San Marino. Quanto costa un “vaffa”? … di Giulio Rossetti

È francamente stucchevole, diciamo proprio noioso, leggere tutti i giorni sui giornali le vicende processuali di Roberto Ciavatta ed Emanuele Santi. È vero sono due personaggi di spicco: uno Segretario di Stato, l’altro segretario politico di Rete. Ma la sostanza qual è? Molti sembrano averla dimenticata. È la guerra fredda che si era scatenata nella passata legislatura dove da una parte c’era la “cricca” impegnata a svuotare le casse dello Stato, dall’altra l’opposizione che denunciava e non veniva ascoltata. Succede che, durante lo sciopero per la patrimoniale e una seduta consiliare a dir poco infuocata, i due esponenti di Rete si recassero in Cassa di Risparmio a chiedere ragione di alcuni fatti incresciosi.

Alla presidenza di Cassa era stato insediato Fabio Zanotti, in quota RF, trasferito con un tratto di matita da Banca Centrale, il quale usava la sua carta di credito aziendale con molta “allegria”. Furono diffusi, all’epoca, scontrini con pranzi che costavano più dello stipendio mensile di un funzionario di alto livello. Erano gli anni delle spese folli di Cassa di Risparmio, nonostante il debito di oltre 500 milioni scaricato sulle spalle dello Stato, della fuga dei soldi dei sammarinesi sfiduciati per la politica finanziaria del governo, della svendita degli NPL, dei bilanci di Cassa che chiudevano sempre in profondo rosso.

È probabile che Ciavatta e Santi fossero indignati. È probabile che abbiano usato anche qualche parola “colorita” ma, stando ad alcune testimonianze processuali, la riunione si svolse in toni rispettosi, se non proprio cordiali. Ma l’occasione era davvero speciale per dipingere invece un assalto, un blitz, per sporgere querela, e farla pagare coi soldi di Cassa. D’altronde, hanno entrambi le phisique di role: Santi ha la stazza di un lottatore giapponese di arti marziali; Ciavatta, con un outfit sempre in total black, dà l’immagine di uno squadrista degli Arditi. Invece il manganello ce l’avevano in mano gli altri e sapevano usare la “giustizia come una clava”.

Non a caso, la faccenda arriva in mano a Buriani, che dispone immediatamente il rinvio a giudizio. Una bazzecola per chi come lui apriva fascicoli sulla scorta di lettere anonime e metteva in piedi casi come quello della “vicenda Gozi” poi smontata come neve al sole. In più c’erano le testate amiche non solo di Buriani, ma anche di RF, Libera, Grandoni, Confuorti e compagnia cantante. Comincia la rumba su Santi e Ciavatta, amplificata per tutta la campagna elettorale e anche dopo che era finita. E che continua ancora. Ma la domanda è: è stato detto davvero quel “vaffa”? In caso, quanto costa? Infatti, sembra un po’ a tutti, visto quanto ci ha raccontato la storia negli ultimi mesi, che la questione sia stata piuttosto esagerata.

g/r