SAN MARINO. “Quale speranza?”…di Don Gabriele Mangiarotti

Siamo tutti preoccupati per quanto sta accadendo nel mondo, lontano e vicino. In questi giorni il racconto di una madre che annega il figlio perché temeva fosse minorato psichicamente, o il padre che uccide il figlio perché egli vive rapporti conflittuali con la madre sono testimonianze sconvolgenti.

Ci può essere speranza per l’uomo, oggi? E il clima creato dalla pandemia, con le divisioni e le cattiverie che sta producendo, potrà aprirsi a una convivenza ordinata e pacifica?

E poi, se solo allarghiamo l’orizzonte, la persecuzione dei tanti, troppi cristiani, nel mondo può fare presagire a un mondo di autentica fraternità?

Tra molte di queste domande, mi è capitato di leggere queste parole da una intervista al Card. Sarah, ove egli riporta una leggenda che sembra indicare una strada praticabile per fare rinascere la speranza tra gli uomini.

Eccola: «Ti racconterò una leggenda musulmana che mi ha segnato molto, quella di un signore di nome Abdelwahab Ibn Zaïd, che voleva sapere chi sarebbe stato il suo vicino in paradiso”, dice il Card. Robert Sarah… che poi continua: “Perché se hai un cattivo vicino sulla Terra, beh, è difficile, ma ce l’hai per qualche tempo. E poi la morte ti separa, ma se lo hai per l’eternità, è meglio sapere chi potrebbe essere il tuo prossimo. Gli è stato poi detto: “Sarà Maimouna, una ragazza che vive a Koufa”. Quindi va a Koufa e gli viene detto: “È la pazza che tiene le pecore sul lato del cimitero”. Va al cimitero. Vede Maimouna pregare. E ciò che lo sorprende è che le pecore di Maimouna sono mescolate con i lupi. I lupi non mangiavano pecore e le pecore non avevano paura dei lupi. Abdelwahab le lascia finire la sua preghiera e le chiede: “Come mai le tue pecore si trovano bene con i lupi?” Lei risponde: “Ho migliorato il mio rapporto con Dio e Dio ha migliorato le relazioni tra lupi e pecore”. Conclusione: se gli uomini non migliorano i rapporti tra loro e con Dio, le relazioni saranno conflittuali”.»

Sembra qualcosa di irrealizzabile, proprio in questi tempi in cui la dimensione religiosa scompare per lasciare il posto a uno scetticismo diffuso, a un individualismo incapace di carità, in cui gli uomini sembrano perdere il gusto di vivere, tramortiti dalla paura del contagio e della prossima fine.

Amici, a proposito della notizia della Società degli anestesisti riferita al numero di pazienti che rifiutano le cure, così reagiscono: «“Credo che questa notizia debba farci riflettere… forse si è giunti ad un livello di catastrofismo tale e di messaggi per i quali la vita non vale la pena che sia vissuta fino in fondo che le persone anziché lottare preferiscono abbandonare la speranza e la lotta per la sopravvivenza… questo quadro potrebbe aprire uno scenario davvero cupo che rende accessibile e accettata l’applicazione dell’eutanasia…” “Non vorrei, M., che ci fosse soprattutto un problema di solitudine e di sconforto, quelli sì che ti inducono a lasciarti andare…” “Concordo: anche questi aspetti, legati in particolare anche al fatto che i pazienti covid sono isolati dai loro affetti, possono contribuire ad uno sconforto tale per cui c’è la rinuncia e l’abbandono di sé. Ciò non toglie che la cosa è grave, tanto da indurre una società scientifica a farne un comunicato stampa…».

Aborto, eutanasia, perdita del gusto di vivere e della fraternità, indifferenza alla sorte di tanti poveri e “scartati”: e se davvero ci potesse aiutare il risorgere di quella dimensione religiosa che ha generato una civiltà capace di dare senso alla vita e comprensione tra gli uomini?

Gabriele Mangiarotti