Non più rinviabile riformare e investire, iniziando dal lavoro delle persone, dalle capacità e dalla crescita professionale di ognuno. È uno dei punti principali delle 55 pagine della relazione consegnata da Francesco Bevere in Commissione Sanità. Più volte ha ribadito in questa occasione la necessità di coinvolgere nel progetto di rilancio del sistema sanitario, operatori e parlamento. “La relazione – ha sottolineato – è uno spunto, uno strumento per contribuire a un dibattito che però si avvicini sempre di più alla realtà dei fatti”. Ha invitato quindi ad attenersi a “cose vere, documentabili, scientificamente dimostrabili, perché se vogliamo andare avanti per il sentito dire, io non sono la persona adatta”.
Ha spiegato dunque che per curare non è sempre necessario ricoverare e quando accade è spesso possibile ridurre i tempi di degenza se ci sono cure e sostegno al di fuori dell’ospedale. Viceversa, molti ricoveri si potrebbero evitare se si investe nella prevenzione, nell’arrivare prima della malattia. Questo ormai è possibile per moltissime patologie: dal cancro al diabete, dall’osteoporosi alle malattie cardiovascolari, eccetera. Ovviamente il risultato migliore è possibile con una bella interazione tra ospedale e servizi territoriali, nella capacità diagnostica ambulatoriale e nella capacità dei medici di intercettare la domanda di salute della popolazione.
“Nessuna combinazione può essere possibile – ha affermato Bevere – se ognuno rimane a guardare il suo spazio: da una parte gli ospedalieri, dall’altra i territoriali, senza comprendere come e perché si formi la domanda di assistenza, come e perché non si eviti che essa arrivi all’ospedale, o addirittura in altri ospedali nelle località limitrofe, con grave dispendio di risorse e pesanti disagi per i cittadini.”
Poi ha spiegato il suo pensiero su organigrammi e dotazioni organiche. Il vizio di fondo, in Repubblica, è che il fabbisogno non può essere la sommatoria di quel che serve per riempire le strutture, quanto piuttosto un calcolo dei fabbisogni interdipendenti, cioè quelli che derivano dal progetto di integrazione tra l’ospedale e il territorio.
“Le diseconomie della gestione ospedaliera – ha continuato Bevere – sono soltanto in parte conseguenza dell’attuale tessuto organizzativo. In parte preponderante sono invece di carattere strutturale, in ragione della dimensione demografica di San Marino.”
Come risolvere il problema? Bevere propone da una parte il recupero dell’efficienza operativa; dall’altra, di allargare la gamma delle prestazioni offerte, così sarà possibile rendere effettiva la reciprocità con strutture esterne. In questa maniera verrebbe garantita la crescita, anche in termini di capitale intellettuale, che altrimenti sarebbe impossibile per una struttura ospedaliera così piccola. In questo senso va anche l’indicazione di aumentare le sinergie e le relazioni esterne con altri ospedali e strutture universitarie.
Il nuovo ospedale diventa essenziale, non solo per superare le attuali carenze strutturali e gli sprechi dovuti alle manutenzioni, ma anche per mettere la sanità sammarinese in condizione di interagire validamente con i sistemi sanitari esterni.
Pertanto, anche nel breve termine, la strada su cui dovrà muoversi la gestione dell’ospedale dovrà essere verso l’innovazione delle sue funzioni, finora esercitate solo sui canoni classici della separazione tra assistenza ospedaliera ed extra ospedaliera. Del resto, la pandemia ha dimostrato che il confine tra questi mondi si è molto assottigliato e che, proprio la ridotta dimensione territoriale, ne favorisce l’integrazione.
La stessa organizzazione ospedaliera non dovrà essere più verticale, cioè per discipline, ma orizzontale, cioè per intensità di cura. Il portare a temine questo orientamento, già di per sé potrebbe evitare la duplicazione delle prestazioni, il disorientamento e i disagi logistici per pazienti e famiglie.
Ovviamente, il testo presentato da Bevere in Commissione Sanità è molto più corposo e completo, ma sempre nel taglio di uno sviluppo qualitativo che non solo è possibile, ma assolutamente doveroso, viste le carenze accumulate nell’ultimo ventennio.
Abbiamo l’uomo giusto e il progetto giusto? Difficile dirlo ora. I giudizi si danno a posteriori. Certo è che ridurre un tale progetto “a rischio di privatizzazione strisciante” fa cadere le braccia. I casi sono due: o l’opposizione non ha trovato nulla da dire se non i soliti luoghi comuni da bar; oppure siamo noi che non siamo stati capaci di capire quanto è scritto.
Quello che si legge invece è una disamina puntuale delle criticità. Che tra l’altro sembrano essersi accumulate ulteriormente negli ultimi due o tre mesi con l’esplosione della quarta fase pandemica, mettendo in affanno gli staff che già avevano affrontato quelle precedenti, ma senza la capacità organizzativa di far intervenire a supporto gli altri comparti. La speranza è che Bevere si installi alla svelta al quinto piano dell’ospedale e che prenda in mano la situazione, che non ascolti il becero chiacchiericcio politico a cui tutto interessa tranne che far funzionare la sanità, che sappia individuare il meglio che c’è (perché c’è, anche se lavora in silenzio) e gli dia gli strumenti necessari perché possa esprimere le sue potenzialità.
a/f