San Marino. Prof. Giuseppe Roberti: ”Tutto quello che i giornali non hanno scritto sul “conto Mazzini” ” PRIMA PARTE

Prof. Giuseppe Roberti

Riceviamo e pubblichiamo la memoria del Prof. Roberti depositata nel processo Conto Mazzini al Giudice Caprioli il 7 agosto prima del sindacato al giudice Alberto Buriani.

“Il più grande scandalo politico, il maggiore errore giudiziario?”. Così descrivono le cronache il famoso “caso Dreyfus” consumatosi alla fine del XIX secolo. Il processo Mazzini sembra rivelare le stesse caratteristiche. Non paia quindi inopportuno che il sottoscritto Giuseppe Roberti, che dal 2014 viene descritto come il maggiore imputato, tenti di far comprendere come siano andati realmente i fatti e come la storia recente di San Marino abbia tuttora risvolti che si cerca di nascondere come polvere fastidiosa sotto il tappeto, cercando di addossare ad altri le inevitabili conseguenze che si riverberano tutt’oggi sulla vita quotidiana della Repubblica.

Il ritratto che hanno fatto di me i giornali e le 600 pagine della sentenza di primo grado, non corrisponde in nessun modo alla realtà. Sembra piuttosto rispecchiare la necessità di dimostrare “altro”.

Eccomi dunque in una “confessione” che voglio fare pubblicamente perché, così come il mio nome è stato infangato, altrettanto clamorosamente venga riabilitato.

Ancora oggi, alcuni antepongono al mio nome l’appellativo di “professore” in omaggio alla mia carriera accademica e didattica. Ma nel mio curriculum compaiono molte altre voci, ivi comprese quelle di “imprenditore” e “politico”.

Direi che è una precisazione necessaria perché non tutti conoscono, o strumentalizzano, la mia figura, che oserei definire “poliedrica” per via dei tanti interessi curati nelle diverse fasi della mia vita.

Una svolta sicuramente molto importante è avvenuta quando sono arrivato per la prima volta a San Marino, verso la fine degli anni Ottanta del secolo scorso. Alcuni maggiorenti hanno immediatamente capito che la mia contiguità con i palazzi romani, poteva loro essere molto utile.

Infatti, dal 1989 al 1992 sono stato distaccato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri come collaboratore del Sottosegretario On. Nino Cristofori (governi Andreotti). Per questi motivi, che ovviamente comportavano innumerevoli conoscenze, amicizie e rapporti professionali, potevo allacciare facilmente contatti sia negli ambienti provinciali e regionali, sia presso gli uffici dei più alti esponenti della politica e del governo italiano.

Ricordo inoltre che dal 1972 al 1993 ho sempre fatto parte degli organismi direttivi provinciali e regionali della Democrazia Cristiana. Dal 1970 al 1975 Consigliere Comunale e dal 1990 al 1995 Consigliere Provinciale.

Dal 1992 al 1995, sono stato membro del cda di Castaglia SPA (Iri Ambiente). Dal 1995 al 1998 sono stato membro del cda AMIA (oggi Hera) in rappresentanza del Comune di Rimini e quindi del 51 % del capitale sociale. La mia posizione sprigionava delle potenzialità che non sono sicuramente sfuggite ai politici sammarinesi. I quali, negli anni del boom economico, stavano maturando ambizioni sempre più grandi.

Dal canto mio, invece, avevo cominciato a coltivare l’ambizione di portare a San Marino qualche progetto di natura economico – culturale – finanziaria, in grado non solo di fare crescere lo Stato e la sua popolazione, ma anche di diventare il viatico per un futuro di benessere e di tranquillità.

Non mi interessavano i soldi. Ho avuto la fortuna di nascere in una famiglia benestante e la mia parentesi imprenditoriale mi aveva consentito di accrescere il mio patrimonio. Potevo permettermi, perché me lo imponeva la mia coscienza e la mia cultura di onestà, di rifiutare consulenze milionarie (parlo di lire, ovviamente) che mi venivano periodicamente offerte, perché sapevo perfettamente che erano fasulle. La mia soddisfazione era invece nell’aiutare a risolvere i problemi, a fare in modo che le diverse fazioni politiche fossero in equilibrio tra loro. Ma soprattutto, il mio intento era quello di favorire e appoggiare una corrente di giovani democristiani, che secondo me avrebbero dovuto scalzare la vecchia politica e smantellare i centri di potere più forti, per dare il via a un nuovo corso da cui non avrebbe potuto derivare altro che il bene della Repubblica di San Marino.

Quanto mi sbagliavo!

Quanti errori ho fatto, in buona fede, con il solo obiettivo di dare un contributo allo sviluppo della Repubblica.

Innanzi tutto non avevo capito che il sistema allora vigente, peraltro legittimo e legale, aveva scavato abissi di invidie e di lotte intestine tra gli stessi politici e, talvolta, perfino tra gli appartenenti ad uno stesso partito.

All’epoca, si vendeva tutto: licenze commerciali ed edilizie, banche, finanziarie, lotti, società, eccetera, eccetera. Le triangolazioni erano all’ordine del giorno. Le fatture false potevano riempire camion interi.

Infatti, qualsiasi cosa, più o meno importante che fosse, passava in Congresso di Stato, vero principe e sovrano, che decideva su tutto e al cui interno si spartivano gli affari, si lottizzavano gli incarichi, si decideva chi e che cosa favorire. Insomma, funzionava come il cda di una grandissima società per azioni. Per questo era così importante essere dentro la stanza dei bottoni. Ovviamente, di ogni affare andato a buon fine, se ne avvantaggiavano anche i partiti e i vari entourage.

Le cose andavano bene, l’economia (benché fasulla) era fiorente, lo stato sociale era di altissimo livello. Tutti sapevano e tutti tacevano, perché ne ricavavano profitto. È davvero impensabile che apparati pubblici come l’Ufficio Tributario, il Tribunale, la Polizia Civile, la Gendarmeria, non si accorgessero delle migliaia, dei milioni, di fatture che transitavano per San Marino.

Non è pensabile che i professionisti non sapessero nulla. Avvocati e notai, commercialisti, ragionieri, che gestivano le oltre 5.800 società, le 74 finanziarie, le 12 banche: non sapevano nulla? Non hanno visto nulla?

Poi c’erano tutti i professionisti del settore immobiliare: ingegneri, architetti, geometri, a cui vanno aggiunte le tantissime ditte del settore costruzioni, anch’esse bravissime a far crescere, insieme agli appalti, anche i volumi del fatturato.

Per questo non capisco come mai, nel cosiddetto “processo Mazzini”, ribattezzato dalla stampa come “la Tangentopoli del Titano” compaiano solo 21 indagati, dei quali solo 6 hanno realmente a che fare con il “conto Mazzini”. Tutto il resto mi giunge estraneo.

Per quanto mi riguarda, voglio affermare con forza che, se si vanno a guardare le carte, di tangenti non ne ho mai prese. Non solo, ma posso asserire con assoluta certezza che, con il mio operato, non ho truccato appalti, non ho venduto prerogative di Stato (residenze, onorificenze, incarichi diplomatici, eccetera) e ?nessun cittadino sammarinese ha mai perso un euro per colpa mia?. Con la mia società non ho mai fatto nessuna fattura di comodo per favorire l’evasione fiscale italiana e il riciclaggio.

Come ambasciatore, a differenza di molti altri di cui si legge sui giornali, non ho mai messo in piedi iniziative e progetti che si siano rivelati scandali internazionali in cui sono rimasti coinvolti decine di diplomatici sammarinesi. Nessuno mi può accusare di comportamenti illeciti o dannosi per l’immagine della Repubblica.

Eppure, figuro tra i maggiori indagati.

Ben sapendo, come sanno tutti, che “il conto Mazzini” era costituito da diversi libretti al portatore, in cui sono stati versati 4 milioni e 800mila euro risultanti dalla somma pagata da Lucio Amati per l’acquisto di una licenza bancaria e parte della somma versata nella vicenda Telecomunicazioni ( il totale Telecomunicazioni era di circa 2.900.000 euro).

Altra cosa è il capitale di 2 milioni della Penta Immobiliare. Questa società era costituita da due soci in chiaro e due soci occulti, ciascuno di essi vi era confluito con un contributo di 500mila euro. La mia quota parte proveniva dal mio conto corrente, sulle altre non saprei dire né da dove provenivano, né dove sono andate a finire. Poiché l’autorità giudiziaria ha in mano tutte le carte, può facilmente verificare la veridicità delle mie affermazioni.

La cifra versata da Lucio Amati, 4 milioni e 800 mila, venne divisa fra esponenti di area socialista e democristiana, secondo equilibri decisi da loro stessi. Io ricevetti solo il corrispettivo della mediazione. Fine della storia. Nel processo, invece, c’è finito di tutto.

Ma soprattutto, ci sono finito io, indicato come il “deus ex machina” dell’immenso giro di denaro che ruotava intorno alla politica sammarinese.

Sono stato sbeffeggiato, deriso, umiliato. Mi hanno definito “il Rasputin di Montefiore” cucendomi addosso una malvagità che davvero non mi appartiene e che riflette solo quella dei mittenti.

Mi sono stati sequestrati non solo tutti i beni che avevo a San Marino (che tra l’altro avevo messo autonomamente a disposizione dell’Autorità giudiziaria, prima del sequestro, per le opportune verifiche), ma anche i beni detenuti in Italia, conti correnti e immobili, frutto del mio lavoro precedente, e perfino le proprietà di famiglia frutto dell’eredità di mio padre. Un abuso inaudito, oltre che improprio. Ma tanto è stato sufficiente perché la stampa sammarinese potesse ricamare per settimane, mesi ed anni, con congetture al cui centro c’era sempre “il Rasputin” di Montefiore!

A proposito del sequestro equivalente, vorrei sottolineare che è una pena, e che in quanto tale dovrebbe essere comminata dopo il processo, ovvero dopo che sia stato verificato quali e quanti beni siano frutto di un eventuale illecito. Procedere al sequestro per equivalente fin dalla fase istruttoria, appare a tutti gli effetti come un atto in odore di incostituzionalità.

Tutto ciò senza neppure essere stato interrogato né da Buriani, né dal giudice di primo grado, come più volte richiesto da me stesso e dai miei avvocati.

Tutto ciò ha permesso che si consumasse nei miei confronti un’inaudita violenza politico-giudiziaria-mediatica, orchestrata da un gruppo criminale internazionale, con gli inevitabili agganci interni, che ha utilizzato il processo Mazzini per confondere la pubblica opinione e distrarla dall’operazione “saccheggio” della Repubblica.

Non uso questo termine a caso: il saccheggio delle risorse pubbliche si è regolarmente verificato, come dimostrano le cronache di questi ultimi anni. Di fronte allo scempio fatto sull’economia e sulle banche, parlare dei 4-5 milioni del conto Mazzini come della “tangentopoli sammarinese” è un’offesa all’intelligenza di quanti hanno seguito e capito cosa è successo realmente all’interno delle dinamiche politiche sammarinesi.

(…) Giuseppe Roberti

FINE PRIMA PARTE