In questo tempo drammatico credo necessario riprendere i caposaldi di una posizione ragionevole rispetto alla vita dell’uomo, attingendo alla ragione e al patrimonio della concezione cristiana della vita, quella weltanschauung che ci rende fieri di una storia indimenticabile.
Se, vincendo ogni pregiudizio come pure ogni superficiale abitudine, riprendiamo in mano il capolavoro di Giovanni Paolo II Evangelium vitae, ci accorgiamo della bellezza di un documento che ci rende fieri di appartenere a quella storia che, affondando le radici nel pensiero greco, attraverso le pagine indimenticabili dell’Antico Testamento, ci raggiunge con la consapevolezza che «il Vangelo dell’amore di Dio per l’uomo, il Vangelo della dignità della persona e il Vangelo della vita sono un unico e indivisibile Vangelo».
Da una parte è necessario rivolgersi ad ogni uomo che ami la ragione (e penso all’invito di s. Agostino «Intellectum valde ama – ama con tutto te stesso la ragione che ti fa penetrare nella realtà»). Ascoltiamo quanto leggiamo nella Enciclica: «Pur tra difficoltà e incertezze, ogni uomo sinceramente aperto alla verità e al bene, con la luce della ragione e non senza il segreto influsso della grazia, può arrivare a riconoscere nella legge naturale scritta nel cuore il valore sacro della vita umana dal primo inizio fino al suo termine, e ad affermare il diritto di ogni essere umano a vedere sommamente rispettato questo suo bene primario. Sul riconoscimento di tale diritto si fonda l’umana convivenza e la stessa comunità politica.»
Dall’altra parte – come credenti – non possiamo dimenticare queste parole gravi e profonde: «Il Vangelo della vita sta al cuore del messaggio di Gesù. Accolto dalla Chiesa ogni giorno con amore, esso va annunciato con coraggiosa fedeltà come buona novella agli uomini di ogni epoca e cultura.
All’aurora della salvezza, è la nascita di un bambino che viene proclamata come lieta notizia: “Vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore”. A sprigionare questa “grande gioia” è certamente la nascita del Salvatore; ma nel Natale è svelato anche il senso pieno di ogni nascita umana, e la gioia messianica appare così fondamento e compimento della gioia per ogni bimbo che nasce.
Presentando il nucleo centrale della sua missione redentrice, Gesù dice: “Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza”. In verità, Egli si riferisce a quella vita “nuova” ed “eterna”, che consiste nella comunione con il Padre, a cui ogni uomo è gratuitamente chiamato nel Figlio per opera dello Spirito Santificatore. Ma proprio in tale “vita” acquistano pieno significato tutti gli aspetti e i momenti della vita dell’uomo.»
Noi non ci possiamo fermare di fronte a una cultura e mentalità che vorrebbe farci complici della morte di tante vite innocenti, che la pratica dell’aborto (chiamata spesso e ipocritamente interruzione volontaria della gravidanza) ci vuole presentare come diritto di civiltà. Sì, purtroppo, in questo caso è civiltà della morte.
Ancora così dice Giovanni Paolo II: «con le nuove prospettive aperte dal progresso scientifico e tecnologico nascono nuove forme di attentati alla dignità dell’essere umano, mentre si delinea e consolida una nuova situazione culturale, che dà ai delitti contro la vita un aspetto inedito e – se possibile – ancora più iniquo suscitando ulteriori gravi preoccupazioni: larghi strati dell’opinione pubblica giustificano alcuni delitti contro la vita in nome dei diritti della libertà individuale e, su tale presupposto, ne pretendono non solo l’impunità, ma persino l’autorizzazione da parte dello Stato, al fine di praticarli in assoluta libertà ed anzi con l’intervento gratuito delle strutture sanitarie.»
In questo contesto siamo chiamati, come uomini di ragione e soprattutto come cristiani, a lottare perché non trionfi una mentalità, che vuole diventare consuetudine politica, che contribuisce alla disfatta dell’umano. Siamo ancora in tempo, ma è certo che nessuno combatterà la battaglia per la difesa della vita per conto nostro. Nessuna delega e nessuna rassegnazione. Ogni minaccia alla dignità e alla vita dell’uomo non può non ripercuotersi nel cuore stesso della Chiesa e della convivenza civile.
E non posso non ricordare quell’episodio dell’Antico Testamento, quando gli esploratori mandati da Mosè nella terra promessa tornarono con i frutti meravigliosi e abbondanti di quei luoghi, ma con la paura nel cuore perché gli abitanti di quelle terre sembravano giganti invincibili ai loro occhi. Solo Caleb e Giosuè seppero ricordare al popolo che il Signore li avrebbe portati alla vittoria. Ma fu inutile. La paura e il senso di impotenza ebbero il sopravvento. Il popolo pavido morì nel deserto, mentre solo Giosuè e Caleb entrarono nella terra promessa.
Entreremo anche noi nella «Terra della libertà» rinnovata se non ci rassegneremo e sapremo difendere la vita, quella più indifesa, accettando la sfida della verità e il coraggio della testimonianza.
Don Gabriele Mangiarotti