
Riceviamo e pubblichiamo la memoria del Prof. Roberti depositata nel processo Conto Mazzini al Giudice Caprioli il 7 agosto prima del sindacato al giudice Alberto Buriani.
Tra l’altro, come più volte è stato detto e dimostrato, il finanziamento avvenuto in quegli anni a vantaggio dei partiti e dei singoli politici ha superato il miliardo di euro (due mila miliardi delle vecchie lire). Altro che conto Mazzini!
Ci tengo molto a sottolineare che, nel corso delle mie attività portate avanti per conto della politica sammarinese, non un solo centesimo hanno perso i cittadini sammarinesi per colpa mia. Come ho detto più volte sono pronto ad accettare limitazioni alla mia libertà personale se qualcuno può dimostrare il contrario. Mi sembra più che ovvio che, in tale situazione, sono io stesso a chiedere a gran voce che il processo Mazzini giunga a termine il prima possibile, ovviamente se condotto nei termini del “giusto processo”. Altrimenti, in queste pagine emergono tutti gli elementi necessari per la sua riapertura. ?Come ad esempio il fatto che il giudice Buriani, a capo del pool di magistrati che ha condotto la fase inquirente, era in stretti rapporti di amicizia con gran parte degli indagati. In particolare con me, Menicucci, Marcucci, Lonfernini, Mularoni, aveva frequentazioni periodiche, tanto che spesso uscivamo insieme a cena. Quindi conosceva le attività politiche, raccoglieva le nostre confidenze e dispensava i suoi consigli. Rapporti amicali e conviviali che sono proseguiti con gli “amici” sammarinesi anche durante la fase inquirente.
Il giudice a cena con le persone da lui stesso indagate è una cosa gravissima e deontologicamente, moralmente inaccettabile.
In più, Buriani è stato il legale di fatto della Banca Commerciale, di cui ero presidente. In particolare, nella vicenda Gi.val (truffa di 20 milioni alla Banca Commerciale), l’avvocato della Banca Marcucci è stato sostenuto e consigliato da Buriani, che sostanzialmente ha svolto il ruolo non ufficiale di consulente. C’erano pertanto tutte le ?caratteristiche di incompatibilità e di una ricusazione da parte mia e di altri imputati. Ma tutto è stato costruito in maniera tale che non ci fossero i tempi per presentare l’atto di ricusazione.
A volere essere pignoli, avrebbe dovuto essere lui stesso a valutare l’incompatibilità e rinunciare all’incarico affidatogli.
Col senno di poi, alla luce di tutti gli elementi e le vicende emersi in questi anni, posso dire senza ombra di smentita che le mie “vere” colpe sono state quelle di aver pensato di traghettare una piccola Repubblica da un’economia “malata” verso un’economia che potesse essere internazionalmente accettata e riconosciuta. Solo oggi capisco che “la cricca” non poteva accettare un disegno chiaro, trasparente, onesto, ma doveva tramare nelle ombre oscure della politica per impossessarsi dei gangli vitali del Paese, facendo saltare ogni possibile concorrenza, perfino occupando le massime istituzioni.
L’altro grande errore è stato puntare sulla corrente giovanile interna della DC, che nelle mie intenzioni avrebbe potuto abbracciare un progetto di sviluppo innovativo e lungimirante. Anche per questo, quando mi è stato richiesto, mi sono attivato per trovare finanziamenti al partito.
Ma è stata una svista madornale: perché questa scelta non ha fatto altro che tirarmi addosso invidie, permali, illazioni e dispetti di ogni genere, oltre che una massa incredibile di strumentalizzazioni.
Nessuno dei miei “amici” di quel tempo, nessuna delle tantissime persone che hanno beneficiato dei miei uffici, ha speso una parola per me. Sono rimasto solo, vecchio, ammalato, mortificato nella mia dignità e nel mio onore, ma libero di dire quello che so e penso, senza paura di ricatti o obbligato a segreti e omertà. Per via delle gravi conseguenze psicofisiche che la vicenda giudiziaria, inevitabilmente, mi ha procurato, io, che ero benestante di famiglia, sono rimasto senza un soldo, pur dovendo affrontare spese legali e sanitarie.
Per fortuna non ho perso la stima e la considerazione dei miei amici italiani ed anche sammarinesi, delle tantissime persone che ho incontrato, e magari aiutato, nell’arco della mia vita. Oggi sono solo loro a farmi coraggio e a non farmi dimenticare che “la giustizia, alla fine, prevarrà!”.
È grazie a loro, e alla mia famiglia, che oggi, il mio unico obiettivo è recuperare la mia onorabilità anche nell’immaginario di quei sammarinesi che mi hanno condannato solo sulla scorta dei titoli dei giornali, senza conoscermi e senza sapere come sono andate realmente le cose.
Per questo, rimango sempre disponibile a rispondere alle domande che il giudice volesse pormi per ricostruire le vicende, o per chiarire passaggi che sono rimasti oscuri, o per confutare testimonianze non vere e mai opportunamente verificate.
Tutto questo lo devo alla mia famiglia, ai tanti amici “veri” che non mi hanno mai abbandonato, né tradito per 30 miseri denari. Lo devo anche a me stesso, per onorare gli insegnamenti ricevuti da mio padre.
Come si evince anche dalle pagine del libro “Da grande voglio le fatture” (di Angela Venturini), che riporta la mia testimonianza diretta sulla storia politica di una ventina d’anni, circa a metà degli anni Novanta, avevo immaginato la creazione di una Banca Centrale come possibile embrione di una piccola piazza finanziaria, simile a quella che c’è in tutti i piccoli Stati. Ero del parere che San Marino non potesse reggersi a lungo sulle fatture false e sulla vendita delle licenze. Ma la banca è stata distrutta fin dai suoi esordi. Hanno cacciato Luca Papi (direttore), Stefano Caringi (vigilanza), Biagio Bossone (presidente) solo perché facevano le ispezioni. Formalmente si sono dimessi, ma hanno lasciato una lettera con accuse pesantissime (vedi servizio San Marino RTV del 9 febbraio 2010 e lettera integrale pubblicata sul sito CDLS, sempre il 9 febbraio 2010).
Tutto perché era stata disposta un’ispezione in Banca Partner. Che fu iniziata e bruscamente interrotta.
Mi permetto di ricordare che la cacciata di Papi ha avuto il suo peso anche nelle vicende successive, in quanto se lui fosse stato ancora in BCSM e si fosse firmato il famoso Memorandum d’intesa, probabilmente non ci sarebbe stata “l’indagine Varano” e la terribile “vicenda Delta” perché non sarebbe stato illecito per la Cassa di Risparmio operare in Italia.
Voglio anche sottolineare che Banca Centrale ha, e ha sempre avuto, il compito di vigilanza e controllo sull’intero sistema bancario e finanziario sammarinese. Non quello di vendere le licenze bancarie, come dice Buriani.
Le licenze bancarie furono concesse prima della costituzione di Banca Centrale. Tuttavia va precisato che il sistema clientelare funzionava prima e ha continuato a funzionare dopo, in tutte le banche. Ad esempio, in Banca Commerciale io personalmente ho assunto la sorella di Marco Podeschi, mentre lui è stato assunto in Banca Centrale grazie ai buoni uffici dei giovani esponenti democristiani (quelli del conto Mazzini, per intenderci).
Lo stesso Fernando Bindi venne da me in banca per verificare se fosse possibile assumere suo genero. Poi non se ne fece niente perché il genero optò per un’altra soluzione.
Insomma, questo era l’andazzo e nessuno se ne faceva specie. Ma tornando alle mia vicenda, credo che le mie disgrazie e molto di quello che mi è successo in questi ultimi anni sia da far risalire proprio alla famosa vicenda dell’ispezione in Banca Partners da parte di Banca Centrale (2009). Un’ispezione avviata e subito bloccata, ma Grandoni e Stefania Lazzari mi considerarono il mandante in quanto amico del professor Papi. Anche in questo caso, il giudizio fu approssimativo e sommario, non rispondente alla vera dinamica dei fatti. È vero che io misi i miei buon uffici per la nomina di Papi alla direzione di Banca Centrale, ma la persona era talmente professionale che mai si sarebbe piegata al benché minimo compromesso o suggerimento.
Non si capisce perché il commissario della legge Felici si stupisca della presenza di Papi in Banca Centrale (lo dice nella sentenza di primo grado) e non di Buriani in tribunale. Anche Buriani fu assunto per i buoni uffici di una certa parte politica (sempre i suoi amici del conto Mazzini). Per lui fu addirittura cambiato il bando di concorso, perché non aveva i requisiti. In particolare, non aveva i cinque anni di esercizio della professione legale, che venivano richiesti. E quando si dimise, fu di nuovo assunto con una forzatura delle norme vigenti (vedi conferenza di Gatti nell’autunno scorso). Ma all’epoca, certi comportamenti erano una prassi che non destava scalpore.
Non si capisce perché se gli ispettori vanno in Banca Partners, vengono cacciati gli ispettori. Se invece vanno in Banca Commerciale e in Banca Assett, vanno in Liquidazione Amministrativa Coatta le banche.
Non si capisce perché a me abbiano dato 9 anni e – faccio un nome a caso – a Claudio Felici, solo due. Le 150 licenze per autonoleggio e immobiliari, chi le ha concesse nel volgere di due sedute del Congresso di Stato? Non certo io! Non si capisce perché, in sede inquirente, sia stato disposto un sequestro dei miei beni per 165 milioni di euro, e nel processo di primo grado siano stati ridotti a circa 9. C’è qualcosa che non va.
Questi sono solo pochi delle decine, forse centinaia, di esempi che si possono fare, e che dimostrano inequivocabilmente che da qualche parte si è esagerato!
Pesi diversi, misure diverse.
Non si capisce perché, nonostante due esposti depositati in tribunale, dove racconto con dovizia di particolari e prove allegate, le vicende accadute in quegli anni, non sia mai stato interrogato, con palese violazione dei diritti di un imputato.
Non si capisce perché nessuno si stupisca della sentenza del tribunale di Milano, che mi dà ragione nei confronti di una denuncia per diffamazione a mezzo stampa ( sul quotidiano “Libero”) mossami da Gabriele Gatti che mi diede del bugiardo perché avevo riferito del suo incontro, nel mio ufficio, con Buriani che successivamente modificò la sentenza relativa al famoso processo
La Pietra. A Milano mi è stata data piena ragione: Roberti dice la verità. La sentenza è pubblicata e depositata.
Non si capisce perché non siano stati mai restituiti i telefonini degli imputati del processo Mazzini (Menicucci, Marcucci, Lonfernini, Mularoni). Si può però presumere che in quei telefonini ci sia ancora traccia delle telefonate, dei messaggi, delle cene, degli incontri con Buriani. Infatti, le tracce vengono conservate per almeno 10 anni negli archivi elettronici delle compagnie telefoniche. Quindi, probabilmente, è meglio che rimangano riservati.
Alla luce di quanto è successo in questi anni, anche sul fronte politico, appare molto chiaro che il cosiddetto “Processo Mazzini” è stato caricato di tantissime cose, che nulla hanno a che fare con le vicende che mi vedono protagonista. Mi sono state fatte accuse per le quali non c’è nessuna prova, se non chiacchiere e il sentito dire. Inoltre, per i “presunti reati”, risalenti al 2003 /2004, sarebbe intercorsa la prescrizione ormai da tempo.
Non solo, ma occorre fare un altro ragionamento: se all’epoca non era reato penale il finanziamento della politica, come si può parlare di riciclaggio? Tutti sanno, infatti, che il riciclaggio presuppone un reato sottostante. Gli inquirenti avrebbero dovuto saperlo. Vorrei anche sottolineare che la legge sul finanziamento ai partiti n. 170/2005, nel suo ultimo articolo dispone l’entrata in vigore il giorno successivo a quello delle “prossime elezioni politiche”. Pertanto andò in vigore dopo le elezioni del 2006 e fu applicata nelle elezioni del 2008. Evidentemente il legislatore sapeva bene quali fossero i problemi e le conseguenze, per questo ha posticipato il più possibile i suoi effetti.
Perché allora questa persecuzione nei miei confronti, cominciata dal 2010 e sfociata nel “processo Mazzini”, il quale dura da sei anni, che sta causando conseguenze gravi a livello personale e familiare, oltre che sanitario?
Le ragioni possono essere ascritte su due diversi registri. Uno di tipo più squisitamente psicologico: sono italiano, non ho a San Marino né famiglia, né affetti. È molto più facile scaricare su un italiano colpe inesistenti, piuttosto che accusare un sammarinese di colpe reali. Avere a disposizione un bel capro espiatorio, funziona molto bene mediaticamente.
L’altro, lo si legge perfettamente nelle vicende politiche intercorse in questo lasso di tempo: l’azzeramento di una classe politica a favore di un’altra, presunta, nuova. Mi riferisco in particolare alla compagine politica di maggioranza in carica fino a dicembre 2019. La quale, nuova non era per nulla, fatta eccezione per la riverniciatura alla facciata. Dietro c’erano i soliti personaggi del mondo imprenditoriale, che avevano assunto molto più potere rispetto al passato e per i quali non c’era più il controllo, o il freno, dei leader politici del passato.
Una classe politica asservita alle ragioni di alcuni imprenditori, che hanno fatto di tutto per portare al fallimento lo Stato, senza che potessero essere fermati. Poi sono intervenute le elezioni dell’8 dicembre 2019.
La sovranità si perde in due modi: o perché uno Stato più potente procede alla sua conquista, oppure perché quello Stato si è riempito di debiti. E San Marino ne ha accumulati così tanti, che ancora non si è capito a quanto ammonti esattamente la cifra dei dissesti bancari degli ultimi 3 – 4 anni. Che come tutti sanno, sono andati a carico dello Stato.
Ma non è di questo che si deve occupare il “processo Mazzini”, dentro il quale è stato messo di tutto, fino a farne quasi un romanzo, ma dove manca quasi tutto, perché “volutamente” si sono lasciati fuori tanti aspetti e personaggi, mentre altri sono stati posti alla gogna pur in mancanza di qualsiasi fondamento giuridico. Soprattutto, non si è voluto andare a vedere dove siano andati a finire i soldi e non si è voluto avviare un percorso, del tutto legale e fattibile, per poterli recuperare, almeno in una consistente parte.
Se interrogato sarò in grado di smentire testimonianze di convenienza e smascherare le tante bugie, omertà e silenzi.
Anche per questo sarebbe molto più giusto ed onesto revisionare il “processo Mazzini”.
Consegnerò questo mio scritto al giudice Caprioli, che ha in mano il processo a mio carico, in attesa che mi interroghi. Ma sarà mia cura informare le istituzioni politiche perché la politica ha avuto – e probabilmente ha tuttora – parte integrante in questo processo, anche perché un’informazione mercenaria continua a spargere notizie infondate che non aiutano alla comprensione soprattutto coloro che, forse per la loro età, non hanno un’esperienza di lungo corso.
Da parte mia, chiedo solo giustizia. Quella giustizia che è degna delle millenarie tradizioni della Repubblica, che si basa sul diritto e non sulle chiacchiere o sulle illazioni, che non può essere calpestata e svilita da interessi secondari. Mi ha molto colpito l’intervento del Consigliere Gian Nicola Berti nella sessione consiliare di febbraio 2020, quando dice rivolto ai Consiglieri di Repubblica Futura: “?Ci state portato avanti questa telenovela che non si può fare il processo Mazzini. È una telenovela. Il processo Mazzini dal punto di vista tecnico è già finito. Un processo è fatto di prove, di fatti, testimonianze: io ho letto le 800 pagine del primo grado, e sono rimasto a bocca asciutta. Adesso manca solo la sentenza. Il processo di appello serve solo per dare la possibilità agli indagati di appellarsi, appunto, davanti al giudice. Dobbiamo renderci conto che il Segretario di Stato Andrea Massimo Ugolini aveva ragione. Potrebbero esserci degli atti suscettibili di revisione, ma non saranno revisioni che farà la politica: noi dobbiamo riportare nell’alveo dello spirito normativo una serie di distorsioni.”
C’è davvero da augurarsi che la politica di oggi riesca a correggere le mille distorsioni avvenute in questi anni. Io sono vecchio e stanco, tutte le mie attività sono ormai finite da un pezzo. Ma la Repubblica potrà sempre contare sulla mia sincera amicizia.
Prof. Giuseppe Roberti
Morciano di Romagna, luglio 2020