La modernità, la tecnologia, il cinismo, l’invasione dei social ci hanno rubato gran parte dei valori che un tempo erano l’ossatura della società: la dignità, il rispetto reciproco, l’obbedienza, ovvero quell’educazione civile che una volta si insegnava anche a scuola e che ora è diventata del tutto obsoleta. Per non essere considerati “antiquati” bisogna essere trasgressivi, originali ad ogni costo, disobbedienti. Perfino la parola “Patria” ormai è una parola proibita, al massimo rimpiazzata col suo freddo, impersonale, corrispettivo maschile: “Paese”. Una parola che sa di economia, di Pil, di interessi; un eufemismo fuorviante, un po’ come chiamare “Genitore 2” la mamma.
Il diritto di critica è diventato diritto di diffamazione, in quanto non si concretizza nella mera narrazione di fatti, ma si esprime in un giudizio avente carattere necessariamente soggettivo rispetto ai fatti stessi. In filigrana ecco dunque comparire la distorsione dei fatti, che leggiamo ogni giorno nella narrazione politica e che spesso coinvolge anche la cronaca. Fermo restando l’onere del rispetto della verità, esso compare comunque più attenuato rispetto all’esercizio del diritto di cronaca, in quanto la critica esprime un giudizio di valore che, in quanto tale, non può pretendersi rigorosamente obiettivo.
E così, sempre più spesso, l’affermazione della propria libertà e del proprio diritto di critica coinvolge l’intera comunità, le sue istituzioni e l’intero Paese. L’immagine che ne emerge, quasi sempre non corrisponde ai suoi valori fondanti, alla sua tradizione storica, alle sue istituzioni, così uniche, così affascinanti come sono quelle sammarinesi.
E qui che ci si accorge come sia venuto progressivamente a meno quell’amore per la Patria, o patriottismo, che rappresenta il sentimento profondo di amare la nostra Repubblica e l’orgoglio di farne parte, della sua gente, del suo territorio, della sua storia, della sua cultura e del suo progetto comune. L’amor patrio è un’espressione di rispetto e di accettazione dell’eredità ricevuta, l’apprezzamento a coloro che ci hanno preceduto nella costruzione dello Stato e delle sue leggi.
Sappiamo bene che la Patria è spesso popolata da individui sconosciuti, che in alcuni casi sono perfino ignoranti, disonesti o poco apprezzabili. Quando la Patria chiama, non è per gettare le braccia al collo del cittadino, come un figlio piccolo, una madre, o una moglie; né per spalancare le porte della celebrità. Di solito è sempre per una “fregatura”, per un’emergenza economica, per un dovere fiscale, per un obbligo amministrativo. La Patria è laica e “anaffettiva” ed esige il più grande degli sforzi, quello di subordinare la propria individualità al bene collettivo.
Primordiale tribù allargata, la Patria chiede a ciascuno di fare il suo dovere anche se non si condividono gli obiettivi che essa si è prefissata. L’amore per essa richiede quindi lo sforzo supremo, comporta l’intelligenza razionale più alta, il più nobile dei sentimenti e il più faticoso dei sacrifici, ben oltre qualsiasi ritorno ego-individualistico dai propri familiari o di qualche beneficio .
Amarla è la cosa più difficile, più rischiosa, più dura, e col minore compenso. Eppure è l’unica cosa in cui tutti ci possiamo riconoscere, è l’unica che abbiamo e che forse dobbiamo riscoprire.
a/f