l’intero pacchetto. Il “promesso” acquirente a quanto emerge, infatti in quel momento c’era già. Si tratta di Banca Intesa che ha manifestato il proprio interesse non vincolante. Così il 31 luglio 2009 Sopaf, per cedere le sue azioni in Delta (circa 15%), chiede alla Cassa di Risparmio i “famosi” 70 milioni. Eppure circa 6 mesi prima il Banco Popolare di Verona raggiunse un accordo per la cessione della partecipazione del 13,29% di Delta spa, a un controvalore di 43,8 milioni di euro. A quanto emerge tuttavia, il pagamento effettuato da Cassa a Sopaf era composto di una parte per acquisto azioni (55 milioni) ed una parte per un contratto di consulenza che Sopaf avrebbe dovuto prestare alla Cassa (15 milioni), consulenza che si sarebbe dovuta concretizzare in operazioni finalizzate al reperimento di liquidità (cartolarizzazioni, operazioni in pool e altro):
non dimentichiamo che in quel periodo cominciò la crisi di liquidità che colpì l’intero sistema bancario samma-rinese per effetto dello scudo fiscale. Questa “scomposizione” della somma da pagare, tra l’altro, si rese necessaria per mantenere impegni assunti con altri ex soci di Delta e anche per poter verificare l’effettiva prestazione della consulenza, infatti dei 15 milioni di “sovrapprezzo” (o consulenze che dir si voglia), ben 4 milioni non sono mai stati pagati a Sopaf e tuttora i liquidatori di Sopaf, nominati dal Tribunale di Milano, ne reclamano il pagamento.
Un po’ di cronistoria
I guai di San Marino partono da lontano. Correva l’anno 2008 quando la Finanza sequestrò un furgone che, come da prassi e routine conso- lidata, trasportava banconote, prelevate nella Filiale di Banca d’Italia, dalla sede forlivese di Monte dei Paschi sino a San Marino. Due milioni e mezzo di euro, prelevati appunto dalla Banca d’Italia di Forlì: denaro che serviva per dare liquidità alla Cassa, ma che per la Procura di Forlì e per le Fiamme Gialle rappresentava il provento di un reato. Carisp come noto, vinse il ricorso in Cassazione e il denaro fu dissequestrato, ma da qui partì l’ormai nota inchiesta della Procura di Forlì, che portò fra le altre cose alla decapitazione di Delta e di Cassa di Risparmio. Si trattava, i lettori ricorderanno, di un periodo piuttosto particolare: si affacciava la crisi globale, partita dal crack di Lehman Brothers e dei mutui subprime. Il problema diventava quello della liquidità. In precedenza Delta raccoglieva denaro in due modi: tramite operazioni di cartolarizzazione e tramite prestiti dalle banche, un centinaio di Istituti italiani ed esteri in tutto. L’inizio delle difficol- tà di relazioni tra Italia e San Marino, e le indagini forlivesi sulla Cassa e su Delta, portarono inoltre diverse di queste banche a prendere le distanze da Delta. E proprio per ar- ginare la perdita di va- lore, Carisp fu costretta a sostenere il gruppo con finanziamenti sempre più massicci.
La vigilanza di Bankitalia
L’intero Gruppo Delta era sotto la vigilanza di Bankitalia. Come noto tra le proprie società controllate, c’era anche un istituto bancario, SediciBanca. Secondo la tesi della Procura di Forlì – oggetto del processo in corso – la banca extra- comunitaria, Carisp San Marino, aveva il controllo di fatto di un gruppo bancario italiano. Una tesi che Bankitalia ha avallato con il commissariamento di Delta. Il Gruppo Delta era una galassia di circa 25 società. Indirizzato al fornire prestiti per il credito al consumo, aveva a disposizione le proprie finanziarie, diverse società di servizio, una banca (la già citata SediciBanca), un’assicurazione (Bentos). Nel primo trimestre del 2009, dopo l’uscita del Banco Popolare, il socio di riferimento di Delta era la società Onda, che deteneva il 49,9% del capitale azionario dell’intero gruppo. A sua volta, Onda era detenuta da Estuari, management company, una società composta dai 20 manager del gruppo – che a sua volta controllava il 76% di Onda. Il resto del pacchetto di Delta era detenuto, tramite la controllata italiana SIE Spa, da Cassa di Risparmio (29,9%), dal gruppo Sopaf (15%) dall’ex Ad di Cassa, Mario Fantini, oggi defunto (4%). Il Gruppo Delta oggi si limita a gestire tutte le pratiche erogate in passato e che stanno per estinguersi, riscuote le pratiche delle operazioni in bonis, gestisce il precontenzioso dei debitori, offre supporto alla NewCo SGCD (Società Gestione Crediti Delta), creata dalle Banche creditrici e prevista dal Piano ex 182/bis Legge Fallimentare per gestire tutta la fase di trapasso Liquidazione di Delta, vigilata da Bankitalia. Con la cessione di SediciBanca e di Bentos Assicurazioni al gruppo Banca Intesa, Delta oggi non è più un gruppo bancario. E infatti da maggio 2013 è giunto al termine anche il commissariamento.
Alla faccia del “polmone finanziario”
Cassa di Risparmio di San Marino prima dell’intervento di Banca d’Italia partiva da un patrimonio di 650 milioni di euro. Il Capitale Sociale di Cassa ammonta oggi a 100.634.322 euro, dopo due aumenti di 60 milioni nel 2012 e 85 milioni nel 2014, interamente sottoscritti e versati da Ecc.ma Camera Fondazione San Marino Sums. Il 2013 si è chiuso con un risultato ancora con segno negativo -36 mln di euro. Questo semplice conteggio evidenzia quale mole di denaro sia stata bruciata in questi anni: circa 800 milioni di euro. Per la cronaca il 2013 rispetto al 2012 mostra un netto miglioramento negli indicatori reddituali di Cassa grazie anche al crescente beneficio degli incassi sui crediti verso Delta.
David Oddone, La Tribuna