San Marino: un paese a sovranità (auto) limitata. …. di Biagio Bossone

Biagio BossoneL’antichissima Repubblica di San Marino è uno stato sovrano.

I suoi cittadini sono giustamente fieri dell’identità del loro stato e orgogliosi della sua lunga storia di libertà, da essi custodita nel tempo gelosamente e con saggezza. Tuttavia, la dimensione assai contenuta del territorio e della comunità, nonché l’essere San Marino una piccola enclave di una nazione ben più grande, hanno reso timido il Paese rispetto all’obiettivo di sfruttare la sua piena sovranità nell’ambito della gestione dell’economia nazionale. Mi spiego.

Pensandosi come uno stato piccolo, troppo piccolo per darsi una moneta e dotarsi di opportune leve fiscali per affrontare le vicende alterne dell’economia, San Marino ha finito con l’accettare fatalisticamente che l’andamento della sua economia sia dettato da condizioni esterne, in particolare originanti in quella del grande vicino, senza potervi intervenire con misure correttive. Ma vi è anche dell’altro. La sostenuta crescita della ricchezza di cui il Paese ha beneficiato a partire da fine anni Ottanta, grazie alla diffusione del suo sistema bancario off-shore che ha consentito l’afflusso ingente e sostenuto di danaro facile dentro i confini nazionali e nelle casse dell’erario, ha creato nei sammarinesi la falsa illusione che un vero problema economico in realtà non sussistesse: perché preoccuparsi di gestire l’economia e, soprattutto, di pensare alle congiunture negative se il danaro arriva sempre e in abbondanza?

Purtroppo, o tante volte per fortuna, la storia cambia e i popoli (così come gli individui) si trovano di colpo ad affrontare sfide delle quali non sospettavano nemmeno l’evenienza. Lo “scudo fiscale” eretto dall’Italia nel 2010 e, ancor più, il mutato atteggiamento della comunità finanziaria internazionale riguardo ai cosiddetti “centri off-shore” e ai “paradisi fiscali” durante gli anni più acuti della crisi globale hanno smascherato quell’illusione. E la persistente crisi dell’eurozona, che non poteva non coinvolgere San Marino, ne ha manifestato le gravi conseguenze in tutta la loro cruda evidenza: negli anni della crisi, San Marino si è trovata senza strumenti di politica economica da utilizzare per arginarne gli effetti e rilanciare l’economia.

Sul piano della politica monetaria, in base a una convenzione che di volta in volta si rinnova negozialmente con l’Unione Europea per il tramite dell’Italia, San Marino ha facoltà di utilizzare l’euro. Tuttavia, non ha diritto ad alcuno dei benefici che dalla partecipazione all’euro derivano. In base alla convenzione, per esempio, la Banca Centrale Europea (BCE) e le altre banche centrali nazionali del sistema dell’euro non hanno obbligo di includere gli strumenti finanziari della Repubblica negli elenchi dei valori mobiliari oggetto delle operazioni di rifinanziamento monetario. Dunque, le banche sammarinesi non possono avere accesso alle misure di rifinanziamento che la BCE concede (dietro garanzia) alle banche dei paesi membri dell’eurozona quando queste soffrono problemi di liquidità.

Analogamente, San Marino non può beneficiare degli acquisti di titoli di stato che la BCE sta operando massivamente, attraverso il Quantitative Easing finalmente voluto dal suo presidente Mario Draghi, per migliorare le condizioni di costo del danaro e stimolare le economie in recessione. Peraltro – e questo è l’altro grave aspetto del problema – San Marino non emette titoli di debito pubblico; pertanto, sul mercato dei capitali non circolano titoli sammarinesi che la BCE potrebbe acquistare in cambio di liquidità da immettere nell’economia del Paese. Infine, sempre in base alla convenzione, San Marino non può emettere banconote, monete o sostituti monetari dell’euro di alcun tipo, se non dopo aver concordato con l’Unione europea le condizioni di tali emissioni.

Insomma, l’utilizzo dell’euro ha fatto sì che in questi anni San Marino si sia trovata costretta
a importare le politiche deflazionistiche dell’Unione Europea, pur senza che soffrisse di problemi finanziari minimamente paragonabili a quelli dei paesi mediterranei in crisi, e per di più senza poter accedere a quelle agevolazioni che, per quanto blande, tardive e inefficaci, l’UE ha previsto per i paesi in difficoltà. La sua banca centrale non ha potuto rifinanziare il sistema bancario locale, in crisi di liquidità, se non ridistribuendo la scarsa liquidità già esistente nel sistema.

Inoltre, per sua stessa scelta, la Repubblica non ha attinto al mercato internazionale dei capitali, né per attutire i costi della crisi né per finanziare investimenti pubblici approfittando del basso costo del danaro, investimenti che avrebbero sostenuto l’economia e contribuito a migliorarne la produttività.

La domanda è: perché? Perché San Marino – stato pienamente sovrano – accetta questi obblighi e impedimenti senza dotarsi di strumenti che ne rendano effettiva la sovranità sul piano economico?

In precedenti interventi ho caldeggiato l’introduzione di misure che ovviino in parte a questi ostacoli. I certificati di credito fiscale ne sono un esempio; essi offrono un modo per generare potere d’acquisto in fasi di recessione senza mettere in discussione il ruolo dell’euro. Similmente, l’emissione di debito sovrano, sotto condizioni di adeguato controllo, sarebbe un mezzo utilissimo per sostenere la domanda interna e generare risorse per il futuro del Paese.

Più in generale, è l’uso attivo della politica economica che i cittadini sammarinesi – cittadini di uno stato pienamente sovrano e moderno – devono oggi pretendere affinché lo stato stesso assuma una guida dell’economia nazionale e intervenga sia per migliorare il loro benessere sia per difenderlo quand’esso è sotto la minaccia di fattori negativi interni o esterni.

Che ne pensa l’opinione pubblica?

Che ne pensano i rappresentanti del mondo bancario, che dovrebbero essere tra i primi interessati all’argomento?

Che ne pensano gli industriali e le categorie dei lavoratori?

Sarebbe importante che la politica raccogliesse quest’importante sfida e ne facesse oggetto di un qualificato dibattito.

 

Biagio Bossone, La Tribuna