San Marino. Quattro notti in gabbia. Parla Giulio ospite del carcere dei Cappuccini alla fne degli anni novanta

Carcere_di_San_Marino, CappucciniIl bagno penale della Repubblica di San Marino, il carcere dei Cappuccini, è soprannominato con sufficienza Seychelles. In realtà è un luogo macabro. Una galera che evoca il medioevo.

Giulio (nome fittizio per rispetto nei confronti della persona che non vuole comparire per non rispetto della propria famiglia), è stato ospite delle carceri del Titano alla fine degli anni novanta. Giulio è un uomo sulla quarantina, capelli corti, biondi. Sguardo fiero e fisico sano. Lo incontro in un bar della Repubblica. Fuma una sigaretta via l’altra e non abita più a San Marino da anni.

Giulio ha un figlio ma è divorziato, attualmente è operaio in fabbrica.

“Sono stato incarcerato alla fine dei ‘90, c’era ancora la lira” racconta.

Perche?

“Una stupidata, ero giovane, un ragazzo. Avevo del fumo con me, dell’hashish. Ero in Auto e mi hanno fermato per un controllo. Mi hanno sgamato e mi hanno portato ai Cappuccini”.

Con l’accusa di spaccio?

“No, erano pochi grammi, uso personale. Ma all’epoca non c’era distinzione…è stata una stupidata da ragazzo”.

Una stupidata che ha spalancato le porte del carcere…

“Già…era notte. Prima mi hanno portato in comando, poi in cella. Surreale. La galera del Titano è un posto tetro, angusto, opprimente. Non me lo aspettavo. Ricordo una sensazione di non-vita. Mi hanno perquisito, mi hanno tolto tutto quello che avevo in tasca. Anche la cintura dei jeans. Era la fine dell’autunno, faceva freddo”.

La cella?

“Piccola, con un odore duro, polveroso. Da un muro all’altro contavo sei passi. Finestra in alto, con le sbarre, si vedeva solo un lembo di cielo. La porta invece era piena, di metallo, con uno spioncino dal quale mi face- vano veder la televisione (in determinati orari). Una cella senza lavandino, senza water. Di notte per i bisogni avevo a disposizione un bugliolo, un secchio che la guardia mi faceva vuotare al mattino”.

Il letto?

“Un giaciglio da caserma, da colonia montana anni ‘70. Scomodo, rumoroso, maleodorante. Il primo impatto è stato terribile, l’ho aperto e ci ho trovato tre scorpioni. Ho dormito vestito. Anzi, non mi sono mai spogliato per tutto il tempo”.

La giornata come trascorreva?
“Sveglia. Colazione. Visita al bagno (con la doccia sopra una turca per i bisogni corporali) un ora di cortile; ma era novembre, face-va freddo e si stava meglio dentro. Pranzo, ancora un po’ di ‘aria’ poi cella. A sera cena e a seguire un poco di televisione (che mi facevano guardare dallo spioncino della porta della mia cella). Fine. Fino al giorno dopo”.

Alienante…

“In pratica stavo quasi sempre in branda, sonnecchiando senza dormire veramente. Giurnate lunghe. Lunghissime”.

Un po’ di compagnia per chiaccherare?

“Nessuno. A parte il secondino ero l’unico ospite. Potevo leggere, ma era difficile. Non riuscivo a concentrarmi. Ci ho passato quattro notti in quella galera, troppo poco per abituarmi alla cosa. Ma alla fine del credo non è stato piacevole: non sapevo quando e come sarei uscito, non ho ricevuto visite a parte l’avvocato d’ufficio. Nessuna telefonata. Ho avuto paura”.

Alla luce dell’esperienza può essere considerato un carcere disumano?

“No, non diciamo sciocchezze. E’ opprimente, alienante. Mi sembrava di essere nel medioevo. Ricordo i rumori delle porte quando venivano chiuse: facevano un rumore da brividi. Orrendo. Un botto che mi fa ancora venire la pelle d’oca se ci penso. Me lo ricordo ancora”.

Insomma, al di là delle chiacchere non è un bel posto…
“No, per niente, almeno allora. Oggi non saprei, magari hanno fatto delle modifiche…”.

E il vitto?

“Cibo. Senza infamia e senza lode, roba da mensa. E poi, non ero nelle condizioni mentali per gustarmi un pranzo o una cena. Ero in galera, non in vacanza. E per tutto il tempo mi ha accompagnato una sensazione come di una presa allo stomaco che a volte facevo fatica a deglutire”.

Questa la testimonianza di una quindicina d’anni addietro sulle carceri del Titano, una struttura vecchia e forse inadeguata agli standard odierni. Ma è pur sempre un carcere. Non un albergo.

Al momento ospita (da oltre tre mesi) Claudio Podeschi, tradotto nelle patrie galere il 23 giugno assieme alla signora Biljiana Baruca e Fiorenzo Stolfi, arrestato l’8 settembre assieme al suo presunto prestanome Moris Faetanini (oggi scarcerato e a piede libero). Con loro anche Mirco Mazzocchi, gendarme del Titano, accusato di avere favorito la comunicazione tra Podeschi e Baruca. Il regime carcerario, all’oggi è stato allentato: gli ospiti hanno diritto a due-tre ore d’aria al giorno separatamente; il bagno è in comune tranne che per Baruca che ne ha uno a disposizione e si trova in un piano separato dagli uomini; non possono comunque comunicare tra loro; hanno accesso ai quotidiani; hanno diritto a una visita alla settimana o in alternativa a una telefonata. Non sanno quando la detenzione finirà.

Un paio di cittadini sammarinesi, che passano spesso dalle parti dei Cappuccini, raccontano che ogni tanto si sentono urla e improperi gridati provenire dalle carceri. Sabato sera, in una ex cava di pietra del centro storico, si terrà un concerto musicale. L’eco della musica in lontananza giungerà fino alle celle. E farà sentire gli ospiti del bagno penale sammarinese, ancora più soli.

Marco Bollini