Molte osservazioni abbiamo ricevuto sulle argomentazioni sostenute nell’articolo di venerdì scorso.
Considero ogni stimolo al dibattito estremamente utile e direi vitale in un momento così buio per il Paese che non riesce a trovare una idea di sé nel mondo di oggi e di conseguenza non riesce a costruire un progetto sociale, culturale ed economico che realizzi questa nuova identità.
La Repubblica di San Marino si può considerare una specie di incidente della storia in una Italia che ha ritrovato una sua precaria unità solo nel 1860 dopo 1500 anni dalla caduta dell’impero romano d’occidente, 1500 anni fatti di dominazioni straniere, stati e staterelli che si combattevano fra loro.
San Marino è sopravvissuto a tutto e a tutti perché irrilevante, di nessun interesse vuoi economico vuoi strategico e perché gli abitanti hanno praticato con furbizia e lungimiranza il motto : “noti a noi ed ignoti al mondo“ pochi abitanti, raccolti in una zona impervia, senza strade, e dediti ad una economia povera ma non priva di furbizie che hanno consentito la sopravvivenza. Allora non c’era la monofase ma magari il contrabbando del sale, la produzione illegale di polvere da sparo o di alcool ecc…
Del resto un territorio con scarse risorse si deve per forza ingegnare in qualche modo per trovare le risorse che gli consentano di vivere. Nei tempi recenti alcuni importanti cambiamenti a livello italiano, europeo e mondiale hanno aperto una finestra economica particolarmente importante e redditizia.
Il flusso di denaro che ne è derivato ha impattato su una società arretrata e con una classe dirigente impreparata e sempre più avida e venale ed incapace di finalizzare ad un progetto solido di sviluppo questa manna piovuta dal cielo ma non eterna.
Pochissime sono state le singole persone o movimenti politici che hanno tentato una analisi ed una proposta fuori dal coro.
Tutti, ed intendo proprio tutti, hanno avuto fette più o meno consistenti di benessere artificiale e si sono sempre più allontanati da una visione di interesse generale, concentrandosi su vantaggi e prebende personali, di famiglia o di clan chiudendo occhi orecchi e bocca di fronte all’evidenza e turandosi pesantemente il naso per non sentire la puzza di fradicio che si stava espandendo in ogni ambito di un Paese dominato solo dagli egoismi.
Dico questo non per affermare tutti colpevoli – nessun colpevole (ovviamente le responsabilità non sono equamente distribuite ) ma per affermare che sono prive di legittimità le presunte innocenze e la vocazione moralistica di alcune forze politiche che hanno preteso di dividere il Paese fra buoni e cattivi.
La minoranza-maggioranza che da due anni ci “sgoverna” è scaturita proprio da questa pretesa moralistica (si potrebbe dire in alcuni casi da che pulpito) che ha diviso il Paese creando sensi di colpa, rassegnazione e rabbia facili da suscitare ma difficili da governare e da incanalare verso cambiamenti utili alla intera collettività.
Lo si è ben visto in questi due anni non solo per la evidente incompetenza ma soprattutto per i continui toni arroganti e la chiusura a riccio a qualsiasi valutazione o proposta che provenga da altrove della finta maggioranza consigliare.
Il fallimento di questo Governo ha, a mio avviso, fra le tante cause possibili, quella di non aver cercato di unire il paese con una analisi serena del passato, rifuggendo dalla ricerca di capri espiratori e chiamando tutti, non fosse altro perché rappresentava una minoranza di elettori, a contribuire ad un progetto di rinascita di San Marino a partire dalla ridefinizione del suo nuovo ruolo in un mondo globalizzato, dibattito che investe i valori uni canti e le prospettive e che per definizione deve necessariamente coinvolgere tutta la società. Questo fallimento non è privo di conseguenze perché consegna il Paese ad un bivio drammatico: la bancarotta con la dissoluzione della sovranità e la confluenza in uno Stato Italiano (messo peggio di noi) come uno dei tanti comunali montani, oppure la confluenza come microstato, da solo o insieme ad altri microstati europei, in un Europa dove rappresentare la capacità di apertura, la cultura dell’integrazione, la cultura della libertà e della dignità umana per ridare consistenza slancio ed attualità. a quel motto impresso sui confini: BENVENUTI NELLA TERRA DELLA LIBERTA’ e sulla nostra Pieve: RELINQUO VOS LIBEROS AB UTROQUE HOMINE – VI LASCIO LIBERI DAL PAPA E DALL’IMPERATORE.
Allora si potrebbe ricominciare a sperare.
Dario Manzaroli