E’ ormai entrato nel vivo il processo sul “Caso Badanti”, nell’ipotesi accusatoria -supportata da numerose testimonianze e indizi (se non prove vere e proprie)- incentrato su un vero e proprio racket gestito Fatima Dzutseva e da Felicia Doru, quest’ultima “braccio destro” della prima.
Non è un caso, quindi, che le accuse più serie siano ascritte alla Dzutseva, imputata con l’accusa di “truffa aggravata ai danni dello Stato” e, in “concorso”, di “estorsione continuata e aggravata” o, in “subordine -si legge negli atti- di violenza privata”, ovvero di atti “persecutori aggravati continuati”.
Dunque, tralasciando i tecnicismi giuridici e cercando di capire i fatti veri e propri di cui sono accusate le sette imputate, possiamo concludere che il tutto sarebbe ruotato attorno a Fatima Dzutseva, identificata come la figura centrale di questo presunto sistema malavitoso. In pratica, questa, è accusata di aver utilizzato le sue conoscenze con funzionari dell’ISS e personale dell’ospedale, per bypassare le regolamentazioni e ottenere un vastissimo controllo, quasi monopolio, sui servizi di badanti fornite ai pazienti del nosocomio di Stato. Secondo l’accusa, che si è potuta basare, fra l’altro, sulle importanti testimonianze di Olga Zolotova e Natalia Mykuliak (due badanti), la Dzutseva reclutava le lavoratrici costringendole a lavorare per lei, trattenendo una parte del loro compenso e mantenendo la loro attività sotto stretto controllo, spesso senza che le famiglie dei pazienti ne fossero a conoscenza.
L’aspetto più inquietante dell’intera tesi accusatoria è rappresentato dalle presunte complicità interne che la russa e la rumena avrebbero trovato internamente all’Iss, nella figura della coordinatrice delle professioni infermieristiche presso l’Ospedale di Stato, Loretta Casadei, accusata di “interesse privato in atti d’ufficio” e, in “subordine, di abuso di autorità continuato”. Questa -è scritto negli atti di accusa- “in ragione del ruolo” ricoperto “abusando dei poteri inerenti le sue funzioni e, segnatamente, di quelli inerenti il controllo della regolarità dell’assistenza non sanitaria da parte del personale AINPS, allo scopo di procurare a Dzutseva un vantaggio ed alle altre assistenti non sanitarie che l’avversavano un danno, nel compiere gli atti del proprio ufficio, favoriva indebitamente gli interessi” della mente del racket “esprimendo parere negativo circa le operatrici” non reperite dalla russa.
Inoltre, la Casadei avrebbe impedito alla Caposala del reparto di Geriatria, di effettuare i controlli sulla presenza di personale irregolare, adducendo che questi “dovessero essere fatti dalla Gendarmeria o dall’Ufficio del Lavoro e non dalla caposala, nonostante il Regolamento ISS del 31 maggio 2017” che conferiva questa prerogativa di vigilanza proprio a caposala e coordinatore delle professioni infermieristiche.
Il processo è, come detto, nel pieno del suo svolgimento e nella sua ultima udienza è apparsa interessantissima la testimonianza di Alba Montanari, la quale, con Barbara Bartolini, presentò diversi esposti in cui si denunciava l’esistenza di un sistema di caporalato organizzato nel sistema di fornitura del servizio badanti nell’Ospedale di Stato, fornendo elementi che suggerivano un pesante controllo sullo stesso servizio, oltre a regalie al personale ospedaliero e una forte influenza su comparti strategici dell’Iss.
La Montanari, dal banco dei testimoni, incalzata dal giudice Francesco Santoni e dai legali delle parti, ha ricostruito un quadro inquietante relativamente ai fatti interni all’Ospedale di Stato, in particolare nel reparto di Geriatria, denunciando un fatto specifico quanto mai eloquente nel descrive il coinvolgimento di personale ospedaliero e Iss. Ha spiegato, infatti, che incredibilmente le assistenti non sanitarie vennero allontanate poco prima di una ispezione notturna che si credeva effettuata dalla Gendarmeria.
In pratica ha confermato un po’ tutta l’impalcatura accusatoria rimarcando che le badanti al servizio della Dzutseva erano spesso controllate e monitorate, nonché costrette a riversare alla stessa “mente” del racket una percentuale ingente dei loro guadagni. Confermato anche il sistema di potere costruito e capace di permettere alla stessa Dzutseva di mantenere il controllo costante su un po’ tutta la gestione delle badanti.
Così, con il consumarsi delle udienze, si definiscono contorni sempre più chiari relativamente al Racket delle badanti, che vedrebbe la russa Fatima Dzutseva come leader indiscussa del sistema criminoso. Questa, infatti, riusciva ad esercitare un controllo rigido e centralizzato, gestendo le badanti e trattenendo una percentuale dei loro compensi, grazie alla rete di conoscenze determinante per imporre il proprio dominio sul servizio di assistenza all’interno dell’Ospedale di Stato, riuscendo ad imporre la propria volontà attraverso minacce, ricatti e prevaricazioni finalizzate al mantenimento del controllo sul racket, ricevendo e gestendo pagamenti “in nero” dai parenti dei pazienti.
Felicia Doru, invece, appare come il “braccio destro” del “capo”. Questa, in cambio di maggiori ore lavorative che le venivano concesse, sembra aver contribuito alla gestione del racket, supportando la Dzutseva nell’intimidire le assistenti che non si allineavano. Sembra essere, quindi, una sorta di responsabile della gestione e del controllo delle altre badanti, prerogativa esercitata anche ricorrendo a minacce.
Accuse, queste, supportate, oltre che da testimonianze come quella quanto mai ampia della Montanari, da diversi riscontri documentali, inclusi verbali di indagine e registrazioni audio, e che assumono contorni sempre meglio definiti e definibili con il consumarsi delle udienze processuali in corso.
Enrico Lazzari