Simoni ricostruisce, in udienza ieri pomeriggio, l’iter avviato dal vecchio Consiglio. La versione ”in continuità con i criteri valutativi adottati negli anni precedenti” del bilancio fu soppiantata da un buco da 534 milioni. Una decisione che cambiò la storia di Carisp.
Il processo in corso sul cosiddetto “bilancio farlocco” di Cassa di Risparmio non riguarda solo delle cifre, ma racconta una vera e propria frattura istituzionale, un prima e un dopo nella storia della principale banca sammarinese. Ed è nella differenza tra due bilanci del 2016, redatti a pochi mesi di distanza, che si cela — forse — il cuore del mistero.
Durante la sua lunga deposizione di ieri, 25 marzo 2025, l’ex direttore generale Luca Simoni ha fatto riemergere la versione originaria del bilancio 2016, quella preparata dal CdA presieduto da Giacomini, poi bruscamente estromesso. Secondo Simoni, il Consiglio aveva già avviato in modo regolare e ordinato l’iter per l’approvazione del bilancio, con il primo passo rappresentato dall’approvazione e trasmissione dei prospetti segnaletici a Banca Centrale nel mese di marzo 2017.
Questa versione preliminare del bilancio, pur non ancora definitiva, indicava una perdita contenuta attorno ai 75 milioni di euro. Una cifra importante, certo, ma che si collocava in linea con le valutazioni precedenti e con i parametri di gestione consolidati. Soprattutto, era un bilancio credibile, compatibile con la continuità aziendale, tale da non provocare terremoti interni o reputazionali.
Ma tutto si fermò. Di lì a poco, il Consiglio Giacomini fu costretto alle dimissioni. Una rimozione che oggi, alla luce dei fatti e delle testimonianze, appare come il risultato di pressioni istituzionali fortissime. Lo stesso Simoni ha descritto come l’intero CdA venne convocato in Banca Centrale, dove ai consiglieri fu chiesto di farsi da parte. Quella riunione, come raccontato anche nell’articolo https://giornalesm.com/san-marino-processo-del-bilancio-farlocco-carisp-da-534-milioni-di-euro-lettera-in-ferie-cosi-fu-cacciato-luca-simoni-dopo-il-bilancio-da-534-milioni/ , segnò l’inizio di un cambio di governance calato dall’alto.
Il CdA Giacomini, che avrebbe potuto approvare un bilancio verosimile e sostenibile, venne sostituito da una nuova compagine, quella guidata da Nicolino Romito, che nel giro di poche settimane presentò una nuova versione del bilancio — questa volta con una perdita colossale: 534 milioni di euro.
La discrepanza è abissale. E l’interrogativo sorge spontaneo:
Com’è possibile che in pochi mesi, con la stessa banca, lo stesso patrimonio, gli stessi crediti e le stesse partecipazioni, la perdita stimata sia passata da 75 milioni a 534?
Simoni ha chiarito che la procedura avviata dal Consiglio Giacomini era perfettamente regolare e sarebbe con ogni probabilità sfociata nell’approvazione della versione iniziale del bilancio. A ostacolare quel percorso non furono elementi tecnici o contabili, ma decisioni di natura politica, istituzionale, forse anche strategica.
Nel corso dell’udienza, Simoni ha sottolineato come non ci fosse alcun elemento oggettivo che potesse giustificare, in così breve tempo, una revisione al rialzo così devastante della perdita d’esercizio. Anzi, i presupposti per una gestione prudente e lineare c’erano tutti, a partire dall’analisi dei crediti, delle partecipazioni e dei fondi accantonati.
E allora perché venne stravolto tutto?
L’impressione, sempre più chiara agli occhi degli osservatori, è che si volesse chiudere definitivamente con la precedente gestione, attribuendo ad essa — in modo retroattivo — tutti i problemi e i rischi presenti e futuri, creando un “buco” contabile gigantesco che potesse legittimare ogni intervento successivo: nazionalizzazione, svendite, cessioni, ristrutturazioni, azzeramento delle responsabilità.
Un’operazione di ingegneria contabile a scopo politico e sistemico, dunque, che ha avuto come primo atto la rimozione di chi quel bilancio da 77 milioni lo avrebbe approvato. Non è un caso che le dimissioni del CdA Giacomini e quelle richieste a Simoni siano avvenute proprio nelle settimane precedenti all’approvazione del bilancio “farlocco”.
Ciò che è emerso dall’udienza è la fotografia di una banca sotto pressione, in balia di logiche che andavano ben oltre le scrivanie del CdA. E il bilancio da 77 milioni — oggi dimenticato — torna ora al centro del processo come prova mancata di un altro scenario possibile: quello della verità contabile.
Marco Severini – direttore del GiornaleSM
Leggi anche: