San Marino. Putin, la chiusura dei rubinetti del gas e la minaccia di una tempesta economica globale: sarà davvero una strategia vincente? … di Alberto Forcellini

Alla fine, l’ha fatto: Putin ha chiuso il gas ma il costo è calato a 240 euro, che è comunque un prezzo folle. E poi comunque e subito risalito di vari punti.

Domenica 4 settembre, per bocca del portavoce Dmitry Peskov, il Cremlino ha parlato di “un’imminente tempesta perfetta sull’Occidente” e di “scenari apocalittici”. Insomma, l’offensiva energetica scatenata da Vladimir Putin e dalla Russia starebbero per sortire i loro effetti peggiori. E per quanto ancora non siamo a quella “tempesta perfetta”, gli effetti sono devastanti. Subito ieri mattina, la giornata è iniziata sotto il segno di clamorose tensioni economico-finanziarie, con il crollo dell’euro, che ha toccato il minimo storico rispetto al dollaro. Intanto la Ue ha annunciato entro qualche settimana le misure di emergenza e ha fissato per il 9 settembre il Consiglio dei ministri dell’Energia.

La presa di posizione di Mosca appare una chiara sfida al potere unipolare del dollaro e oltrepassa una linea rossa che Washington ha sempre considerato inviolabile. Chi l’ha violata l’ha pagata, a caro prezzo. I casi più noti della storia recente sono l’Iraq di Saddam Hussein e la Libia di Muhammar Gheddafi. La mossa russa è volta a creare domanda per il rublo e stabilizzarlo in visione del crollo atteso a causa delle condizioni economiche, della spesa pubblica, delle sanzioni. Chiedere di pagare il petrolio e il gas in rubli, non è una rappresaglia e non è un dispetto agli Usa. Si tratta invece di una manovra economica tecnicamente efficace, soprattutto con la certezza che le proprie materie prime sono necessarie a molti altri.

Nonostante la situazione appaia veramente molto compromessa, tuttavia molti osservatori sono del parere che la strategia di Putin sul gas sia perdente in quanto la Russia è diventata un fornitore inaffidabile, ha mandato al macero la relazione speciale con la Germania e si è legata mani e piedi alla Cina. Non solo, ridurre i flussi di gas per far aumentarne il prezzo è una strategia che funziona nel breve termine, ma poi il sistema necessariamente si adatta. La conseguenza più diretta, per quanto ora possa apparire incredibile, è che la Russia perderà in poco tempo tutto il potere che detiene nel settore del gas.

È vero cioè che gli Stati europei, in primis la Germania, hanno sbagliato a mettere in mano a un dittatore la sicurezza energetica continentale. Ma l’errore è comprensibile: si pensava che lo sviluppo economico avrebbe portato necessariamente alla democratizzazione russa. Si è verificato il contrario: Putin ha impedito lo sviluppo economico, e con i soldi del gas ha semplicemente rinsaldato il proprio potere. È un fenomeno tipico delle dittature basate sull’esportazione di risorse naturali, e la Russia non ha fatto eccezione.

Siamo arrivati addirittura al paradosso di bruciare il gas al confine con la Finlandia. La Russia non lo fa perché “non sa che farci” e non è un “segno di debolezza”. Si tratta invece di un’assurda manovra per influenzare il prezzo: si riduce la quantità di gas consegnato per alzare le quotazioni (come insegnano le teorie sui monopoli), con l’aggiunta dell’effetto terrore del fiammone, pensato come prova muscolare. Del tipo: piuttosto che darvelo, arrivo a bruciarlo. Ma quanto durerà? Ridotte le esportazioni verso l’Europa, la Russia dovrà necessariamente affidarsi ad altri mercati. Ma a questo punto l’unico acquirente rilevante sarebbe la Cina, e ciò va ad aprire tutta una serie di questioni delicatissime per Mosca.

Non è una bella posizione in cui trovarsi, anche perché sicuramente Pechino non vorrà fare la fine dell’Europa e si doterà di tutte le contromisure tecniche e infrastrutturali per evitarlo. C’è anche da chiedersi quanto alla Russia convenga stimolare la crescita della Cina, visto che negli ultimi secoli si sono fatti la guerra più volte: sembra che la piattaforma asiatica non offra sufficiente spazio per tutte e due. Non a caso, dunque, Putin sta cercando un accordo con i talebani afghani su gas, petrolio e grano. Nuovi clienti per finanziare la guerra, che comunque non va come dovrebbe andare secondo le intenzioni del Cremlino.

Colleghiamo ora tutti gli elementi dello scenario. Il cliente storico europeo e l’occidente incrementano l’efficienza, mettono in produzione le riserve, migliorano le infrastrutture e riducono al minimo la dipendenza dal gas russo. Dall’altra parte, la Cina farà lo stesso: non vuole diventare dipendente dal gas russo come ha fatto l’Europa, perché nulla esclude che Mosca possa adottare contro Pechino strategie simili a quelle ucraine. La conseguenza diretta è che si verificherà un rimbalzo della disponibilità di gas, spingendo il prezzo verso il basso. Da una situazione di monopolio relativo, la Russia si troverà a essere un fornitore marginale. Difficilmente potrà piazzare il proprio gas in mercati secondari (tipo i paesi asiatici) con il trasporto su nave, perché non ci saranno sufficienti mercati in grado di assorbire l’offerta.

L’altra soluzione è incentivare l’uso di energie alternative e la transizione ecologica, con decisioni e progetti da prendere subito.

a/f