Un lavoro immane, durato quasi un anno, decine di migliaia di pagine fornite dal tribunale, BCSM, Segreteria Istituzionale, eccetera; oltre cento convocazioni della commissione; 375 pagine conclusive, più gli allegati, firmate da tutti i commissari. I quali, come già in precedenza, sono in composizione paritaria tra maggioranza e opposizione.
L’obiettivo politico è quello che dà la chiave di lettura di questo lavoro: trovare una verità condivisa sulla base dei fatti. La materia è complessa, si può dire tranquillamente scivolosa, perché le complicità politiche e relative responsabilità investono un po’ tutti i partiti ogni volta che si sono trovati in posizione di governo. Esattamente come si vide anche nella Relazione sulle vicende legate a banca CIS.
Ma questa volta, la Commissione Consiliare si è trovata ad analizzare gli ultimi 30 di storia sammarinese, più precisamente la sua storia finanziaria e politica. Il criterio usato è stato quello di indagare le crisi bancarie e finanziarie sia riguardo alla possibile individuazione delle responsabilità politiche, amministrative, gestionali; sia riguardo ai danni provocati da queste crisi. Che a detta del presidente della commissione Gerardo Giovagnoli, ammontano a 1 miliardo e mezzo di perdite che hanno gravato sulle casse pubbliche.
La relazione non tocca le vicende recenti di Carisp, perché non è una delle banche andate in crisi, anche se nella relazione se ne parla comunque tantissimo perché le peripezie avvenute negli anni passati si sono riverberate sullo Stato e sull’economia. E non riprende banca CIS perché ad essa è stato dedicato l’intero lavoro della prima parte della Commissione di inchiesta.
Gli omissis, anche in questo caso ce ne sono molti, sono in parte giustificati dalla necessità di tenere riservato il nome di testimoni che compaiono solo in via marginale; in parte per tenere riservati alcuni dati sensibili tutelati dalla legge.
Da vicende famosissime come l’affaire Tavolucci e il cosiddetto conto Mazzini, la Commissione si è tenuta fuori perché ci sono processi in corso con i quali non ha ritenuto corretto interferire.
Per capire lo tsunami che ha colpito il sistema bancario e finanziario, che ha portato alla chiusura di 8 banche e 59 finanziarie, era necessario analizzare la genesi della piazza finanziaria, grande sogno sammarinese tra la fine del Novecento e i primi anni 2000. Un sogno che si infranse per l’estrema fragilità del sistema, per la sua incapacità di interoperare con l’apparato internazionale, per l’incompetenza professionale di gran parte dei suoi attori (chiunque all’epoca poteva aprire una banca, bastava che avesse molti soldi e un protettore in Congresso di Stato); per le crescenti pressioni dell’Italia, per la ritrosia di San Marino a riformare e adeguare un sistema basato sui tre famosi capisaldi: segreto bancario, anonimato societario, differenziale fiscale.
L’esempio clou di questo atteggiamento fu la mancata firma dell’accordo di cooperazione con l’Italia, già parafato dai rispettivi ministeri degli esteri. È la famosa visita di Gianfranco Fini bloccata sulla scaletta dell’aereo perché San Marino non voleva più firmare l’accordo (novembre 2005, governo DC, PSS, PSD).
La scelta politica “più scellerata” degli ultimi vent’anni, la descrive la Relazione. Non fu l’unica, perché San Marino non volle mai riconoscere la fragilità di un sistema finanziario cresciuto in maniera caotica e disordinata, condizionato da scelte politiche orientate ad assecondare i proprietari delle banche piuttosto che gli interessi dello Stato.
Il velleitarismo è l’anticamera della catastrofe, ha ricordato il presidente Giovagnoli. E così è stato.
La piazza finanziaria, in sé per sé, non sarebbe stata una cattiva idea, se fosse stata realizzata su basi professionali di alto livello, con una normativa trasparente, riconosciuta anche dall’estero, e se avesse potuto contare su una classe politica più responsabile e più lungimirante. È un lungo rosario doloroso che si sgrana tra i banchi consiliari, attraverso la lettura delle pagine della relazione, una frana che è diventata una valanga, le cui conseguenze le stiamo ancora sperimentando, anche se oggi il sistema sta cambiando profondamente e il presidente Giovagnoli ha anticipato che la relazione ne darà atto.
Torneremo sugli altri capitoli della relazioni nei prossimi giorni, perché per capire quello che succede oggi è necessario avere consapevolezza di quanto accaduto nel passato recente. Se una pianta ha la radici malate, è molto difficile che dia fiori e frutti. Oggi, con la ricostruzione puntuale di quanto avvenuto soprattutto negli ultimi vent’anni, si capisce molto bene dove sono stati gli errori e chi li ha compiuti.
Era una fatica necessaria? Siamo convinti che fosse doverosa, oltre che necessaria, e che l’attuale governo abbia fatto molto bene a fare chiarezza, investendo uno sforzo notevole in questo obiettivo. Dovrà essere altrettanto determinato sia a portare avanti il cambiamento appena iniziato, sia ad evitare che si possano affacciare nuovi furbetti e faccendieri senza scrupoli. Allo stato attuale sarà molto difficile perseguire le responsabilità perché eventuali reati, a prima vista, sembrano ampiamente prescritti. Ma ciascuno di noi potrà formarsi un’opinione molto più motivata di certa politica.
a/f