San Marino. Processo Conto Mazzini. Il riepilogo delle tre giornate di escussioni testimoniali. ….. di Enrico Lazzari

tribunaleSAN MARINO – I sentori che in Aula sarebbe stata una “battaglia” serrata c’erano tutti fin dalla vigilia e, oggi, dopo sole tre udienze, la sensazione è divenuta certezza. In più di una occasione i teste citati dall’accusa, sono stati letteralmente torchiati.

Prima il direttore dell’Agenzia Informazioni Finanziarie, Nicola Veronesi, poi l’ispettore del Nucleo Antifrode della Polizia Civile, Paolo Francioni, e infine l’Ispettore dell’Aif Walter Serra, sono comparsi all’esame delle difese e delle parti civili, intente a chiarire una miriade di aspetti relativi alle ipotesi di accusa. Del resto, i tre funzionari sono stati, nei settori di loro competenza, una sorta di braccio operativo della magistratura in questa complessa inchiesta che ha visto -come confermato in Aula- l’analisi di ben 241mila operazioni finanziarie conclusa con l’individuazione di circa 200 operazioni “sospette” finite negli atti di accusa.

Se gli aspetti mediaticamente più dirompenti di questi primi tre giorni di lavori processuali sono stati i colpi di scena relativi al dissolvimento -clamorosamente determinato dalle testimonianze dei funzionari che avevano contribuito, con il loro lavoro investigativo, a confezionare le accuse- uno dopo l’altro degli indizi a carico di Claudio Podeschi e di Biljana Baruca, nonostante questi avessero avuto un ampio peso nelle motivazione dei provvedimenti di custodia cautelare emessi a carico degli stessi imputati, sono tante le “certezze” degli atti di accusa  messe in dubbio dal certosino lavoro delle difese, portato “ai fianchi” dei testimoni fino ad ora comparsi in udienza.

Non si può certo, per ora, parlare di assoluzione per taluni e condanna per altri, visto che il procedimento è ancora lungo e l’elenco dei testimoni chiamati a deporre, fra cui si evidenzia anche il nome del magnate delle telecomunicazioni Simon Murray, è quasi interminabile. Il match è ancora lungo e si sono disputati solo i primi tre round… Come è errato trarre conclusioni in senso colpevolista sulla sola base delle notizie che trapelano in fase istruttoria, altrettanto errato sarebbe trarre conclusioni opposte a processo in corso, seppure il lavoro certosino delle difese, limitatamente a quanto ascoltato fino ad ora nel processo, fa pendere l’ago della bilancia dalla parte degli imputati. Tanto che le parti civili, in particolare l’Avv. Monteleone, che rappresenta l’Ecc.ma Camera, al contrario di quanto fatto dai suoi colleghi di difesa, si è ritrovata a sottoporre ai teste domande con la premessa del “secondo lei” in luogo del prodursi in una analisi di fatti e atti concreti e accertati già messi pesantemente in dubbio dai legali degli imputati.

Nonostante ciò una prima sentenza appare già scontata: la Baruca non ha nulla a che fare con il fascicolo relativo alla Fondazione, visto che su questo aspetto lo stesso funzionario che ha sottoscritto l’atto di accusa nei suoi confronti ha ammesso l’errore -sarebbe frutto di una “dimenticanza” la mancata cancellazione dell’imputata dalla relazione base del fascicolo- e chiesto scusa rendendo scontate, su questo aspetto, le conclusioni del Giudice Gilberto Felici.

Importante colpo anche per Gian Marco Marcucci visto che il suo legale, Maurizio Simoncini, ha incassato il disconoscimento da sei “distinte” della firma precedentemente ricondotta allo stesso ex Segretario di Stato.

Ma al di là delle “vittorie” personali di questo o di quell’imputato -fra cui quella di Giuseppe Roberti il cui legale, Rossano Fabbri, è riuscito ad insinuare dubbi sul reale collegamento dell’imputato con Finproject, condizione cardine dell’intera “inchiesta Mazzini”- al momento traballano pesantemente le due più importanti ipotesi di accusa: l’associazione a delinquere e il riciclaggio. La prima perchè è apparso evidente in tutte le testimonianze prodotte dai funzionari già comparsi in Aula che nessuno si è mai preoccupato di incaricarli di indagare su collegamenti, frequentazioni, riunioni, vertici o summit organizzativi fra gli imputati; la seconda, il riciclaggio appunto, perchè ad eccezione dei fondi generati da presunte tangenti relative al rilascio della licenza di Banca Privata, dall’acquisto della sede di Banca Centrale e dal rilascio della finanziaria Colombini -tangenti comunque contestate, come tali, a più riprese dai difensori degli imputati, intenti ad evidenziare attraverso le parole dei teste l’assenza negli stessi atti delle condizioni giuridiche proprie della corruzione- ampia parte dei 200 movimenti indicati come azione di riciclaggio non vedono neppure negli stessi atti di accusa una precisa riconduzione a soldi frutto di un preciso reato e talvolta, addirittura, non ne risulta neppure nota, individuata e indicata l’origine. La normativa, infatti, in materia di riciclaggio è quanto mai esplicita: è riciclaggio la movimentazione di fondi frutto di un reato. In assenza del “reato presupposto”, quindi, non è legittimo parlare di riciclaggio. E senza questi due reati ogni altra accusa decadrebbe nell’oblio della prescrizione…

Nelle prossime udienze, conseguentemente, la partita si continuerà a giocare soprattutto su queste  due ipotesi di reato, con le difese intente a demolirne i presupposti e l’accusa intenta a rimediare ad una definizione -diciamo- un po’ troppo approssimativa, comunque non certo certosina degli atti istruttori che, per quanto trapelato sui media nei mesi scorsi e prima di finire all’esame del dibattimento, lasciavano invece intendere che alla sbarra del primo maxi-processo non ci fossero -come imposto dal Diritto- dei “presunti innocenti”, ma soltanto una lunga serie di “presunti colpevoli” in attesa di “scontata condanna”. Oggi si evidenzia chiaramente, invece, che in questo procedimento nulla era, e tutt’ora è, scontato…

e.l.