Mi ha spiazzato, lo ammetto, la sentenza di appello del cosiddetto Processo Mazzini. Non perchè non la ritenessi scontata in una imparziale applicazione del Diritto e del Codice Penale, ma perchè ritenevo ormai perso, sul Titano, dopo quanto visto durante le indagini, durante il processo di primo grado e dopo quanto letto nelle motivazioni della prima sentenza emessa dal giudice Gilberto Felici (oggi clamorosamente smentita), ogni parvenza di applicazione del Diritto in Repubblica, quello che si scrive con la D maiuscola…
Ma chi, maggiormente, esce con le “ossa rotte” -metaforicamente s’intende- è il Giudice inquirente Alberto Buriani, che alla luce di questa sentenza di appello avrebbe istruito questo maxi-processo che, perseguendo -si ha certezza oggi-, anche ipotesi di reato su condotte e azioni estinte anni prima, in un caso addirittura la prescrizione risale il 29 maggio del 2006. E, con le “ossa” altrettanto devastate esce quella informazione che, cavalcando il giustizialismo dilagante sammarinese -che non si placherà di certo con questa sentenza-, non esitò a innalzare al cielo il Pm di turno e affossare all’inferno gli indagati, i presunti innocenti fino a sentenza definitiva e contraria.
Dovrebbero, inoltre, vergognarsi ancora di più, oggi, coloro che inscenarono l’incivile “manifestazione delle arance” sotto la finestra della cella di un indagato sottoposto a custodia cautelare e, oggi, assolto o prosciolto da ogni accusa. Recupererebbero la loro dignità, questi manifestanti, solo sfilando domani in ginocchio, per le vie del Titano cosparse di ceci… sempre metaforicamente s’intende!
Scendere nel dettaglio di questa sentenza di appello oggi, per chi come me non è un professionista del foro ma un umile commentatore, è impossibile. Lo farò quando avrò compreso il senso giuridico di ogni parola contenuta nel dispositivo redatto dal Giudice Caprioli. Per ora mi limito ad una -chiamiamola- analisi logica, che non sempre collima con i principi giuridici.
Non mancheranno, in ogni caso, voci diametralmente opposte al mio pensiero sopra espresso, specie sulle responsabilità che mi paiono chiare relativamente ai “padri” e ai “tifosi” di questa inchiesta oggi smontata punto per punto. Ai tempi delle indagini, obietterà qualcuno, non esisteva la recente sentenza del Collegio Garante che è stata, pare, la base delle conclusioni tratte dal Giudice di appello… Vero, ma non si dimentichi che il Collegio Garante non ha modificato una norma o varato una nuova legge, si è limitato a dare la giusta interpretazione a norme preesistenti ma interpretate in maniera errata, in taluni casi, fin dalle primissime fasi dell’inchiesta.
Mi ha colpito, però, nell’immediatezza della sentenza, una dichiarazione dell’Avvocato Simone Menghini, difensore di Fiorenzo Stolfi: “Tenga conto -ha dichiarato, interpellato da Marco Severini- che il nostro cliente ha subìto la carcerazione preventiva per fatti risalenti a dieci anni prima”. Già, per fatti risalenti a 10 anni prima. Una carcerazione preventiva che, alla luce della lontananza temporale in cui si sarebbe consumato il presunto reato, già appariva inspiegabile prima della sentenza di appello ma diviene ingiustificabile, intollerabile oggi. Al pari di quella di altri indagati come Claudio Podeschi e la sua compagna e, in altro procedimento, di Gabriele Gatti, le cui ipotesi di reato alla base della stessa custodia cautelare non hanno trovato conferma neppure nel decreto di rinvio a giudizio.
Ora, non resta che fare piena luce sul perchè si sia spazzata, per via giudiziaria, una intera classe politica… Fu davvero un mero errore giudiziario? O, come alimenta sospetti la conclusione, approvata all’unanimità dal Consiglio Grande e Generale, della Commissione di Inchiesta su Banca Cis che lascia intendere uno strapotere, con anche diramazioni in Tribunale, della cosiddetta “cricca”, “sotto-sotto” ci potrebbe essere ben altro? Sarà il tempo, la storia o, magari prima, il Tribunale a svelarlo…
Giunti a questo punto vorrei sottoporvi una mia considerazione che feci nel giugno 2014, su queste stesse pagine elettroniche, all’indomani del risonante arresto di Claudio Podeschi. Parole che all’epoca apparivano -visto l’entusiasmo che l’arresto aveva generato nella popolazione sammarinese- insensate, ma che oggi hanno meritano ben altra considerazione.
Era il 25 giugno 2014 quando scrissi: “Pensateci bene, cittadini onesti, prima di trarre conclusioni -conclusi quel mio commento-. Pensiamoci bene, cari ex colleghi, prima seguire la comoda, distruttiva corrente… Pensateci bene, illustri Giudici, prima di rischiare di distruggere l’autorevolezza della Magistratura Sammarinese, che non potrebbe sopportare, oggi, pur vaghe accuse di “azioni penali promosse dalla politica sammarinese”…
Oggi, cari sammarinesi, come è andata a finire?
Enrico Lazzari