La drammatica diffusione del virus ha causato un’emergenza sanitaria gravissima e una
crisi economica che non ha precedenti nella storia moderna in tutto il mondo. In molti
Paesi per contenere la pandemia è stato necessario limitare le libertà personali di
movimento, sospendere la didattica di scuole ed università, chiudere temporaneamente
molte attività produttive e limitare di molto anche l’attività politica dei parlamenti e dei
partiti. Inevitabilmente abbiamo assistito alla scomparsa momentanea dei partiti
dall’orizzonte pubblico e all’inevitabile caduta del confronto interno, ma il coronavirus non
può diventare un alibi per sospendere il dibattito e il confronto interno ai partiti. Alcuni si
compiaceranno, altri, forse pochi, si preoccuperanno ma, sicuramente, questa tendenza non
è un bene per la democrazia. Ricordo questo perché da un’inchiesta condotta da autorevoli
osservatori della politica italiana emerge che, in questi mesi, sia l’attività ridotta dei
parlamenti sia la caduta verticale del confronto interno ai partiti avranno una forte
influenza sugli stessi comportamenti politici, e ciò contribuirà ad aumentare quella
tendenza, già presente nel tessuto democratico, di verticalizzazione della politica e la
richiesta dell’uomo forte. Una tendenza, come emerge da questa inchiesta, che rischia di
indebolire progressivamente la stessa qualità della democrazia e delle stesse istituzioni
democratiche.
Una tendenza che diventerà sempre più reale se, come sta accadendo, i partiti
continueranno ad indebolirsi e non verranno più percepiti come tali dall’opinione pubblica.
Ora, se questo è lo scenario, occorre capire cosa fare per invertire la rotta e riprendere, se
possibile, un percorso democratico nei partiti e nella società. Se, invece, si ritiene che la
personalizzazione della politica sarà l’epilogo finale di questo processo, ci si dovrà
rassegnare ad una prospettiva dove accanto ai capi partito ci saranno solo e soltanto dei
comitati elettorali funzionali al capo di turno. Uno scenario decisamente diverso da quello
che il nostro sistema ha conosciuto e sperimentato per molti decenni. La situazione attuale
ci porta a due scelte: o i partiti tornano strumenti politici in grado di veicolare la
partecipazione attraverso programmi e progetti, oppure è del tutto naturale che si
trasformino sempre di più in semplici cartelli elettorali, inutili ai fini di una elaborazione
politica, culturale e programmatica ma saranno conosciuti solo per quello che hanno
rappresentato in un lontano passato. Tutto questo viene rafforzato dal fatto che, in molta
parte dell’opinione pubblica, c’è uno stato d’animo diffuso di rabbia e di paura, in quanto,
in questi ultimi anni, le risposte ai loro problemi della politica in generale non sono apparse
convincenti agli occhi di molti. Inoltre se ci si abituerà al mutismo dei partiti, i quali già da
tempo non godono di grande popolarità e simpatia, sarà molto difficile rispedire al mittente
la voglia popolare dell’uomo forte. Io condivido l’opinione di chi dice che se si potrà trarre
una lezione da questa emergenza sanitaria, sarà quella che nessuno risolve i problemi da
solo, ma saranno necessarie sia la responsabilità dei politici con partiti organizzati e
strutturati sia la competenza dei tecnici. Per queste motivazioni ho ritenuto ancora più
opportuna la richiesta di alcuni compagni, membri della Direzione, riguardante la necessità
di rilanciare il Partito Socialista in modo da superare quello stanco galleggiamento degli
ultimi tempi che ha ulteriormente sbiadito la nostra anima socialista; oltre a ciò ho
apprezzato la decisione unanime della Direzione di affrontare adeguatamente una fase in
cui emergerà una fortissima domanda sociale, puntando innanzitutto sull’identità socialista,
una più marcata autonomia e attraverso un contatto più continuo con la nostra base e con il
paese reale. Dopotutto galleggiando non si affonda ma non si arriva mai a riva, si vaga
unicamente senza meta. Ritengo altresì che sia necessario farlo con urgenza perché senza
un cambio di passo e uno scatto in avanti, chiaramente guardando al Paese che è in uno
stato di disagio e che soffrirà la crisi economica e gli effetti del Virus, del Partito Socialista
delle origini progressivamente rischia di rimanere solo il nome o poco più. In tal caso potrà
continuare a chiamarsi Partito Socialista ma sarà un’altra cosa.
Consigliere Giacomo Simoncini