San Marino. Nuovo Codice Ambientale, sarà vita dura per i furbetti che sversano nei fiumi … di Alberto Forcellini

Allineare la tutela ambientale allo sviluppo dell’impresa: un programma possibile, o un’utopia? Per tutto il Novecento, l’industria è stata la causa maggiore di inquinamento per aria, terra, acqua; di uso indiscriminato delle risorse, provocando quei cambiamenti climatici che stanno sconvolgendo il pianeta. L’ecologia sacrificata sull’altare del consumismo e del progresso. Ma una nuova sensibilità si sta facendo strada e una coscienza diffusa per cui la tutela dell’ambiente si deve fare attraverso uno sforzo corale da parte dei governi, delle imprese, dei cittadini.

È questo lo spirito informatore del nuovo Codice Ambientale, un atto normativo che andrà a modificare e aggiornare in numerosi articoli il Decreto Delegato n.44 del 27 aprile 2012. Un lavoro coordinato tra più Segreterie di Stato, in particolare tra Territorio-Ambiente ed Interni, partito a marzo 2020 e che si è avvalso del contributo, nelle sue parti tecniche e amministrative, del Capo della Protezione Civile, dei funzionari del Dipartimento Prevenzione, AASS ed Avvocatura dello Stato.

La ratifica è attesa nel prossimo Consiglio. Probabilmente insieme ad una tonnellata di emendamenti. La nuova norma, infatti, introduce alcuni principi che già prima di andare in vigore hanno funzionato come deterrente per chi non è in regola e quindi come incentivo a sanare alcune situazioni border line. Altri soggetti, invece, non sono contenti e vorrebbero continuare ad approfittare di certi privilegi dei quali hanno potuto godere finora.

Tra le novità, l’istituzione del Responsabile Tecnico Gestione Rifiuti (RTGR) che svolgerà azioni dirette ad assicurare la corretta organizzazione nella gestione dei rifiuti da parte dell’impresa e vigilerà sulla corretta applicazione della normativa di riferimento. Tale figura sarà d’obbligo per le attività economiche produttrici di rifiuti speciali pericolosi e mette in capo all’azienda la responsabilità del rifiuto fino a quando non ci sarà la certificazione del corretto smaltimento. Cioè non basterà più mettere i rifiuti in un capannone e lasciarli lì. In casi estremi, se lo Stato dovesse intervenire per lo smaltimento, potrà rivalersi espropriando la proprietà immobiliare.

Altro concetto fondamentale, il divieto di sversare al suolo. E siccome i pochi corsi d’acqua sammarinesi sono talmente piccoli e così spesso a secco, sono considerati “suolo”. Questo vale per le aziende che scaricano nel Marano e anche nel torrente San Marino. Dove sta il problema? Nel fatto che d’ora in avanti dovranno scaricare le loro acque reflue nella rete fognaria, la quale consegna il tutto al depuratore HERA, pagando in percentuale progressiva per il carico inquinante. La cosiddetta tassa ambientale. Chi inquina di più, paga di più. L’alternativa per le aziende a forte tasso inquinante è costruirsi un proprio depuratore e consegnare acque reflue pulite. Per questo c’è chi storce il naso.

Insomma, occorrerà instaurare un percorso virtuoso che contempla molti altri passaggi. L’obiettivo è fare in modo che ambiente e impresa possano declinarsi vicendevolmente, mentre lo Stato ha il ruolo di vigilare su entrambi i soggetti, per il benessere dell’intera comunità.

In altre parole, il caso della ditta Beccari che dopo il fallimento aveva lasciato una vera “bomba ecologica” nel sito di Murata, e la storia infinita della Cartiera Ciacci di Gualdicciolo, i cui comportamenti hanno scatenato anni di proteste da parte dei cittadini residenti, non dovrebbero più verificarsi.

Ben sapendo, tra l’altro, che l’attuale Codice Ambientale non è un punto di arrivo, ma solo una tappa che San Marino sta segnando nel contesto dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, che è un programma d’azione per le persone, il pianeta e la prosperità, sottoscritto nel settembre 2015 dai governi dei 193 Paesi membri dell’ONU. I quali sono stati chiamati a confrontarsi sul fatto e su quanto rimane da fare, il prossimo luglio, nel forum politico che si terrà a New York.

a/f