
Mette a rischio l’incolumità dei pazienti, almeno di quelli più fragili, la visita di parenti ed amici durante la loro degenza in ospedale? Un giorno sì. Il giorno dopo, come auspicato dal Segretario di Stato alla Sanità, o, meglio, dalla Segreteria di Stato alla Sanità per essere estremamente precisi, no!
E’ scomparso, in appena 24 ore, il rischio Covid in Repubblica? O, invece, non c’era mai stato nonostante in questo mese di luglio le statistiche evidenzino la morte di due sammarinesi positivi al Covid, uno l’11 e l’altro il 18 luglio?
O, forse, e ciò sarebbe gravissimo, per certi versi scellerato, la Segreteria di Stato sarebbe intervenuta ignorando canoni sanitari, medici, ma inseguendo il consenso visto il forte malcontento che il provvedimento di stop alle visite aveva suscitato in una larga fetta di sammarinesi?
Domande… Dubbi, nulla più. Ma che vista la delicatezza della tematica, ovvero la tutela di individui già alle prese con una patologia più o meno grave ricoverati nel nosocomio di Stato, appare doveroso chiarire.
Una cosa, comunque, appare certa dopo la dichiarazione pubblicata sulla pagina Facebook ufficiale della Segreteria di Stato alla Sanità alle 19:31 di ieri: per far revocare il provvedimento emesso dal Direttore del Dipartimento Ospedaliero è intervenuta, direttamente, la Segreteria di Stato guidata dal Ministro Roberto Ciavatta.
Infatti, se su altri aspetti la riservatezza che è stata posta sull’intera vicenda impone il condizionale o accende dubbi e domande, per certi versi anche inquietanti, il ruolo della Segreteria di Stato non è in dubbio. L’ammissione di ciò è ufficiale, affidata alla pagina Facebook istituzionale: “…Era stata nostra cura -vi si legge testualmente- contattare immediatamente il Direttore Generale (…) per richiedere una revisione di tale circolare dispositiva”. La circolare dispositiva, cioè, che vietava visite non indispensabili ai degenti ricoverati in Ospedale.
Proviamo, quindi, a ricostruire i fatti e le relative tempistiche.
Lo scorso 18 luglio il Direttore del Dipartimento Ospedaliero, la Dottoressa Ivonne Zoffoli, emana una disposizione che introduce una forte limitazione alle visite non indispensabili ai degenti ricoverati, con effetto dal giorno successivo e fino al 31 luglio. “Una decisione -spiegava quel giorno la Tv di Stato- presa in ragione dell’andamento epidemiologico che sta facendo registrare un aumento dei casi di positività nella popolazione, rendendo necessaria l’adozione di misure a tutela dei pazienti più fragili e del personale ospedaliero”.
Il provvedimento genera forti critiche in una non trascurabile fetta di popolazione. E la critica varca anche il confine della politica, ricevendo non pochi consensi. Andrea Zafferani (Repubblica Futura) scrive, sempre su Facebook: “Non esiste più mezza precauzione, il Covid è libero di circolare senza alcun problema… Però da domani ai pazienti in ospedale non sarà più concesso vedere i propri cari”. E ancora: “…A me sembra ancora una volta solo un modo per lasciare completamente sole nel proprio disagio le persone in un momento di difficoltà, quello del ricovero”. Standing ovation social manifestata, fin da subito, a suon di “Like”.
La critica politica e di parte dei cittadini, però, non sortisce sul momento alcun effetto sull’applicazione della disposizione varata, si ricordi, “a tutela dei pazienti più fragili”. Non sortisce effetti fino a ieri quando -si deduce dall’ammissione ufficiale della Segreteria di Stato alla Sanità- la stessa Segreteria ha contattato il Direttore Generale, Francesco Bevere, per intercedere col fine di ottenere una revisione del provvedimento di stop all’accesso dei visitatori in Ospedale.
Il DG Bevere -si deduce dal “post” ufficiale- si sarebbe quindi attivato interloquendo su richiesta della Segreteria di Stato con “chi aveva emesso tale modifica procedurale”, portando “ad un dietro-front”, ovvero alla revoca del provvedimento di stop alle visite ai degenti che hanno portato la Segreteria guidata da Ciavatta ad esprimere “apprezzamento per la modifica dei protocolli di accesso all’Ospedale di Stato che tornano a consentire le visite ai pazienti da parte dei familiari”, non prima di aver spiegato che “la circolare precedentemente pubblicata, che imponeva il divieto delle visite, non era stata in alcun modo condivisa con la Segreteria di Stato per la Sanità, che si era da subito dichiarata contraria ad un tale provvedimento”.
Dunque, riassumendo, potremmo concludere che la Segreteria di Stato è intervenuta direttamente per modificare una disposizione di carattere medico-preventivo. Una disposizione -diciamo- “scientifica” e per nulla politica, motivata da esigenze altrettanto “medico-scientifiche” e con nulla di politico, ovvero la “tutela dei pazienti più fragili”, e disposta dalla Dott.ssa Zoffoli.
Certo, una disposizione poi revocata dalla stessa Dott.ssa Zoffoli, ma -si deduce- su “desiderio” della Segreteria di Stato (che ha addotto supporto una deliberazione del Gruppo Emergenze) la quale si è avvalsa dell’interlocuzione del DG Bevere presso “chi aveva emesso tale modifica procedurale”.
Ora, se è vero che ridurre gli accessi ai reparti ospedalieri non possa annullare totalmente il rischio di un focolaio interno all’Ospedale di Stato, è altrettanto vero che ridurre gli stessi accessi avrebbe proporzionalmente ridotto il rischio che ciò potesse accadere.
Di chi sarà, quindi -qualora malauguratamente dovesse “accendersi” un focolaio fra i ricoverati- la pesante responsabilità?
Forse della Direttrice del Dipartimento Ospedaliero “colpevole” di aver revocato un provvedimento che fino al giorno prima riteneva necessario? Visti i fatti e le “interlocuzioni” avute con il suo superiore, il Dg Bevere, e suscitate nientemeno che dalla Segreteria di Stato guidata dal ministro Ciavatta, direi di no… La sua eventuale “colpa” potrebbe essere, al limite, quella di un eccessivo “timore reverenziale”.
La responsabilità, la “colpa” maggiore sarebbe senza dubbio -moralmente, se non legalmente- della Segreteria alla Sanità e, quindi, del suo vertice politico. Una responsabilità che avrebbe una pesante “aggravante” qualora a suscitare l’intervento “politico” non ci fosse il supremo interesse pubblico, nel caso specifico il benessere dei degenti, ma una ben più mera ricerca di consenso e di relativo vantaggio politico. Ben inteso, nulla oggi lascia intendere che così sia, ma, come era solito sostenere un mostro sacro della politica quale Giulio Andreotti, “a pensar male degli altri si fa peccato, ma talvolta si indovina”. Speriamo, stavolta, di fare solo peccato, senza indovinare…
E, infine, quanto potrebbe costare alle casse dell’Iss una causa intentata dagli “eredi” di un paziente che dovesse morire dopo esser stato contagiato in corsia? Come potrebbe difendersi l’Iss in un Tribunale quando un dirigente aveva disposto misure ritenendole -evidentemente- necessarie per tutelare i pazienti più fragili e una Segreteria di Stato si è adoperata per revocarle?
Enrico Lazzari