Il comitato promotore del referendum sulla depenalizzazione dell’aborto ha chiuso ieri la raccolta delle firme e le ha depositate, con ampio anticipo sulla scadenza di legge. Sono oltre 3000, ben oltre il quorum richiesto, più qualche centinaio apposte dai residenti, che non possono votare, ma che hanno voluto esprimere in questa maniera il loro sostegno morale.
Questo lascia presagire una vittoria dei promotori, anche se nel frattempo è nato il comitato contrario, che si annuncia più agguerrito che mai. L’uno si attesta sulla difesa della libertà, l’altro sulla difesa della vita.
Sembrano due concetti in contraddizione tra loro, ma si dimentica che in mezzo c’è la libertà di scelta della persona. Quindi, la domanda è: quanta libertà si può limitare in difesa della libertà?
È il dilemma delle società democratiche, divenuto di stringente attualità già all’indomani degli attentati del 2001 a New York. Si è recentemente riproposto in maniera dirompente in seguito agli eventi terroristici che periodicamente insanguinano alcune città europee, e nei giorni nostri nel contesto delle restrizioni per l’emergenza sanitaria.
In sostanza si tratta dell’incidenza delle ragioni della sicurezza sulla garanzia delle libertà fondamentali. Senza addentrarci troppo nel ragionamento, si può dire che la sicurezza rappresenta un valore tutelato in via ordinaria, vale a dire anche laddove non sia connesso a circostanze di emergenza in cui le situazioni di necessità si sono presentate in tutta la loro dirompenza.
Parlando di interruzione volontaria della gravidanza, c’è un ulteriore elemento da tenere in considerazione, quello dei paradossi della tolleranza. Infatti, l’esigenza di difendere le democrazie potrebbe talora condurre, in presenza di società aperte e sempre più multiculturali, quali sono gli ordinamenti democratici e pluralistici contemporanei, a situazioni problematiche o a dir poco paradossali, come nei casi in cui le discrasie possano scaturire dall’esercizio di quelle stesse libertà che di un’autentica democrazia costituiscono i pilastri, quali la libertà di religione o la libertà di manifestazione del pensiero,
La questione che agita le due fazioni contrapposte all’iniziativa referendaria, chiama in causa l’idea di tolleranza, almeno nel suo significato storico prevalente, relativo al problema della convivenza di credenze religiose o politiche diverse.
È il dilemma che apre il referendum sulle depenalizzazione aborto, per il quale chi è convinto della sua validità e giustezza, non lo praticherà mai nella stragrande maggioranza dei casi, ma intende lasciare la libertà di scelta alla donna che ne avesse considerata la necessità. È una posizione totalmente diversa rispetto a chi vuole la donna sempre vincolata ai diktat religiosi, gli stessi che per millenni l’hanno relegata ai margini della società, della cultura, dell’arte, della vita. Quando la donna, considerata addirittura senz’anima, era di esclusiva proprietà maschile: un padre, un marito, un fratello, un convento. Quando la donna poteva essere impunemente stuprata, malmenata, schiavizzata. Quando una moglie poteva essere ripudiata perché non aveva figli, oppure perché non partoriva figli maschi. E questo sotto il beneplacito della religione.
Chi ha firmato per la depenalizzazione dell’aborto vuole semplicemente affermare la libertà di scelta in uno stato civile, non teocratico.
“Libertà va cercando, ch’è sì cara, come sa chi per lei vita rifiuta”. Con queste parole Virgilio, nel I canto del Purgatorio di Dante, cerca di toccare la corda più sensibile del cuore di Catone l’Uticense, così da rendergli gradita la visita di un uomo in carne e ossa proveniente dall’abisso infernale.
“Libertà” è infatti un vocabolo antico quanto “politica”. Occorre notare, però, che i due termini non sono coestensivi, perché se è possibile una libertà dalla politica, non può esservi politica senza libertà. Ed è questo l’unico ragionamento che ogni cittadino oggi è chiamato a fare, uscendo definitivamente da logiche medievali, costrittive e inutilmente penalizzanti.
a/f