Le basi ci sono. Ma vanno consolidate e rafforzate così da ridare al Titano quell’attrattiva -basata su capisaldi storici come anonimato societario e segreto bancario- che aveva un tempo sugli investitori esteri. Oggi, il nuovo “caposaldo” economico potrebbe essere il prezzo dell’energia.
Sul gas il governo, come annunciato a suo tempo dai Segretari di Stato Luca Beccari e Teodoro Lonfernini, ha piazzato un vero colpaccio nel febbraio scorso, accaparrandosi ad un prezzo inferiore ai 50€ a MegaWatt/Ora i prossimi sei anni di fornitura per quanto concerne il gas.
Un “prezzaccio” visto che in questi giorni sul mercato internazionale oscilla fra i 120 e i 130 euro per MW/h. Oltre due volte e mezzo quanto lo paga l’Azienda Autonoma di Stato per i Servizi. Non è un caso che, rispetto la vicina Italia, l’aumento in bolletta del costo del gas, sia per le imprese che per le famiglie, è stato quanto mai contenuto e dovrebbe essere ormai stabilizzato, almeno per i prossimi sei anni.
Gia questo, da solo, a fronte di aumenti con percentuali più da “inflazione venezuelana” che non da crisi energetica di cui sono vittima le famiglie e, soprattutto, le aziende italiane di certi settori la cui produzione richiede un grande dispendio di energia (es. ceramiche, lavorazione di verdure, vetrerie e così via). Tante di queste hanno sospeso o ridotto fortemente la produzione non potendo più copire con il prezzo di vendita il costo della produzione; altre stanno delocalizzando in nord Africa o ad Est, dove l’energia ha costi ancora bassissimi.
Alcune di queste, con una politica energetica saggia, potrebbero guardare con grande attenzione al Titano come nuova sede delle loro produzioni. Ciò porterebbe, ovviamente, importanti introiti per le casse pubbliche in termini di occupazione e di tasse corrisposte.
Ma nulla può arrivare per caso. Per ottenere ciò, infatti, serve creare le condizioni per una competitività a lungo termine. Sei anni di prezzo stabile del gas non bastano per rendere conveniente un investimento di tale portata come il trasferimento della produzione di una grande azienda… Ma potrebbero esserlo per una piccola o media impresa, insignificante in una economia statale se sola, ma determinante se moltiplicata per 10, 20, 30, 100…
Non è possibile, del resto, per San Marino, il cui sottosuolo è privo di giacimenti, ipotizzare una autonomia nel fabbisogno di gas.
Ma è possibile farlo in materia di energia elettrica. Bisogna, però, avere in primis la consapevolezza della difficile situazione economica che attraversa il Paese e, poi, il coraggio di accantonare ogni integralismo “green”, primo fra tutti l’obiettivo di diventare il primo stato al mondo ad emissioni zero.
Cosa porterebbe, del resto, essere la prima comunità ad emissioni zero se non una insignificante -in termini economici- ricaduta di immagine fra i fans di Greta Thumberg? Nulla…
Ben inteso, non sto sostenendo che si debba perdere ogni sensibilità ambientalista… Ma che anche ciò vada vissuto in termini razionali, valutando ogni scelta nel contesto in cui va inserirsi. Mi spiego meglio: se San Marino fosse il Principato di Monaco, dove la tassazione è -semplifico- zero, una minitassa potrebbe andare a bilanciare l’aggravio di costi derivanti dall’azzeramento delle emissioni, ma lo stesso costo potrebbe essere sopportato da uno stato che continua a far debito e poi gran parte di questo viene destinato alla copertura della spesa corrente? Senza dubbio no… Unito all’assenza di progettualità, sarebbe l’ennesimo passo verso il crack economico stile Grecia.
Sono quindi due, la prima a dire il vero poco percorribile nel breve termine, le opportunità che ha oggi San Marino: la produzione di energia attraverso il nucleare e la produzione di energia grazie al termovalorizzatore, di cui vi ho parlato su queste stesse pagine.
Ma il termovalorizzatore inquina, dirà sdegnato uno dei tanti integralisti green che non mancano neppure sul Titano. Certo, seppure ormai l’impatto ambientale sia ridottissimo è impensabile un impianto simile a impatto zero. Ma, è lecito domandarsi, è green produrre energia con un termovalorizzatore quando si riaprono le centrali a carbone, come ha appena fatto il Belgio e qualche altro paese Ue? Senza dubbio sì…
Ma facciamo due “conti” in Euro e MegaWatt, ricordando che il Titano ha già un inceneritore, quello di Coriano (di ormai obsoleta generazione), a pochissimi chilometri dal confine di stato, che potrebbe venire dismesso se l’esigenza “romagnola” di smaltimento trovasse soluzione in un impianto modernissimo in Repubblica, con relativo vantaggio ambientale anche per la comunità del Titano che in certe condizioni oggi “respira” i fumi di quell’inceneritore ormai tecnologicamente obsoleto.
Un termovalorizzatore è un business doppio perchè -al contrario di ogni altra centrale, dove la fonte energetica va pagata- produce guadagno sia nel reperimento del “combustibile” che nella vendita dell’energia da esso prodotta. Anzi triplo, perchè le ceneri possono a loro volta essere riciclate anche nel loro 90% e messe sul mercato una volta trasformate.
Ma, come detto, facciamo due conti. Un impianto di termovalorizzazione moderno, compatibile con l’allestimento nel non morfologicamente ottimale territorio sammarinese, potrebbe facilmente produrre 500 GigaWatt/ora ogni anno, a fronte di un fabbisogno interno allo stato attuale di circa 290 Gw/h. Si avrebbe un surplus di oltre 200 GW/h, che potrebbero essere venduti all’estero per generare introiti che risanino direttamente le casse pubbliche o, più saggiamente, per aumentare il Pil (quindi gli introti fiscali) e l’occupazione, attraverso l’attrattiva data verso gli investitori dalla presenza geografica nel cuore dell’Europa e dal costo dell’energia altamente concorrenziale. Una strategia, quest’ultima, che sul lungo termine darebbero una importante solidità al sistema economico sammarinese.
In “soldoni”, visto che in questi giorni il costo per megawatt nella borsa energetica è mediamente di circa 360 euro, la produzione energetica dai rifiuti, in San Marino, ipotyizzabile in almeno 500.000 MW/h annuali, potrebbe generare un introito lordo di addirittura 180 milioni di euro ogni anno. Ai quali va poi aggiunto l’introito derivante dal conferimento dei rifiuti quantificabile in almeno 100 euro a tonnellata, potendone smaltire, in due forni, almeno 50 tonnellate ogni ora, ovvero 1.200 tonnellate al giorno, oltre 400mila tonnellate all’anno per un ulteriore introito annuo di, appunto, una cinquantina di milioni.
Ma il termovalorizzatore inquina… Certo, ma non dimentichiamo che uno di questi, modernissimo, è attivo senza alcun problema o “rivolta” popolare nel centro di Copenhagen…
Enrico Lazzari