San Marino. PRIMA PARTE. Guzzetta perde ancora. Il giudice prof. Giuseppe Severini conferma la sentenza di primo grado relativa all’annullamento in autotutela della sua nomina a dirigente da parte del Consiglio Giudiziario Plenario

Ecco quanto viene scritto nella sentenza a firma del giudice d’appello per la responsabilità civile dei magistrati, nella veste di giudice amministrativo di appello, Prof. Giuseppe Severini nel ricorso d’appello n.008/2022.

Prof. Giuseppe Severini – giudice sammarinese d’appello per la responsabilità civile dei magistrati

 

REPUBBLICA DI SAN MARINO TRIBUNALE
NEL NOME DI DIO E DELLA SERENISSIMA REPUBBLICA DI SAN MARINO

Ricorso d’appello n. 8/2021 Il Giudice d’appello per la responsabilità civile dei magistrati
in veste di Giudice Amministrativo d’appello (per decreto del Dirigente del Tribunale 20 ottobre 2021)
ha pronunciato la seguente SENTENZA nel ricorso amministrativo d’appello iscritto al Ruolo Generale n. 8/2021 promosso da Prof. Avv. Giovanni GUZZETTA (Avv. L. Diotallevi del Foro di Roma; Avv.ti E. Santi ed E. Carattioni) – appellante-

contro Consiglio giudiziario Plenario e gli Eccellentissimi Capitani Reggenti (Avvocatura dello Stato) – Amministrazione resistente —

e nei confronti di Valeria Pierfelici  e Giovanni Canzio
– controinteressati —

avverso la sentenza di n. 15/2021 depositata in data 25 giugno 2021 nei ricorsi amministrativi di I grado riuniti n. R.G. 20 e 36 anno 2020 con la quale sono stati dichiarati inammissibili i ricorsi.

FATTO
Con atto di appello ex art. 19 I. 28 giugno 1989 n. 68, depositato il 29 luglio 2021, reiterato con ulteriore difensore con atto depositato il 7 settembre 2021, il prof. avv. Giovanni Guzzetta ha impugnato la sentenza del Commissario della Legge in funzione di Giudice Amministrativo di primo grado 25 giugno 2021, che afferma notificatagli il 29 giugno 2021, che aveva dichiarato inammissibile il suo ricorso 25 settembre 2020 e il successivo suo ricorso 25 novembre 2020 avverso la delibera del Consiglio giudiziario riunito in seduta plenario 24 luglio 2020, e la comunicazione pervenutagli il 27 luglio e 4 agosto 2020, con cui si disponeva “l’annullamento d’ufficio delle deliberazioni assunte dal Consiglia giudiziario Plenario in data 19 dicembre 2017 e 5 marzo 2018 in merito alla censura e alla revoca dell’allora magistrato Dirigente dott.ssa Valerlo Pierfelici, nonché della delibera in data 12 marzo 2018 in merito alla nomina del Magistrato Dirigente Ferroni e della delibera della seduta del 30 novembre 2018 in merito alla nomina del Dirigente Gazzetta“;

la delibera in forma integrale e definitiva del consiglio giudiziario plenario, nonché tutti gli atti prodromici (in particolare il comma 3 dell’ordine del giorno della seduta 24-25 luglio 2020 del Consiglio giudiziario plenario), l’atto di annullamento della nomina del Dirigente Ferroni, quale atto presupposto e invalidante la nomina del prof. Guzzetta, nonché, se esistente, l’atto in base al quale la dott.ssa Pierfelici aveva assunto l’incarico di Dirigente del Tribunale dopo l’approvazione della delibera di annullamento d’ufficio della nomina del prof. Guzzetta e gli atti comunque connessi e consequenziali a quelli impugnati, e segnatamente la delibera (non conosciuta allo stato nella sua interezza) del Consiglio giudiziario riunito in seduta plenaria del 28 settembre 2020, con la quale il dott. Giovanni Canzio era stato nominato Dirigente del Tribunale di San Marino; la delibera in forma integrale e definitiva del Consiglio giudiziario plenario, nonché tutti gli atti prodromici e gli atti comunque consequenziali a quelli impegnati.

A tal fine, l’appellante prof. Guzzetta ha indicato, quali organi che hanno emanato gli atti, il Consiglio giudiziario riunito in seduta plenaria e gli Eccellentissimi Capitani Reggenti; e quali controinteressati la dott.ssa Valeria Pierfelici e il dott. Giovanni Canzio.

Con decreto del Dirigente del Tribunale 20 ottobre 2021, la trattazione dell’appello (fascicolo RG 8/2021) è stata assegnata a questo Giudice d’appello per la responsabilità civile dei magistrati, sul presupposto della manifesta incompatibilità di entrambi i giudici titolari del giudici titolari d’appello per le funzioni civili e amministrative (dott.ssa Valeria Pierfelici e prof.ssa Laura Di Bona), a causa della contemporanea loro posizione di giudicanti e controinteressati; dell’analoga posizione di manifesta incompatibilità del giudice d’appello con funzioni penali, prof. David Brunelli, avente preso parte alla deliberazione consiliare oggetto del ricorso; e considerata – sulla base della sentenza del Giudice per i rimedi straordinari in materia penale n. 8/21 del 7 luglio 2021, che, “In una situazione analoga a quella in oggetto, ne evidenzia la possibile compromissione della serenità di giudizio, accogliendone la richiesta di astensione” – la “situazione di obiettiva incompatibilità’ del giudice d’appello con funzioni penali, prof. Francesco Caprioli.

Vale qui riepilogare il precedente svolgimento del processo:

a) Con un (primo) ricorso di primo grado (presentato il 25 settembre 2020, rubricato al n. RG 20/2020) il prof. Guzzetta aveva impugnato principalmente la delibera del Consiglio giudiziario riunito in seduta plenaria del 24 luglio 2020 (con cui, attraverso l’autoannullamento – in virtù della ritenuta retroattività della legge qualificata n.1 del 2020 – dell’atto del 5 marzo 2018 di revoca della Dirigente del Tribunale dott.ssa Valeria Pierfelici, era stata posta nel nulla la sua conseguenziale nomina 30 ottobre – rectius: novembre -2018 a quell’ufficio), lamentando quanto segue:

1) Come Dirigente non-magistrato del Tribunale (figura resa possibile dalla legge qualificata n. 2 del 2011) godeva (anche in virtù dell’art. 6 della legge qualificata n. 145 del 2003, come modificata dalla legge qualificata n.1 del 2019, e della sentenza del Collegio garante della costituzionalità delle norme n. 9 del 2019) dell’identico trattamento dei magistrati, anche quanto a prerogative e guarentigie: inclusa tra queste la partecipazione — in quota alla rappresentanza sostanziale deí magistrati – al Consiglio giudiziario;

2) Nondimeno, riguardo alla seduta del Consiglio giudiziario in seduta plenaria del 24 luglio 2020, gli era stato negato di esprimere il voto, in ragione dell’art. 2 (Modifica al quarto comma dell’articolo 6 della Legge Qualificata 30 ottobre 2003 n.145 e sue successive modifiche) della legge qualificata 8 febbraio 2020, n. 1 (Composizione del Consiglio giudiziario in seduta plenaria), a tenore del quale «Il Dirigente non Magistrato, nominato ai sensi del comma precedente, partecipa al Consiglio giudiziario senza diritto di voto, sia in seduto ordinaria che in seduta plenaria, (…]»: ma, a dire di esso ricorrente Guzzetta — si tratta di disposizione incostituzionale (per contrasto con l’art. 4 e l’art 15 della Dichiarazione dei diritti dei cittadini e dei principi fondamentali dell’ordinamento sammarinese; e l’art. 4 della Dichiarazione dei diritti e l’art. 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo) perché incide sulla condizione del Dirigente non Magistrato in atto e contrasta con la menzionata sentenza del Collegio garante della costituzionalità delle norme n. 9 del 2019 che riconosce alla figura la “sostanziale rappresentanza della magistratura” con le inerenti prerogative. Sicché egli ricorrente formalmente sollevava al riguardo questione di legittimità costituzionale dell’art. 2 della legge qualificata n. 1 del 2020.

3) Ancora rilevava il ricorrente prof. Guzzetta che, sempre riguardo alla seduta del Consiglio giudiziario in seduta plenaria del 24 luglio 2020, l’art. 7, sul Consiglio giudiziario, della legge qualificata n. 145 del 2003 impone — per bilanciare, ai fini della tutela dell’autonomia e indipendenza della magistratura, la componente togata con quella non togata – che «il numero dei Magistrati con diritto di voto deve comunque essere sempre pari a quello degli altri componenti aventi diritto di voto»: e stabilisce altresì che «in tutti i casi che li riguardano non possono partecipare alla discussione e alla deliberazione I magistrati interessati». Per conseguenza, la sua necessaria (per immanente conflitto) non partecipazione alla delibera di autotutela circa la sua predecessore Pierfelici — per rispettare quell’equilibrio — avrebbe dovuto avere la partecipazione, ad esempio, di un aggiuntivo commissario della legge: ma così non è stato e dunque si è violata la prima indicata disposizione.

4) Il ricorrente prof. Guzzetta assumeva poi che la delibera impugnata era stata adottata in violazione dell’art. 3, comma 3, punto 7) della legge costituzionale 16 dicembre 2005, n. 185 (che affida ai Capitani Reggenti la convocazione e la presidenza del Consiglio giudiziario) ed eccesso di potere per contraddittorietà, carenza di istruttoria e violazione dell’ordine del giorno della seduta del 24 luglio 2020, perché l’ordine del giorno – comma 3,- era formulato in modo tale («esame dei ricorsi avversa deliberazioni assunte dal Consiglio giudiziario riunito in seduta Plenaria ed eventuali determinazioni di competenza») da non mettere in condizione i convocati di ben conoscere l’oggetto della deliberazione, né era stato fornito materiale istruttorio; né era stato comunicato l’avvio del procedimento di autotutela a interessati e controinteressati, ai sensi dell’art. 12 e dell’art. 13 della legge n. 160 del 2011.

5) Il ricorrente prof. Guzzetta assumeva altresì la violazione dello stesso dell’art. 12 della legge n. 160 del 2011 per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento, per violazione del principio del contraddittorio e della partecipazione procedimentale, per eccesso dí potere per mancanza di istruttoria e travisamento dei fatti. Egli non aveva, infatti, avuto quella formale comunicazione, sebbene evidentemente controinteressato: sia all’autoannullamento della revoca della nomina della dott.ssa Pierfelici che all’autoannullamento della propria nomina a Dirigente del Tribunale. Dal che la lesione delle sue garanzie partecipative.

6) Ancora, il ricorrente prof. Guzzetta lamentava la violazione dell’art. 44 della legge n. 166 del 2011 e dell’art.8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, per omessa presa in considerazione del suo interesse di controinteressato, e con eccesso di potere: tanto più che egli, per poter assumere l’ufficio di Dirigente del Tribunale, aveva rinunziato alla condizione di componente del Collegio garante della costituzionalità delle norme; e che assai contenuto sarebbe stato il residuo periodo —se non scaduto – di possibile permanenza quinquennale nell’Ufficio della dott.ssa Pierfelici (significativamente quasi subito dimessasi dopo la reintegrazione, lasciando così sguarnito il posto).

7) ll ricorrente prof. Guzzetta si doleva poi di violazione dell’art. 44 della legge n. 166 del 2011 per omesso rispetto del requisito del termine ragionevole per poter procedere all’autoannullamento, con vari profili di eccesso di potere: al 24 luglio 2020 erano infatti intercorsi ben ventotto mesi dalla revoca della nomina della dott.ssa Pierfelici.

8) Il ricorrente prof. Guzzetta lamentava poi, ancora in violazione del citato art. 44, la mancanza reale ed effettiva di ragioni di concreto pubblico interesse all’annullamento, con vari profili di eccesso di potere, sola essendosi addotto un preteso ripristino della legalità che sarebbe stata violata con la delibera di revoca del 2018.

9) Oltre ciò, egli ricorrente prof. Guzzetta contestava l’automatismo del travolgimento della nomina del Dirigenti del Tribunale successivi alla dott.ssa Pierfelici, vale a dire il compianto prof. Ferroni ed esso Guzzetta, quando invece si sarebbe dovuto apprezzare in concreto e con riguardo all’attualità l’interesse pubblico alla sua permanenza nell’Ufficio. Tanto più che la dott.ssa Pierfelici, che era stata nominata per cinque anni il 7 maggio 2015, al 24 luglio 2020 non poteva più essere davvero reintegrata nelle funzioni e che, comunque, non era stata destinataria di uno specifico e motivato provvedimento di reintegro, pur necessario dopo l’autoannullamento della sua revoca.

10) Infine, il ricorrente Guzzetta contestava la mancanza di un accertamento di vizi autonomo della di lui nomina, necessario per procedere al relativo autoannullamento.

b) Con un (secondo) ricorso di primo grado (presentato il 25 novembre2020, rubricato al n. RG 36/2020) il prof. Guzzetta ha altresì impugnato la delibera del Consiglio giudiziario riunito in seduta plenaria del 28 settembre 2020, con cui era stato nominato nuovo Dirigente del Tribunale il dott. Giovanni Canzio.

A seguito di tali ricorsi, il Giudice per i Rimedi Straordinari accoglieva su entrambi le istanze di astensione e il 6′ aprile 2021 i fascicoli venivano dal Dirigente del Tribunale al Commissario della Legge Francesco Santoni.

Il Commissario della Legge, con ordinanza del 23 aprile 2021, respingeva la domanda cautelare dí sospensione avanzata dal ricorrente e fissava l’udienza di discussione per il successivo 31 maggio 2021 (riunendo i fascicoli RG nn. 20 e 36 del 2020).

Il 25 giugno 2021, il Commissario della Legge in funzione di Giudice Amministrativo di primo grado ha dichiarato inammissibili i ricorsi per carenza di mandato, posta l’insanabile irregolarità del mandato ad litem rilasciato dal prof. Guzzetta, che non era stato prodotto in originale in giudizio, con riguardo alla certezza circa la sottoscrizione del medesimo sulla procura alla lite.

Con gli indicati atti di appello, il prof. avv. Giovanni Guzzetta reitera i motivi già espressi in primo grado, facendoli precedere dalla censura specifica delle ragioni appellata decisione in rito, assunta per omesso accertamento tecnico su quanto rilevato, pur nella carenza della necessaria eccezione dell’Amministrazione resistente e trattenuto in decisione senza alcuna messa in sua condizione di dedurre sul punto (il che a suo dire violerebbe gli artt. 15 della Dichiarazione dei diritti e 6 della Convenzione Europeo dei Diritti dell’Uomo). L’art. 5, comma 2, della legge n. 68 del 1989, egli afferma, non impone che il mandato sia prodotto in giudizio in forma e con firma originale, come invece ritiene la sentenza.

Si è costituita in giudizio l’Amministrazione, in figura del Consiglio giudiziario e degli Eccellentissimi Capitani Reggenti, contestando l’appello.

Successivamente, con “istanza difensiva” del 29 novembre 2021, la difesa dell’appellante prof. Guzzetta ha presentato un’istanza con cui ha sollevato eccezione pregiudiziale di difetto di giurisdizione e di competenza di questo Giudice d’appello per la responsabilità civile dei magistrati, domandando la conseguente trasmissione del fascicolo al Giudice per i rimedi straordinari ovvero al giudice ritenuto competente a dirimere i conflitti tra l’Autorità giudiziaria ordinaria e lo stesso Giudice d’appello per la responsabilità civile dei magistrati secondo le procedure dell’art. 1 della legge 25 aprile 2003 n. 55 ovvero dare i provvedimenti per salvaguardare il principio della precostítuzione del giudice naturale. In sostanza, l’eccezione si fonda sull’asserito difetto di giurisdizione di questo Giudice d’appello per la responsabilità civile dei magistrati, non essendosi avverata la condizione per lo spostamento di giurisdizione, di cul all’art. 2 della legge costituzionale 30 ottobre 2003 n. 144, come mod. dall’art. 1 della legge costituzionale 3 dicembre 2020 n.2, a tenore del quale « […] i Giudici per l’azione di responsabilità civile sono inoltre competenti a giudicare su un procedimento civile, penale o amministrativo, qualora tutti í competenti giudici si siano legittimamente astenuti o siano stati legittimamente ricusati o comunque non possano più giudicare per essersi già pronunciati.». Non era, infatti, a tal fine sufficiente il mero provvedimento del Dirigente del Tribunale 20 ottobre 2021, rilevante la “manifesta” o “obiettiva” incompatibilità di tutti i giudici d’appello ordinari, emesso in assenza di una dichiarazione di tali giudici; sicché non ricorreva il presupposto per derogare al principio del giudice naturale precostituito per legge (giacché non risultava che tutti i giudici d’appello ordinari si fossero legittimamente astenuti, né provvedimenti del Giudice peri rimedi straordinari di accoglimento di astensioni o ricusazioni nei confronti di tutti i magistrati ordinari d’appello; né risultava che tutti costoro «comunque non possano più giudicare per essersi già pronunciati»). A tale riguardo, l’essersi già pronunciati andrebbe — per l’appellante – inteso “in senso tecnico in modo pregiudizievole per il successivo giudizio o la successiva sentenza” e la legittima astensione o l’essersi già pronunciati vanno accertati [solo] dal Giudice per i rimedi straordinari (art. 3, ultimo comma e art. 4, primo comma, della legge costituzionale n. 144 del 2003; nonché legge 16 settembre 2011 n. 139 in attuazione della legge qualificata 30 ottobre 2003 n. 145). In particolare, la prof. Laura Di Bona non è “controinteressata” e non risulta che il prof. David Brunelli, pur convocato al Consiglio giudiziario, abbia preso parte alla deliberazione del 24 luglio 2021 di cui si verte; circa il prof. Francesco Caprioli, l’incompatibilità accertata dal Giudice per i rimedi straordinari (sentenza 7 luglio 2021, n. 8) si riferisce a motivi di sua astensione (la sottoscrizione di missive a organi nazionali e internazionali, insieme ad altro magistrato) inerenti la sola vicenda penale (processo 614/2020), che presenta di suo il “supposto rapporto di consuetudine e vicinanza” rispetto a quel prevenuto penale, mentre qui si verte solo della legittimità di un atto amministrativo. La medesima sottoscrizione è stata del resto operata dal giudice amministrativo di primo grado, che non è stato sostituito, perciò vi è ora contraddizione riguardo all’atto contestato del Dirigente del Tribunale. Inoltre il prof. Caprioli, in ragione della retroattività della legge qualificata n. 1 del 2020 in tema di ordinamento giudiziario, non faceva parte del Consiglio giudiziario da prima degli atti qui impugnati. In ultimo, la difesa dell’appellante prof. Guzzetta eccepisce il rischio di violazione dell’art. 6, sulla precostituzione del giudice, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Da tutto ciò consegue, per la sua difesa, l’improcedibilità del presente giudizio e comunque — se si verte di una questione di competenza all’interno della medesima giurisdizione – un conflitto da dirimere ad opera del Collegio Garante della Costituzionalità delle leggi (in analogia all’art. 3 della legge costituzionale 30 ottobre 2003 n. 144, come mod. dall’art_ 1 legge 26 gennaio 2012 n.1 riguardo alla Corte per il Trust e i rapporti fiduciari) ovvero — se si verte di una questione di giurisdizione – ad opera del Giudice per i rimedi straordinari in materia civile (secondo le procedure sui conflitti di giurisdizione ai sensi del Capo I della legge 25 aprile 2003 n. 55).

Inoltre, ancora successivamente, con atto del 1 dicembre 2021 la difesa del medesimo appellante prof. Guzzetta — evocando la sentenza del Collegio garante della costituzionalità delle norme 23 luglio 2019, n. 9 – torna a sollevare, come già in primo grado (e senza che quel giudice la valutasse), ai sensi dell’art. 13 della legge qualificata 25 aprile 2003 n. 55, questione di legittimità costituzionale dell’art. 2 della legge qualificata 20 febbraio 2020 n 1 per violazione dell’art. 4 della Dichiarazione dei diritti nonché dell’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, nella parte in cui in corso di mandato sottrae al Dirigente del Tribunale non magistrato il potere di voto in Consiglio giudiziario, così ledendo e in modo retroattivo autonomia e indipendenza della magistratura e l’affidamento del titolare sui propri poteri: e, nel merito della controversia, ha chiesto che in totale riforma dell’appellata sentenza 25 giugno 20221, siano annullati:

a) la comunicazione pervenuta ii 27 luglio/4 agosto (con cui venne comunicato l’annullamento d’ufficio delle deliberazioni del Consiglio giudiziario Plenario del 19 dicembre 2017 e del 5 marzo 2018 dí censura e revoca del Dirigente del Tribunale dott.ssa Valeria Pierfelici, nonché delle delibere 12 marzo 1018 di nomina a Dirigente dei dott. Ferroni e 30 novembre 2018 di nomina del Dirigente prof. Guzzetta);

b) il provvedimento di definizione del punto 3 dell’ordine del giorno del Consiglio giudiziario Plenario del 14-25 luglio 2020;

c) la definitiva delibera del Consiglio giudiziario Plenario, con l’annullamento d’ufficio della revoca della dott.ssa Pierfelici a Dirigente, l’annullamento d’ufficio della nomina a Dirigente del dott. Ferroni e l’annullamento d’ufficio della nomina a Dirigente del prof. Guzzetta;

d) l’eventuale atto con cui la dott.ssa Pierfelici ha assunto l’incarico di Dirigente del Tribunale dopo l’annullamento d’ufficio dell’annullamento d’ufficio della revoca della Dirigente Pierfelici, la nomina del Dirigente Ferroni, la nomina del Dirigente Guzzetta;

e) la delibera di nomina 28 settembre 2020 (appresa il 29 settembre 2020) a Dirigente del dott. Giovanni Canzio;

f) gli atti presupposti, connessi e conseguenziali.

Nel merito, questa memoria difensiva argomenta ulteriormente, rispetto all’atto di appello, sull’erroneità dell’appellata sentenza circa le forme del mandato alla lite, assumendo che il vizio era sanabile dalla parte nel corso del processo, a seguito di disposizione del giudice che la autorizzasse a questo, la memoria assume come segno di illegittimità che la direttamente interessata dott.ssa Pierfelici fosse, con effetti determinanti, rimasta in aula – ad assicurare il numero legale di dodici (ex art. 7, comma 10, della legge qualificata n. 145 del 2003) – ed avesse, contro l’art. 7, comma 13, partecipato alla discussione, benché avesse annunciato la propria astensione per conflitto di interessi. Dal verbale risulta che erano assenti sei membri togati e quattro laici e dunque la presenza della dott.ssa Pierfelici era necessaria per assicurare il detto numero legale.

L’Avvocatura di Stato, con memoria 27 settembre 2021, ha ribadito l’infondatezza dell’appello. L’appellante ha -in particolare con memorie del 4 e del 28 gennaio 2022 – riproposto sia l’eccezione di difetto di competenza / giurisdizione di questo giudice; sia l’incidente di costituzionalità – ai sensi dell’art. 13 della legge qualificata 25 aprile 2003 n.55 – dell’art. 2 della legge qualificata 20 febbraio 2020 n.1 circa il potere di voto del Dirigente del Tribunale quando non magistrato in Consiglio giudiziario plenario.

L’Avvocatura di Stato contrasta l’assunto a base della questione di costituzionalità. La causa è stata discussa dalle parti e trattenuta in decisione all’udienza del 14 febbraio 2022, cui ha presenziato il prof. Guzzetta.

DIRITTO

1) La valutazione in rito e in merito dell’appello del prof. avv. Giovanni Guzzetta avverso la sentenza del Commissario della Legge in funzione di giudice amministrativo di primo grado 25 giugno 2021 va preceduta dal vaglio dell’eccezione pregiudiziale, sollevata con ”l’istanza difensiva” sopra richiamata e ribadita, di difetto di giurisdizione e di competenza di questo Giudice d’appello per la responsabilità civile dei magistrati. L’eccezione verte su un presupposto processuale di validità del processo e, per antica regola, la verifica del potere è il primo dei compiti di un organo pubblico quando si dubiti o si possa dubitare della sua investitura.

Il principio generale tempus regit actus impone che questa valutazione avvenga alla luce delle norme vigenti al tempo dell’incardinamento del processo – cui dal punto di vista processuale segue la perpetuatio iurisdictionis (ubi semel acceptum ludicium, ibi finem accipere debet, Dig. 5.1.31) – e non delle norme poi sopravvenute come la legge costituzionale 7 dicembre 2021 n. 1 (La Magistratura. Ordinamento giudiziario e Consiglio giudiziario) (che peraltro sul tema ribadisce le fattispecie preesistenti, sicché non si porrebbe questione di diversa disciplina).

In questo contesto, il primo tema è se in realtà si tratti di questione di giurisdizione ovvero di questione di competenza: e con riguardo non già — com’è in molti ordinamenti — al rapporto tra giustizia civile e giustizia amministrativa (che qui l’appellante presuppone come rientranti nella medesima giurisdizione) ma al rapporto tra, da un lato, giustizia civile, amministrativa e penale; e, da un altro lato, il Giudice per l’azione di responsabilità civile dei magistrati. L’appellante infatti assume questo giudice come giudice speciale anche per quanto attiene alla seconda ipotesi — che qui opera con il contestato decreto del Dirigente del Tribunale 20 ottobre 2021 — dell’art. 2 della legge costituzionale 30 ottobre 2003 n. 144, come mod. dall’art. 1 della legge costituzionale 3 dicembre 2020, n. 2, a tenore del quale «L’azione di responsabilità civile dei magistrati è assegnata alla competenza dei Giudici per l’azione di responsabilità civile. I Giudici per l’azione di responsabilità civile sono inoltre competenti o giudicare su un procedimento civile, penale o amministrativo, qualora tutti i competenti giudici si siano legittimamente astenuti o siano stati legittimamente ricusati o comunque non possano più giudicare per essersi già pronunciati».

2) Come già detto in narrativa, il decreto del Dirigente del Tribunale 20 ottobre 2021 ha assegnato la trattazione del presente fascicolo n. 8/2021 a questo Giudice d’appello per la responsabilità civile dei magistrati sulla base della ritenuta manifesta incompatibilità dei giudici titolari d’appello per le funzioni civili e amministrative, dott.ssa Valeria Pierfelici e prof.ssa Laura Di Bona, a causa della contemporanea loro posizione di giudicanti e controinteressati; dell’analoga posizione di manifesta incompatibilità del giudice d’appello con funzioni penali, prof. David Brunelli, che ha preso parte alla deliberazione consiliare oggetto dei ricorso; e dell’obiettiva incompatibilità del giudice d’appello con funzioni penali, prof. Francesco Caprioli in ragione della sentenza del Giudice per i rimedi straordinari in materia penale n. 8/21 del 7 luglio 2021, che, “in una situazione analoga a quella in oggetto, ne evidenzia la possibile compromissione della serenità di giudizio, accogliendone la richiesta di astensione”. Sicché, “considerate le imprescindibili esigenze di economia processuale e di speditezza del processo”, la trattazione del processo è stata assegnata a questo Giudice d’appello per la responsabilità civile dei magistrati.

Il detto decreto del Dirigente del Tribunale, pertanto, ha devoluto fa trattazione e decisione della controversia amministrativa a questo Giudice d’appello per la responsabilità civile dei magistrati per incompatibilità delle persone del giudici titolari d’appello immedesimati nelle funzioni civili, amministrative, penali.

3) Si tratta, evidentemente, non di incompatibilità endoprocessuale (cioè per atti già compiuti nel processo) ma di incompatibilità riguardo al processo. La questione di fondo si riversa su un tema essenziale e di prioritario rilievo nell’amministrazione della giustizia, la salvaguardia dell’imparzialità del designando giudice per preclusioni a giudicare da conflitti di interessi (incompatibilità, appunto) rilevati prima dell’assegnazione del processo.

Sul tema si riflettono tratti capitali della fiducia nell’ordinamento e dell’eguaglianza davanti alla legge: per questo suo rilievo merita qui adeguato approfondimento, anche con riguardo al sistema complessivo dell’organizzazione della giustizia della Repubblica di San Marino. Poiché tocca gli ambiti della giurisdizione e della competenza, la questione va dunque esaminata con primo riguardo al contesto dell’ordinamento giurisdizionale della Repubblica. Come risulta dalle sedimentate disposizioni regolanti la materia e in particolare dalla legge costituzionale 30 ottobre 2003 n.144 (Organi del potere giudiziario. Istituzione, definizione e responsabilità) e successive modificazioni e dalla legge qualificata 30 ottobre 2003 n.145 (Disposizioni sull’ordinamento giudiziario) e successive modificazioni, l’ordinamento giurisdizionale sammarinese non contempla giudici che davvero possano essere definiti speciali (vale a dire, per communis opinio, giudici di settore a ordinamento separato che rendono decisioni caratterizzate da una particolare efficacia) ma solo giudici che si presentano come specializzati: e compone un sistema a giurisdizione unica, articolata per competenze funzionali.

Sono dirimenti a questo riguardo non solo il dato storico dell’art. 1 (Istituzione del Tribunale Unico) della legge qualificata 20 ottobre 2003 n.145, che — prima della modifica portata dall’art. 1 della legge qualificata 6 settembre 2011 n.2 – esordiva dicendo che «Gli organi del potere giudiziario esercitano la giurisdizione ordinaria ed amministrativa organizzati in un Tribunale unico, articolato in due sezioni specializzate corrispondenti alle due giurisdizioni»; lo sono soprattutto i dati strutturali e connotativi dell’ordinamento giurisdizionale sammarinese, che — in rapporto alla particolarità dell’ordinamento generale della Repubblica – definiscono nella sua globalità la realtà dell’assetto della giurisdizione e fanno superare alcune, comunque marginali, incongruenze specialmente lessicali.

Così, già dal punto di vista formale, tutti i magistrati in questione, e altresì il Giudice peri rimedi straordinari e la Corte per il trust e i rapporti fiduciari, sono trattati unitariamente dall’art. 2 (Organi del potere giudiziario) della legge costituzionale n. 144 del 2003, come mod. dall’art. 1 della legge costituzionale 16 settembre 2011 n. 2. Tutti i magistrati comunque sono reclutati su selezione deliberata dal Consiglio giudiziario, senza nomine o quote di nomine riservate agli organi politici. Soprattutto, sempre rispetto alla provvista e allo status di servizio, tutti i magistrati sono nominati e governati da un unico Consiglio giudiziario — che è configurato, seppure nella particolarità dell’ordinamento sammarinese, con tratti funzionali che negli aspetti principali replicano la gran parte di quelli degli odierni organi di governo autonomo della magistratura – e nelle loro funzioni d’ufficio sono organizzativamente coordinati da un unico Dirigente del Tribunale.

Non solo: tutti i magistrati si avvalgono del medesimo complesso degli uffici di cancelleria, seppur distinti per specialità, e della medesima organizzazione logistica. In quest’attenzione alla concretezza dell’ordinamento, non depone in contrario l’art. 3, terzo comma, della legge costituzionale n. 144 del 2003 nel disporre ora che «al Giudice per i rimedi straordinari compete la decisione sui conflitti tra le giurisdizioni amministrativa, civile e penale (…) dove l’espressione «tra le giurisdizioni» sta all’evidenza a indicare le competenze, posto che non si dubita – vista anche la promiscuità del reclutamento e talora di assegnazioni – che ad es. giudice civile e giudice penale, o giudice civile e giudice amministrativo appartengano alla medesima giurisdizione.

Questi tratti fondamentali dell’ordinamento giurisdizionale sono dunque sufficienti a escludere che a san Marino vi siano una o più giurisdizioni qualificabili come speciali rispetto a una giurisdizione per antonomasia.

Ne resta fuori il Collegio Garante della costituzionalità delle norme, le cui attribuzioni, come in genere è per le corti costituzionali, di sindacato di legittimità costituzionale, sull’ammissibilità dei referendum, sui conflitti tra organi costituzionali e di sindacato sui capitani reggenti sono estranee alla iurisdictio in senso stretto.

Ne viene, come accennato, che quelli appena detti che vengono chiamati «conflitti di giurisdizione» tra giudice amministrativo e giudice ordinario (civile) e che erano affidati al Collegio garante per la costituzionalita delle norme (ad es., ex art. 37 della legge 28 giugno 1989 n.68 (Della giurisdizione amministrativa del controllo di legittimità e delle sanzioni amministrative), e che dopo la legge costituzionale n. 144 del 2003 competono al Giudice per i rimedi straordinari), vanno intesi dando alla parola «giurisdizione» un significato solo funzionale, che non va venir meno l’unicità di cui si e detto (come del resto a mostrato dall’essere riferite a «due sezioni specializzate corrispondenti ale due giurisdizioni», come diceva l’originario art. 1 (Istituzione del Tribunale Unico) della legge qualificata 20 ottobre 2003 n. 145: unicità della quale, va rilevato, e partecipe lo stesso Giudice per i rimedi straordinari).

Quanto ai ”conflitti di competenza”, è nata come fattispecie a se stante quella dell’art. 2 (Organi del potere giudiziario), undicesimo comma, della legge costituzionale 30 ottobre 2003, n. 144, come mod. dall’art. 1 della legge costituzionale 16 settembre 2011 n. 2, per cui «competente a dirimere i conflitti di competenza tra l’Autorità Giudiziaria Ordinaria e la Corte [per il Trust ed i rapporti fiduciari e il Collegio Garante della costituzionalità delle norme, secondo le procedure, in quanta compatibili, previste dal Capo I (Conflitti di Giurisdizione) della Legge 25 aprile 2003 n. 55”. Peraltro detta Corte, ai sensi del nono comma, è istituita ”nell’ambito della giurisdizione ordinaria” e, ai sensi del dodicesimo comma, «non è soggetta alle disposizioni sull’Ordinamento Giudiziario. L’elezione e la nomina dei membri della Corte, nonché il regime delle incompatibilità, astensione e ricusazione, sono stabilite specificamente con apposita legge qualificata in deroga alla Legge qualificata del 30 ottobre 2003 n.145».

Nemmeno depone in contrario il reclutamento separato del, da un lato, giudici per le funzioni civili, amministrative e penali e, dall’altro — per quanto qui interessa Giudice per l’azione di responsabilità civile del magistrati di cui all’art. 7, secondo comma, della legge costituzionale 30 ottobre 2003 n. 144. E’ solo un’espressione di una normale articolazione specializzata di una medesima e unica giurisdizione, al pari di altre caratteristiche organizzative specifiche. Ad es., in ragione del distinto concorso di reclutamento, solo ”in relazione alle materie civile, penale, amministrativa, della tutela dei minori e della famiglia» il Dirigente del Tribunale può assegnare le persone dei singoli Commissari della Legge (art. 1 della legge qualificata 30 ottobre 2003 n.145, come mod. dall’art. 1 della legge qualificata 16 settembre 2011 n.2), mentre i giudici specializzati vanno destinati ai settori della loro specializzazione. Analogamente, a evitare sovrapposizioni che inibirebbero il funzionamento della giustizia in relazione a quelle particolari funzioni, ”sulla astensione e la ricusazione del Giudici peri Rimedi Straordinari e dei Giudici per l’Azione di Responsabilità Civile del Magistrati decide il Collegio Garante della costituzionalità delle norme, in composizione monocratica” (art. 5, terzo comma, della legge costituzionale 30 ottobre 2003 n.144, dall’art. 3 della legge costituzionale 16 settembre 2011 n.2). Si tratta ad ogni buon conto di differenziazioni marginali rispetto al ricordato contesto organizzativo generale, giustificate dalla specializzazione e che non elidono gli elementi fondativi che configurano la giurisdizione come unica, in quanto adattamenti normali nei sistemi a giurisdizione unica articolata per specializzazioni funzionali.

4) Dal punto di vista funzionale, solo in base a questa unicità della giurisdizione è possibile che, in virtù dell’art. 2 della legge costituzionale n. 144 del 2003, come mod. dall’art. 1 della legge costituzionale n. 2 del 2020, un Giudice per l’azione di responsabilità civile dei magistrati possa, eccezionalmente, essere investito di una funzione diversa da quella sua propria e invece propria del giudice civile, o amministrativo, o penale: e così chiamato a svolgere, di volta in volta, funzioni proprie di quel giudice di quel corrispondente grado e secondo il rito processuale proprio di quello, non già secondo il rito civile proprio della sua primaria competenza. Diversamente, infatti, vi sarebbe una sostituzione di una giurisdizione ad un’altra e per il solo fatto eventuale, avulso dall’oggetto del processo, dell’impedimento delle persone di singoli magistrati. Egli, all’esito di quel processo, emette una sentenza che a seconda dei casi a civile, o amministrativa, o penale. Sicché al grado successivo, se non si presenta analoga situazione che nuovamente imponga una medesima formale sostituzione di tutti i giudici di quel grado ad evitare paralisi e dinieghi di giustizia, il processo torna ad appartenere, secondo normalità, all’originaria investitura ex lege del giudice – del superiore grado -civile, amministrativo o penale.

Se cosi non fosse, si porrebbe comunque questione di una traslazione in itinere dell’attribuzione alla persona di altro magistrato non della funzione di giudice nel medesimo processo ma della competenza, con effetti che ridonderebbero nel grado successivo: effetti però a quel livello non più giustificati dall’“introvabilità” del giudice normalmente investito della funzione. E allora – solo allora – si porrebbero, effettivamente, questioni in punto di legittimazione del giudice ad quem a esercitare funzioni non sue proprie, ma del giudice a quo per compromissione del principio della certezza del giudice, cioè del giudice naturale precostituito per legge di cui all’art. 6, par. 1, della Convenzione europea per la salvoguardia del diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Il che, invece, non si ha allorché la sostituzione è solo nella funzione e nel grado originari e si presenta — com’è nella qui praticata ipotesi dell’art. 2 cit. – quale ultimo ratio per evitare il diniego di giustizia da difetto di giudici: cfr. Collegio Garante della costituzionalità delle norme, ord. 15 aprile 2019, n. 3 e sent. 23 aprile 2021, n. 7.

Altrimenti detto, la sostituzione di cui all’art. 2 delta legge costituzionale n. 144 del 2003, come mod. dall’art. 1 della legge costituzionale n. 2 del 2020, realizza una vicenda eccezionale di surroga nell’ufficio, ovvero com’è a ricorrere al linguaggio di un’autorevole dottrina amministrativistica che lo mutua dal diritto canonico – di temporanea sostituzione nel munus, vale a dire di investitura sostitutiva e immedesimazione temporanea, necessitate cogente, nell’ufficio di giudice civile, o (qui) amministrativo, o penale, di cui la persona del magistrato surrogante prende temporaneamente l’abito e le funzioni: non di un conflitto tra uffici diversi.

L’espressione dell’art. 2, «i Giudici per l’azione di responsabilità civile sono inoltre competenti a giudicare (…), intende questo titolo di eccezionale abilitazione ad altre funzioni delle persone di questi giudici, non una traslazione di competenza degli uffici giudicanti (o, a stare all’appellante, uno spostamento di giurisdizione): sono le persone dei giudici che “si spostano”, non la competenza dei loro uffici.

5) La questione qui da affrontare, dunque, non è di «giurisdizione» e nemmeno e di «convenienza»; e men che meno di un relativo ”conflitto”. In realtà essa verte sul titolo sostanziale di questo Giudice d’appello per l’azione di responsabilità civile dei magistrati a surrogare, sulla base del citato decreto del Dirigente del Tribunale 20 ottobre 2021, l'”introvabile” perchè in concreto deficit iudex – giudice amministrativo d’appello, non già circa il difetto di competenza di un giudice diverso rispetto a quello che si assume come il solo naturale.

Così qualificata l’eccezione (che non viene meno per il dato estrinseco di essere stata in quel modo formulata, perché è la sua causa concreta a dominare) e rilevato che in sostanza si lamenta la costituzione di questo giudice, si tratta a questo punto di, per dovere preliminare, verificare incidentalmente il titolo di investitura nel processo, cioè l’assegnazione (che, come atto di amministrazione del processo, è non un atto amministrativo ma un atto inerente alla giurisdizione che compete allo stesso giudice valutare: cfr. per la lex loci vicinioris, Cons. Stato, V, 4 gennaio 2017, n. 10; 8 aprile 2019, n. 2272).

Si tratta allora di vagliare i presupposti in fatto e in diritto del contestato decreto del Dirigente del Tribunale 20 ottobre 2021 che ha investito questo giudice della trattazione di questo appello, dopo aver rilevato che le persone dei (soli) quattro giudici titolari delle funzioni d’appello amministrative, o civili, o penali, non possono trattarlo per incompatibilità personale. L’atto si basa sulle implicite condizioni di cui all’ultima parte del rammentato art. 2 della legge costituzionale n. 144 del 2003, come mod. dall’art. 1 della legge costituzionale n. 2 del 2020, quando ”tutti i competenti giudici [a giudicare su un procedimento civile, penale o amministrativo] si [sono] legittimamente astenuti o [sono] stati legittimamente ricusati comunque non possano più giudicare per essersi già pronunciati».

6) L’assunto di fondo dell’appellante e, in pratica, che non si può dar corso alla sostituzione dell’art. 2 cit. se non nella ricorrenza, formale e procedurale, delle tre strette ipotesi contemplate dalla disposizione. Posto che expressio unius est exclusio alterius, vorrebbe dire che ogni altra rilevata situazione di incompatibilità per sospettabile non-imparzialità del giudice designando (in base ai “criteri” prestabiliti per la distribuzione degli affari) non potrebbe dar luogo a queste conseguenze e dunque pena la mancanza definitiva di giudice e quindi di giudizio – si dovrebbe procedere al processo assegnandolo a un giudice comunque stimato o stimabile, per conflitto di interessi, come incompatibile.

L’assunto, implicativo per le conseguenze restrittive sulla garanzia essenziale di terzietà e imparzialità del giudice, non può essere condiviso, a muovere dalla considerazione che una tale conseguenza contrasterebbe un valore essenziale dell’ufficio di giudice e di razionalità organizzativa della giurisdizione. In realtà come si vedrà, è immanente al sistema un potere organizzativo e di amministrazione del processo in cui, a parte i detti “criteri”, ha pieno e anzi debito titolo il vaglio preliminare della non-incompatibilità del giudice. Questo vaglio, in caso di giudice “introvabile” per l’incompatibilità di tutti i giudici preposti all’ufficio, non può che dare anch’esso luogo alla soluzione sostitutiva dell’art. 2 cit., pena l’impossibilità di rendere giustizia nel caso concreto. Conviene, a questi riguardi, svolgere alcune considerazioni di fondo.

7) Occorre muovere dalla ratio dell’art. 2 cit..

La ragione che lega tutti i casi nominati e presiede alla norma è, evidentemente, la garanzia della terzietà e dell’imparzialità del giudice. Si provvede con un giudice diverso dai preposti all’ufficio perchè ciascuno di questi, per una qualche ragione, versa in conflitto di interessi, sicché non è compatibile con la trattazione del processo, che pure deve essere celebrato.

Importante anzitutto ricordare che la cura di questa caratteristica basilare della giustizia è da lunghissimo tempo immanente alla particolarità e alla dimensione dell’ordinamento di San Marino. Qui l’attenzione all’imparzialità del giudice è stata da almeno quattro secoli – cosi sedimentandosi nella costituzione materiale – connessa alla provvida regola del giudice foraneo, cioè forestiero, a suo tempo diffusa nei liberi comuni italiani e formalizzata dalle Leges Statutae del 1600 (cfr. Lib. I, Rub. XXXI), che vogliono il Commissario della Legge provenire da altrove, lontano da possibili legami e pregiudizi personali da vicinitas: avveduta misura di interesse generale che, con l’imparzialita connaturata all’extraneus, previene l’oneroso rimedio della recusatio iudicis a lite già insorta, particolarmente impegnativo in un contesto cosi contenuto. Del resto ovunque la mobilità, funzionale e geografica, contribuisce all’imparzialità del giudice e così una provvista da fuori dei confini. Si tratta di un carattere essenziale del processo e una garanzia irrinunciabile: per questo i casi di suo prospettato difetto vanno intesi in senso non meramente formale (quando cioè è formalizzata l’astensione o la ricusazione) bensì sostanziale. Occorre guardare alla loro ricorrenza antecedente al processo, prima che a quegli atti formali a processo assegnato e alle loro eventuali conseguenze infra-contenziose: dunque alla situazione di prospettabile effettiva incompatibilità a giudicare in concreto.

L’incompatibilità ricorre anzitutto quando il potenziale giudice è egli stesso parte o comunque interessato alla controversia o al suo oggetto, come testualmente – nello specifico tema di astensione e ricusazione —comunque già indica l’art. 10 della legge qualificata 30 ottobre 2003 n.145 (con i suoi casi di sussistenza da parte del magistrato di «interessi nel procedimento», o di aver «reso consigli, pareri oppure nell’esercizio delle funzioni e prima che sia pronunciata sentenza [avere indebitamente manifestato il proprio convincimento sui fatti oggetto del processo»).

Ma non basta, perché anche al di là di quei nominati casi possono comunque presentarsi conflitti di interessi del più vario genere da cui comunque deriva l’incompatibilità con un processo da assegnare. In realtà, si vedrà, nell’ordinamento di San Marino è ormai implicito – come in pressoché tutti gli ordinamenti europei — che comunque si prospetti ex ante (cioè prima dell’assegnazione), per obiettive e manifeste ragioni, una situazione di concreta incompatibilità del giudice per cui egli “non può giudicare” per difetto di terzietà o imparzialità, occorre senz’altro identificare la figura di un altro giudice che risuiti procul suspicione.

L’imparzialita è non solo una doverosa qualità deontologica del giudice ma una sua condizione necessaria per essere davvero tale. L’astensione e la ricusazione si profilano solo come rimedi successivi e residuali a processo già assegnato, per supplire alla salvaguardia dell’imparzialità del giudice quando questa non è già stata rilevata, e portata a conseguenza, sul nascere del processo, cioè al momento dell’assegnazione.

Ne viene che le conseguenze organizzative dell’art. 2 — la cui funzione, mostra la genesi della norma, non è di negare rilievo alla non-imparzialità al di fuori di astensioni e ricusazioni, ma solo di prescrivere come supplire al caso ultimo dell’introvabilità del giudice trovano applicazione per qualsiasi caso di previa rilevazione di incompatibilità.

Perciò anche quando si rivela previamente un’incompatibilità per tutte le persone dei giudici del grado, e la sostituzione dell’incompatibile non può più essere effettuata all’interno dell’ufficio (come quando il processo viene assegnato al giudice civile a amministrativo se la persona del giudice addetto al penale versa in tale condizione), occorre comunque dar corso a questa provvista ad extra dell’ufficio, appositamente autorizzata e regolata dalla norma.

Non solo: analoghe considerazioni rilevano per bene identificare, nell’art. 2, il caso dell’«essersi già pronunciati»: caso evidentemente estraneo a un’astensione o a una ricusazione e che rileva di suo nell’assegnazione del processo. L’interesse protetto consiste nell’assicurare che il processo non vada ad essere trattato da un giudice sospettabile di non-imparzialità e questo terzo caso («non possano più giudicare», ecc.) va inteso nel senso lato di già aver comunque preso partito nella vicenda, e così fa da riferimento generale per tutto quanta teste considerato. Il tema, a questo punto, e quello delle modalità procedimentali per portare a effetto l’avvenuta rilevazione dell’incompatibilità.

8) L’appellante assume che comunque sarebbe stata necessaria, prima di procedere alla sostituzione, una previa statuizione del Giudice per i rimedi straordinari su tali specifici oggetti. Egli infatti sostiene che non si sarebbe potuto far luogo a questa eccezionale investitura perché suo presupposto necessario sarebbe stata una pronuncia di quel giudice, tanto che ha domandato che gli sia trasmesso il fascicolo; e in merito – nel termini sopra riportati in narrativa – contesta l’insussistenza di una dichiarazione di incompatibilità o di astensione dei giudici d’appello titolari; l’insussistenza di una sentenza che abbia accertato la fondatezza della loro ricusazione; l’insussistenza del caso dell’ ”essersi già pronunciati” (che comunque, a suo dire, va inteso in senso tecnico in modo pregiudizievole per il successive giudizio o la successive sentenza“).

L’appellante, in rito, si richiama testualmente:
– all’art. 3, terzo comma, della legge costituzionale n. 144 del 2003, il quale cosi dispone: Al Giudice per i rimedi straordinari compete la decisione sui conflitti tra le giurisdizioni amministrativa, civile e penale, sui ricorsi per revisione delle sentenze penali, sulle querele di nullità e sui ricorsi per restitutio in Integrum nei giudizi civili, nonché sulla astensione e ricusazione del Magistrati»; – all’art. 4, primo comma, della medesima legge costituzionale, il quale cosi dispone: ‘‘(…) Sulle astensioni e sulle ricusazioni dei Giudici di primo grado e d’appello decide il Giudice per i rimedi straordinari esperto per la materia cui si riferisce il procedimento in cui le relative istanze sono presentate».

9) Su queste basi, va qui rilevato in rito che la competenza, tipizzata, del Giudice per i rimedi straordinari non opera perché non vie alcun «conflitto», positivo o negativo, tra ”giurisdizioni” (recte, come visto: competenze) amministrativa, civile o penale.

Perchè un «conflitto» vi sia, infatti, occorre o una contestuale rivendica da parte di due uffici opposti (conflitto positivo) a una contestuale loro declinatoria (conflitto negativo). Qui difettano sia l’uno che l’altro. Nemmeno vi sono state astensioni (a ricusazioni) di giudici.

In realtà solo si è provveduto nella fase, organizzativamente antecedente, dell’assegnazione (mentre astensione e ricusazione riguardano il processo già assegnato). Il decreto di assegnazione del Dirigente del Tribunale 20 ottobre 2021 ha subito rilevato quattro autonome situazioni di incompatibilità precludenti a tutti i giudici d’appello civili, amministrativi e penali di giudicare: e così ha senzaltro assegnato la trattazione dell’appello in surroga a questa giudice.

Per l’appellante l’assegnazione implica comunque una pronuncia del Giudice per i rimedi straordinari e questa deve avere ad oggetto un’astensione (o una ricusazione) del giudice civile, amministrativo e penale.

La tesi non può essere condivisa. E non solo perché, come detto, qui ci si trovava in un momento antecedente l’assegnazione e non susseguente, com’è per astensione e ricusazione.

Si è detto che ratio della norma è di prescrivere come supplire al caso ultimo dell’ ”introvabilità” del giudice. Va aggiunto che la tipicità delle competenze del Giudice per i rimedi straordinari non è estensibile in analogia e a una fase antecedente I’assegnazione del processo. Diversamente, si creerebbe un “rimedio straordinario” non previsto della legge, impraticabile perchè non via ancora la persona del giudice in ragione del quale azionare il rimedio, e comunque esso si contrario al basilare principio del giudice naturale, enunciato dall’art. 6, par. 1, della Convenzione europea per la salvaguardia del diritti dell’uomo e implicitamente richiamato quale parametro interposto dall’attuale art. 1, terzo comma, della Dichiarazione del diritti del cittadini e dei principi fondamentali dell’ordinamento sammarinese.

II giudizio incidentale del ricordato art. 3 (e del ricordato art. 4) della legge costituzionale n. 144 del 2003 6 previsto solo per astensioni e ricusazioni, che qui non ricorrono e non possono – per le ragioni dette -ancora ricorrere. Soprattutto, come detto, e indipendentemente dalla valutazione delle conseguenze dell’astensione e del suo carattere contenzioso o meno (tema che qui non si pone per non esservi, appunto, state astensioni), va sottolineato ancora il paradosso di base per cui – salvo il bis in idem del giudice – diversamente non rileverebbero le incompatibilità che non transitino per un’astensione o una ricusazione e che dunque postulino nelle more un’avvenuta assegnazione a un giudice in potenziale conflitto di interessi.

L’appellante, escludendo la possibilità di apprezzamenti di incompatibilità in sede di previa amministrazione del processo e circoscrivendoli alla sola valutazione dell’interessato giudice (civile, amministrativo, penale) già investito del processo (mediante astensione), o delle parti che possono ricusarlo per mancata astensione obbligatoria (mediante ricusazione), confuta in pratica che la mera incompatibilità costituisca di suo una ragione atta a dar corso ex ante alla surroga salvo appunto il caso dell’essersi gia pronunciato»: che, tuttavia, assume vada inteso restrittivamente, ‘‘in senso tecnico in modo pregiudizievole per il successivo giudizio o la successiva sentenza”.

In breve, a seguire l’argomento, ii Dirigente del Tribunale potrebbe d’ufficio assegnare in surroga, ai sensi dell’art. 2, seconda parte, solo nella stretta ricorrenza di quest’ultima ipotesi dell’essersi già pronunciat(o)», cioè per il né bis in idem del giudice, oppure chiuso il procedimento incidentale su astensione o ricusazione.

Gli sarebbe invece precluso — nel distribuire iI lavoro giudiziario ex art. 6, quinto e sesto comma, della legge qualificata n.145 del 2003 — di apprezzare autonomamente oggettive e manifeste ragioni di incompatibilità tali da poter pregiudicare la terzietà e l’imparzialità del giudice e così la base effettiva di una componente centrale di quanto oggi viene chiamato il diritto al buon giudice (cioè: al giudice terzo e imparziale).

In sostanza – al di là di effettiva astensione o a ricusazione, ovvero dell’«essersi già pronunciat(o), una diverse incompatibilità resterebbe per l’appellante senza effetti. Tutto sarebbe rimesso all’autonoma valutazione del giudice già investito di avanzare un’astensione facoltativa o alle parti di ricusarlo se contrasta le regale dell’astensione obbligatoria: il che — fuori da quelle ipotesi – prevarrebbe sul diritto di salvaguardia della parte a un giudice già sul nascere equo, dove effettivamente terzo, e imparziale, di cui all’art. 6 della Convenzione europea per lo salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.

10) Va subito osservato che l’assunto, come esposto, conduce a conseguenze non accettabili per la civiltà giuridica perché pretermette, anzi nega, tratti essenziali sia del giusto processo che della razionalità ed economicità organizzativa, cioè della buona amministrazione della giustizia: dove l’imparzialità del giudice qualità indeclinabile.

Occorre approfondire i tratti essenziali di questo fondamentale aspetto.

L’art. 6, par. 1, della Convenzione europea per la salvaguardia del diritti dell’uomo e delle liberta fondamentali, sul diritto fondamentale al giusto processo in cui si combine quello al buon giudice, implicitamente richiamato nell’ordinamento sammarinese dall’art. 1, terzo comma, della Dichiarazione del diritti del cittadini e del principi fondamentali dell’ordinamento sammarinese (legge 8 Luglio 1974 n. 59, come mod. dall’art. 2 della legge 26 febbraio 2002 n.36), a tenore del quale «l’ordinamento sammarinese riconosce, garantisce ed attua i diritti e le libertà fondamentali enunciate nella Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle liberta fondamentali». II suo contenuto, come testé ricordato, ha il valore di un parametro interposto tra la Dichiarazione e la legge ordinaria, sicché la legge deve rispettarlo ed è esso stesso di orientamento per l’interprete della legge. Questa diritto fondamentale a dunque di diretto riferimento nell’ordinamento sammarinese. L’ordinamento della Serenissima Repubblica è per sua opzione tenuto – nella particolare sua natura “multidimensionale” ai principi del giusto processo, strumento di attuazione della giurisdizione ed espressione del principio della preminenza del diritto di cui al Preambolo della CEDU (San Marino è Stato membro del Consiglio d’Europa dal 16 novembre 1988). Del resto, già lo si ricavava dai primi due, e originari, commi dell’art. 15 della Dichiarazione del diritti, dove si garantisce «la tutela giurisdizionale del diritti soggettivi e degli interessi legittimi davanti agli organi della giurisdizione» e il diritto di difesa», cioè appunto alcuni del tratti più significativi di quello che nella Convenzione è il fair trial / procès équitable.

Per quanto ad abundantiam, non è poi fuor di luogo ricordare – benché San Marino non sia Stato membro dell’Unione Europea – che l’art. 47 della Carta del diritti fondamentali dell’Unione Europea – In vigore con il trattato di Lisbona, 1 dicembre 2009 – contempla il «diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale».

Vi si riflette il medesimo principio universale di aequum iudicium che vuole nemo iudex in re sua (C.3.5.1) e che concorre a dare spessore a quel patrimonio di valori giuridici convergenti da diverse tradizioni in un comune grande spazio, da molti efficacemente chiamato nuovo ius commune europeo.

Del pari, va considerato che vi converge la riconosciuta specificità dell’ordinamento giuridico della Repubblica di San Marino, che reca la tradizione del ius commune dei liberi comuni italiani, inclusa l’attenzione per la lex alii loci: e si è ricordato come, mediante l’anticipazione nella figura del giudice forestiero, da secoli il suo ius proprium abbia avuto la massima attenzione per la provvista di un giudice indifferente.

Che la bilancia della giustizia sia in pari e non squilibrata da pesi, che il giudice sia super partes e che non vi siano sospetti di sua parzialità per legami, preferenze, pregiudizi o utilità è del resto principio generale del diritto da sempre immanente all’officium iudicis. La dottrina dice che è suo elemento fondante: ogni controversia va risolta “dicendo il diritto” ad opera di un soggetto “terzo imparziale”, in posizione di manifesta terzietà rispetto ai soggetti coinvolti e di indifferente imparzialità rispetto agli interessi controversi.

L’equidistanza del giudice dalle parti, senza partiti presi a favore o contro una di esse, è ovunque irrinunciabile: un giudice non imparziale e in realtà un non giudice. L’imparzialità, base del contraddittorio, è consostanziale al rendere giustizia: richiede l’inesistenza, quand’anche ipotetica o apparente, di adesioni o contrasti verso una delle parti.

La Corte costituzionale italiana (7 ottobre 2016, n. 215) ricorda che i requisiti di indipendenza e imparzialità costituiscono il substrato indispensable dell’esercizio del potere giurisdizionale», e devono ritenersi connotazioni imprescindibili dell’azione giurisdizionale.

Nel common law l’assenza nel giudice di pregiudizi veri, supposti o apparenti è considerata una regola di natural justice. Tutto questo vale ancor più nella prospettiva degli ultimi decenni, in cui il rilievo e la cura della terzietà e dell’imparzialità ha acquistato un particolare e crescente significato ordinativo dell’intero processo.

Se un tempo la cura attiva dell’imparzialità effettiva — ferma, di base, quella presunta – era il risultato una restaurabile garanzia processuale nei casi tipizzati di sospetta lesione ove sfuggita a una normale attenzione nell’assegnazione, oggi l’imparzialità effettiva va curata attivamente come l’elemento necessario, cardine e indefettibile del giusto processo e sin dalla nascita.

La Corte EDU, evolutivamente, ha ampliato Ia sua rilevanza: da interesse restaurabile mediante it rimedio volontario della ricusazione nei soli casi tipizzati e a iniziativa di un parte, a caratteristica essenziale e immanente della giurisdizione tanto da riflettervi un diritto fondamentale di ogni persona. Ne segue la rilevanza generalizzata dell’incompatibilità anche oltre i casi di astensione obbligatoria o ricusazione.

Ciò vale tanto più quanto si consideri che ormai l’imparzialità di chi giudica è considerata di capitale importanza di fronte alla tendenza generale che vede accrescere il ruolo del giudice e del formante giurisprudenziale, pur nella garanzia di indipendenza che deriva dal principio di separazione del poteri. La ricerca attiva dell’imparzialità contrasta anche questi rischi di squilibri e di propensioni che, benché indebiti, sono fatalmente insiti in questa tendenza.

Per rendere allora, secondo una formula ritornante nella giurisprudenza della Corte EDU (da Airey c. Irlanda, n. 6289/73, 9 ottobre 1979 in poi), “concreto ed effettivo” questo diritto fondamentale, occorre- sviluppando l’insegnamento ricevuto dalla rammentata tradizione sammarinese di anticipata terzietà e imparzialità del giudice – la necessità di una cura attiva a tutto campo: il che comunque comporta la verifica, già sul nascere del processo, di non-incompatibilità da conflitti di interessi.

E invero centrale che, in base ai principi CEDU del giusto processo e del diritto al giudice terzo e imparziale, la persona del giudice appaia comunque indifferente nel giudicare, remoto ed equidistante dalle parti, cosi da poter essere davvero un “buon giudice”.

Se poi — con necessario riferimento alla spazialità e alla specificità complessive dell’ordinamento sovrano sammarinese – viene rapportata alla realtà delle dimensioni della Serenissima Repubblica e delle sue istituzioni, l’imparzialità del giudice acquista, se mai possibile, ulteriore importanza: sono infatti evidenti il maggior rilievo e la maggiore eco che può avervi il pericolo di una sua lesione, sicché tanto maggiore significato ha qui is sua pronta salvaguardia.

11) Occorrono ulteriori considerazioni per specificare quest’esigenza fondamentale di salvaguardia e i modi della sua rilevazione.

L’imparzialità non va confusa con l’indipendenza del giudice, assicurata dal suo statuto legale, che per quanta fondamentale nello Stato di diritto le è solo servente. L’indipendenza ne è un presupposto, utile a porre tutti i giudici al riparo da sollecitazioni dell’ambito politico o comunque esterne (dr. Corte EDU, n. C-506/04, Graham J. Wilson c. Ordre des’avocats du barreau de Luxembourg, 19 settembre 2006) e dunque già in gran parte giovevole contra alcuni possibili turbamenti. Però non è sufficiente ad assicurare la neutralità del singolo giudice, che può essere comunque compromessa da altre circostanze concrete. La tutela del diritto fondamentale supera la presunzione generale di imparzialità del giudice fondata sul solo statuto legate, su cui l’ordinamento poggiava la mera eccezione della ricusazione. L’imparzialità non è insomma un risultato automatico dell’ordinamento, ma un presupposto da verificare di processo in processo.

Sempre in tema di automatismi, è poi parimenti erroneo figurarla come un risultato dell’identificazione ex lege dell’ufficio competente a giudicare, come invece parrebbe nell’assunto dell’appello. Se anche l’ordinamento assicura un ufficio effettivamente terzo dalle parti, riguarda comunque la persona che ricopre l’ufficio. Non vale allora invocare — al di là degli stretti casi dell’art. 2 cit. – gli automatismi da “criteri” nell’assegnazione che prescindano da un suo riscontro in concreto, perchè ciò equivarrebbe a negarne la specifica rilevanza e a contraddire i presupposti del giusto processo e della buona giustizia.

Insomma, l’uso di automatismi nell’assegnazione è, quanto all’imparzialità, insufficiente e può condurre a risultati contraddittori: occorre invece la valutazione del caso singolo, su basi oggettive e manifeste. Il canone generale dell’imparzialità va, poi, declinato in concreto quanto al livello, alle ipotesi e al momento della sua rilevanza.

a) Anzitutto, quanto al livello della rilevanza, la tutela contro la non-imparzialità del giudice a ormai nel ius commune europeo assunta come una tutela anticipata, perché già opera sulla soglia dell’apparenza: sufficiente che la situazione del giudice appaia, oggettivamente, possibile di parzialità. E noto un judicial dictum inglese del 1924 del Lord Chief Justice Hewart (Rex v. Sussex Justices, ex parte McCarthy), “It is not merely of some importance but is of fundamental importance that justice should not only be done, but should manifestly and undoubtedly be seen to be done. Nothing is to be done which creates even a suspicion that there has been an Improper interference with the course of justice”. L’assunto, sintetizzato in “Justice (…)

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