San Marino. Riforma delle pensioni: i punti fermi da cui parte e gli obiettivi che vuole perseguire … di Alberto Forcellini

Un’intera settimana di confronto previsto in commissione IV sulla riforma delle pensioni, a seguito di decine e decine di incontri tra Segreteria Sanità, parti sociali e parti politiche, da un anno e mezzo circa. Sarà in questa sede il passaggio cruciale, prima del voto definitivo in seconda lettura, presumibilmente nel Consiglio di novembre.

Le attese sono tantissime, e anche le paure. Ma dal dibattito già avvenuto in prima lettura, è emerso qualche importante concetto che il testo di legge contempla.

L’attuale proposta di riforma non risolve definitivamente il problema del gap tra contributi versati e pensioni erogate. Il suo obiettivo è equilibrare un disavanzo che cresce ogni anno e che già, con le cifre attuali, il bilancio dello Stato non può ripianare. Lo sbilancio tocca infatti quota 75 milioni (130 milioni di entrate, 205 di uscite). Senza toccare nulla, è destinato ulteriormente a crescere, tenendo conto di una complessa serie di fattori, tra i quali anche l’inflazione. L’intento è dunque fermare questa continua crescita.

Le pensioni attualmente erogate non verranno ridotte in base al principio costituzionale per cui nessuna legge può andare a modificare un diritto acquisito.

La modifica di quota è la più consistente: da 100 a 103. Sarà graduale e spalmata in sei anni, con età minima 60 anni e 43 di contributi. Dal momento in cui la legge andrà in vigore, presumibilmente nel 2023, il passaggio di quota avverrà dunque ogni sei mesi. Ci sarà anche un aumento contributivo calcolato in 0,5% all’anno.

La rendita da pensione. L’errore più frequente in cui si incorre è credere che la pensione sia il risultato di quanto si è versato durante la carriera lavorativa e che l’ammontare della pensione sia influenzato dall’aspettativa di vita (che sul Titano è piuttosto alta). Niente di tutto questo è vero, in quanto l’unico elemento di cui si tiene conto attualmente, è la retribuzione media. La riforma propone il calcolo su 30 anni di lavoro. Nel 1983 si calcolavano gli ultimi 5 anni, nel 2005 gli ultimi 10, nel 2011 gli ultimi 20. Il secondo pilastro, invece, basato sul sistema retributivo, calcola la cifra della pensione su quanto effettivamente versato, rivalutato sulla base degli interessi maturati dal Fondo. Il risultato ottenuto dai versamenti su FONDISS, andrà ad aggiungersi su quanto percepito con il primo pilastro.

Inoltre, la legge adegua a 66 anni l’età di pensionamento per vecchiaia, introduce disincentivi per chi volesse anticipare il pensionamento e incentivi per chi decidesse di rimanere al lavoro.

Viene regolamentata anche la possibilità di lavorare anche per i pensionati, non solo per i medici come è successo negli ultimi due anni per necessità dovute alla pandemia.

Ovviamente la materia è molto più complessa rispetto a questi sintetici concetti, perché ogni categoria di lavoratori ha problemi e specificità che la riforma deve considerare. C’è poi il fenomeno dei baby boomer, ovvero l’esplosione del numero dei pensionati a seguito del boom di nascite negli anni 50/60/70. Poi le nascite sono andate in decremento, ma con esse anche il numero dei lavoratori e quindi dei versamenti contributivi. Oggi si sta verificando il fenomeno di un lavoratore per ogni pensionato: erano 4 a 1.

Ma il problema dei problemi è la gestione dei fondi pensione. Sulla carta esiste un tesoretto di circa 400 milioni di euro. Effettivamente sono circa 280 milioni. Per scelte molto cautelative fatte negli anni passati, la loro rendita è bassissima, incapace di recuperare seppure in minima parte l’inflazione. In Italia, al contrario, i fondi pensione rendono almeno il 3 – 4%. Una tale rendita avrebbe evitato a San Marino gran parte dei problemi attuali. Sarebbe quindi molto importante trovare collocazioni sempre garantiste, ma più redditizie.

Riguardo al contributo dello Stato, che è chiamato per legge a ripianare il gap tra contributi versati e pensioni erogate, ovviamente non si può cancellare e verrà mantenuto anche con la riforma in fieri. È stata proposta una riformulazione, sulla quale il sindacato ha innescato una grossa battaglia, ma l’obiettivo di trovare l’equilibrio di bilancio entro il 2050, comincia ad essere abbastanza condiviso.

Al contrario, rimarrebbe solo un drastico passaggio dal sistema solidaristico (attualmente in vigore) al sistema contributivo, come vige in molti paesi europei e come ha adottato l’Italia, con un deciso abbassamento delle pensioni.

a/f