Ha parlato per ore e ore Catia Tomasetti, presidente di Banca Centrale, di fronte al Commissario della Legge Adriano Saldarelli, giudice del processo istruito nei confronti del collega Alberto Buriani e dell’ex Segretario di Stato alle Finanze del governo AdessoSm Simone Celli.
Dalle ore 13:30 fin quasi le ore 19 è stata un fiume in piena nel raccontare, sotto il vincolo del giuramento, la sua verità sui fatti oggetto del procedimento giudiziario che, oggi, la vede nel ruolo di testimone, di persona ben informata sui fatti. Del resto, tutto verte su eventi vissuti a margine del tentativo di cessione di Banca Cis al gruppo lussemburghese Stratos, delle pressioni più o meno esplicite che ha subito per -diciamo- “chiudere un occhio”, se non tutti due, affinchè gli organismi di vigilanza e la stessa Bcsm dessero il via libera alla compravendita, poi naufragata proprio per l’integerrimo rispetto delle regole sempre perseguito dalla Tomasetti e dai suoi colleghi.
Ma questo è ormai noto… Nel fiume di parole che, quel mercoledì primo marzo scorso, sono risuonate nell’Aula “grande” dei Tavolucci, in un pomeriggio interminabile, mi ha colpito soprattutto una frase uscita dalla bocca del Presidente Tomasetti: “Ho l’impressione che Simone Celli fosse stato costretto a fare questa cosa”. Ovvero, “questa cosa”, sarebbe l’incontro che lo stesso ha avuto in Roma, qualche settimana dopo la diffusione della notizia dell’iscrizione, della stessa Tomasetti, nel registro degli indagati per una consulenza “farlocca” stipulata con l’Onorevole Sandro Gozi. Accusa poi riconosciuta infondata dallo stesso giudice inquirente che dispose l’archiviazione del fascicolo.
Prima dell’archiviazione, però, come orma noto e sulla base della testimonianza rilasciata in aula dal vertice di Bcsm, Celli richiese un incontro alla Tomasetti, che acconsentì e lo ricevette in Roma, nel suo studio. In quell’occasione l’ex Segretario di Stato, estrasse un “pizzino” dalla tasca, lo fece passare sotto gli occhi della donna che leggendolo, interpretò lo stesso come una sorta di rassicurazione sulla risoluzione della sua indagine… Ma la stessa rassicurazione -e siamo sempre nelle interpretazioni della Tomasetti- sarebbe stata subordinata all’ascolto o meno di precisi consigli che le erano precedentemente stati dati. Consigli come l’invito “ad avvicinarsi un po’ più a Nicola Renzi (RF) e Mario Venturini”, o a rendersi disponibile per una riunione con con la delegazione di Stratos…
Celli, in quel momento, non riveste più alcuna carica politica viste le sue precedenti dimissioni. Ma -sempre secondo la ricostruzione fatta dalla testimone- oggi, approfittando anche del legame che si era instaurato fra i due protagonisti di questa misteriosa vicenda in mesi e mesi di lavoro a stretto contatto, veste i panni di una sorta di ambasciatore di chi vuole che la compravendita fra Stratos e Banca Cis si porti a termine.
In questo contesto appare inquietante la considerazione della Tomasetti, che non ha nascosto di avere avuto l’impressione che l’ex ministro sammarinese fosse stato costretto a fare quel che aveva fatto, ovvero -interpreto io- a richiedere l’incontro, a rivolgere alla Presidente più o meno velati inviti e consigli, a propinare con una sorta di “pizzino” (quasi si rendesse conto che il messaggio poteva essere grave se fosse trapelato) la rassicurazione sulla conclusione senza ulteriori conseguenze dell’inchiesta che vedeva la Tomasetti indagata con l’Onorevole Gozi.
Celli e la Tomasetti, dopo mesi e mesi di “battaglie” portate avanti insieme, il primo come Segretario di Stato alle Finanze, la seconda come vertice di Banca Centrale, sono arrivati a conoscersi molto bene l’un l’altro e, addirittura, ha riconosciuto la stessa Tomasetti, fra loro è scoppiato una sorta di affetto, o meglio di “cameratismo”, come può scattare fra commilitoni nella stessa trincea per mesi. Ciò rende degna di nota, non trascurabile l’impressione della Presidente secondo la quale Celli sarebbe stato in quel momento “costretto” a fare quel che faceva.
Ben inteso, testualmente, “costretto”. Una sorta di marionetta manovrata da altri. Ma perchè -se ciò troverà conferma nei fatti- Celli accettava passivamente simili costrizioni? Chi manovrava Celli? Lo pagava per eseguire i suoi ordini? O, forse -e ciò sarebbe inquietante- lo ricattava facendo leva su qualche reale o presunto “scheletro nell’armadio”?
Simone Celli, ovviamente, nel rispetto del Tribunale chiamato a giudicare su sue precise azioni, non parla. Ma il dubbio che nella brutta deriva in cui, con AdessoSm al governo, sembrerebbe finita la Repubblica, con la sua democrazia e la sua amministrazione della giustizia, possano essersi consumati anche dei ricatti che possano aver ampliato il potere dei “misteriosi” manovratori rende inquietante il già preoccupante scenario che emerge sempre più definito e deinibile con il passare dei giorni.
Oggi, alla sbarra, ci sono due individui, due imputati: un giudice e un ministro su cui pende il dubbio di essere ricattato. Ambedue imputati per reati che, direttamente, non avrebbero conferito ai due -almeno per quanto dato a sapere- alcun vantaggio. Eppure, altri avrebbero potuto trarre vantaggio dalle azione dei due imputati…
I conti non tornano. Almeno fino in fondo. E al di là dell’esito del processo -che verterà esclusivamente sull’analisi di comportamenti illeciti penalmente- è indispensabile scrivere una verità completa, che analizzi anche comportamenti solo moralmente o politicamente controversi. Solo da una verità totale potrà tornare, nei cittadini, una fiducia nello Stato, nelle sue istituzioni, nella giustizia… Non è rinviabile oltre l’istituzione di una commissione parlamentare di inchiesta.
Enrico Lazzari
