Magari alla fine è una resurrezione. Politica, ovvio. Quattro anni fa Federico Pizzarotti stava sul divano. «Poi Grillo mi ha fatto alzare». Alzati e cammina. Lui ha seguito il Maestro ma di passi ne ha fatti troppi, e pure camminando da solo. Così ora si ritrova a raccontare che se ne va. Che lascia il padre Grillo. Mica normale per un grillino. Lo fa dal Comune di Parma, in una sala così gremita e accaldata che sembra Rimini d’agosto. «Non è semplice fare questo passo», esordisce Pizzarotti. E guarda alla sua destra e alla sua sinistra, dove siedono assessori e consiglieri fedelissimi. «Un gruppo compatto lontano da arrivisti e ignoranti», dirà poi di loro. In fondo alla sala, un quadro del Seicento. E’ il «Cristo deriso», il Nazareno umiliato dalla soldataglia romana, le spine sul capo. Padre, se puoi risparmiami tutto ciò, pare sentirlo implorare. Ma il padre Grillo che ha taciuto per 144 giorni, ora lo scaccia dal Paradiso: «Pizzarotti è uscito dal Movimento. Sono contento e specialmente per lui. Spero che si goda i suoi quindici minuti di celebrità». Un anatema, dopo i 144 giorni di calvario. «Freddo, distaccato, distante e oserei dire quasi inumano», replica l’ex discepolo. Che però quel padre vorrebbe incontrare ancora: «Gli direi: Beppe, prendiamoci un caffè».
IN MEZZO una storia che doveva essere diversa. L’avviso di garanzia, la «sospensione ad personam, illegittima», l’assoluzione, il silenzio, «la codardia di non farmi neppure una telefonata, in 144 giorni». L’ipocrisia di chi gli ripete che «decide il garante». Chissà quando. «Quelli – sbotta Pizzarotti contro il direttorio – non hanno un minimo di umanità, si dovrebbero vergognare di non aver preso neppure una decisione. Era più dignitoso se mi avessero espulso». Il direttorio, un sinedrio che si nasconde dietro il garante-Pilato.
Federico Pizzarotti incarna dunque lo scisma. Da figlio prediletto a eretico bandito. Lui lo sa, e nel suo monologo d’addio che dura quasi tre quarti d’ora, rivendica la purezza perduta del Movimento, il mito delle origini tradite. Una litania: «Il Movimento era formato da persone libere e critiche, adesso c’è il direttorio dei nominati». «Eravamo quelli che volevano aprire il Parlamento, quelli dello streaming, ora siamo quelli delle stanze chiuse». «Facevamo i banchetti a meno 5 quando avevamo percentuali da prefisso telefonico, ora per qualcuno è più comodo farsi i selfie e andare in tv». «Oggi contano talebani e oltranzisti. E con Di Maio vanno di moda i lobbisti». Morale finale: «Sono sempre stato un uomo libero, non posso che uscire da questo Movimento».
L’ADDIO brucia, è un cordone ombelicale strappato. Eppure gli hanno fatto percorrere un cammino penitenziale. La solitudine: «Non c’è più coscienza critica, io mi sono stancato di farla da solo». Il tradimento: «Ci sono parlamentari che mi chiedono come va e poi hanno paura a farsi fotografare con me». Il dileggio: «Sarà un linciaggio sul web». L’agnello sacrificale: «Ho pagato perché ho messo la mia città davanti al tornaconto del Movimento».
Ne aveva, in gola, da buttare fuori. Il tornaconto era quello di Casaleggio, rivela Pizzarotti: «Nel 2013 ho subito pressioni e messaggi sgradevoli». Casaleggio voleva che gettasse l’abito del sindaco, perché non era riuscito a bloccare l’inceneritore. «Ma non potevamo abbandonare questa città sull’orlo del default», sospira.
Qualcuno apra una finestra. Un filo d’aria. Che farà ora Pizzarotti? Intanto c’è da decidere se ripresentarsi ai parmigiani per le elezioni comunali del 2017. Lista civica? Si vedrà. «Avrei voluto candidarmi con il simbolo dei 5 Stelle». Inutile. Ma fuori, oltre Parma, c’è un Paese. «Civati? L’Idv? Nessuno mi mette il cappello in testa». Però…
Però «in Italia serve qualcuno che possa affrontare le difficoltà di questo Paese. In Italia c’è un problema di credibilità della classe politica, di ideali. C’è bisogno di valori chiari e di poterli esprimere». Ecco, l’ha detto. Sul divano quest’uomo non tornerà più. Il Resto del Carlino
