San Marino. Robot chirurgici “al macero”: Piemonte saggio e parsimonioso, San Marino sciocco e spendaccione… di Enrico Lazzari

Il Piemonte archivia i robot chirurgici per costi folli e benefici minimi, mentre San Marino sembra insistere. Potrei chiudere qui, perchè la notizia sta tutta rinchiusa in queste due righe… Ma non posso, specie oggi che tutti coloro che collaborano alla realizzazione di queste pagine elettroniche biancazzurre possono finalmente dire: “Te l’avevo detto!”… E millemila volte!

Così, oggi immaginiamo il Piemonte come un capitano saggio che, dopo aver navigato mari tempestosi di bilanci da “black-hole”, decide di gettare l’ancora dell’Enterprise sui sogni futuristici della chirurgia robotica e magari riderci su, pensando a chi, come San Marino, come l’ISS dell’allora Dg Francesco Bevere, si è tuffato in quell’oceano con un salvagente bucato. 

Ieri, l’annuncio della sanità regionale piemontese, mi ha fatto sobbalzare sula sedia: stop ai bracci meccanici, quei mostri da due o tre milioni di euro l’uno che promettevano miracoli, ma hanno consegnato solo bollette salate e vantaggi marginali, come un fuoco d’artificio bagnato. Una scelta, quella piemontese, che sa di realismo tagliente, in un’epoca dove le liste d’attesa si allungano come code al casello di Rimini nel week-end di Ferragosto e i bilanci pubblici cigolano sotto il peso di emergenze vere, oltre che di giocattoli high-tech. E mentre lassù, tra le Alpi, si opta per privilegiare i medici in carne e ossa – quelli che non richiedono aggiornamenti software per operare – qua sul Titano riecheggia un’eco beffarda: l’ISS, quel robot, lo ha comprato a peso d’oro, quasi come se i soldi crescessero sugli alberi della rupe.

Andiamo con ordine, perché questa storia italiana non è un fulmine a ciel sereno, ma il culmine di un dibattito che da anni divide il mondo medico. La Regione Piemonte, dopo anni di sperimentazioni e investimenti multimilionari, ha tirato le somme: i benefici non giustificano i costi, punto e basta. Problemi tecnici ricorrenti che fanno impazzire i tecnici, vantaggi per i pazienti poco significativi rispetto alla chirurgia tradizionale – quella che funziona senza bisogno di un manuale da 500 pagine –, necessità di personale ultra-specializzato e risorse economiche ingenti, come se non bastassero già le spese correnti per dissanguare la cassaforte. 

Un sistema robotico supera i due milioni di euro, con manutenzione, aggiornamenti software e materiali di consumo che aggiungono zeri su zeri, trasformando un’operazione chirurgica robotizzata in un banchetto per fornitori. 

Secondo le conclusioni della sanità torinese, in urologia e ginecologia, ambiti dove la robotica dovrebbe brillare come una stella hollywoodiana, i dati clinici mostrano differenze minime negli outcomes, insufficienti a compensare l’esborso… Insomma, una enorme colonna di fumo per un arrosto anemico. E in un contesto di sanità pubblica sotto pressione, con liste d’attesa che sfiorano l’assurdo e tagli ai servizi di base, l’innovazione fine a se stessa diventa un lusso che non ci si può permettere, a meno di non voler giocare alla roulette russa con i fondi pubblici. 

Ma ecco il paradosso, quello che fa scoppiare a ridere, o piangere: mentre il Piemonte spegne i bracci chirurgici robotizzati e torna alle radici, con un ghigno di chi ha evitato un bidone, San Marino ha scelto la via opposta, come un bambino che vuole il giocattolo più caro del negozio. 

Ricordate? Era la fine del 2022, sotto la guida dell’ex Direttore Generale Francesco Bevere e del Segretario di Stato Roberto Ciavatta (Rete), quando l’Istituto per la Sicurezza Sociale decise di sborsare oltre tre milioni di euro per un Da Vinci XI, non per un capriccio, ma per “innovazione”, dicevano. Non un comodato d’uso gratuito, come fanno tante ASL italiane – Pisa, Biella, Milano, per citarne alcune (fonte: Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana; ASL Biella, comunicato 4 ottobre 2023) – ma un acquisto in piena regola, con tanto di bando pubblico che, a detta dei vertici, era l’offerta più vantaggiosa. 

Vantaggiosa per chi? Per i venditori, forse. Peccato che, nei corridoi dell’Ospedale di Stato, si mormori di costi di consumo schizzati alle stelle: circa 10.000 euro – o 12, non ricordo ora di preciso – per intervento, per un totale di non meno di 160.000 euro nei primi due mesi di operatività, tra dicembre 2022 e febbraio 2023. E per cosa? Per 16 interventi, di cui 10 banali come ernie inguinali o colecistectomie, operazioni che un chirurgo esperto risolve con bisturi tradizionale in metà tempo e a un decimo del costo. 

Ah, l’ironia della sorte, quella che ti fa sbellicare dalle risate amare: mentre in Piemonte si ammette che la robotica non è la panacea, ma solo un costoso placebo, sul Titano la si usava – non se la si usa ancora – per interventi da routine, gonfiando i costi fino a dieci volte, come se i pazienti avessero bisogno di un’operazione con effetti speciali. 

Sì, ma i benefici – ci dicevano Bevere, Ciavatta e compagnia – sono tanti soprattutto per i pazienti: maggiore precisione, minor perdita di sangue, recupero più veloce… Certo, ma a che prezzo? Sessioni operatorie più lunghe che fanno sbadigliare l’anestesista, rischi anestetici accresciuti e un macchinario che, nei tre anni pre-acquisto, era servito solo a cinque sammarinesi inviati all’estero. Cinque, non cinquecento, un numero che fa ridere, se non fosse tragico. 

Eppure, Bevere e Ciavatta – oggi non più seduti su quelle poltrone di vertice dell’ISS – rivendicavano l’investimento come un trionfo dell’innovazione, una “Ferrari”, come la si definii all’epoca. Sì, una Ferrari, ma parcheggiata sotto la tettoia in Eternit di una casa in rovina… Anche Rete, il movimento di Ciavatta, ne andava fiero, sbandierando il robot com eun grande risultato. Ma vediamoli questi risultati: liste d’attesa più lunghe di quelle degli spasimanti di Belen e Michelle Hunziker, reparti sotto stress e un buco nei bilanci che poteva essere creato con investimenti più saggi, come il potenziamento del Pronto Soccorso o la riduzione delle mobilità passive. 

Non è solo una questione di numeri, cari amici del Titano, che vi meritate di meglio. È una metafora perfetta della miopia gestionale che ha afflitto la vostra sanità: inseguire luccichii tecnologici mentre le fondamenta scricchiolano, come un cieco che corre verso un precipizio profumato. Il Piemonte lo ha capito: in un sistema pubblico, l’innovazione deve servire il paziente, non l’ego dei capi che si pavoneggiano con gadget milionari. E se i reali benefici clinici sono limitati, meglio investire in personale, strutture di base, cure accessibili a tutti. Altrimenti, si finisce come quel capitano che compra un sottomarino per navigare un ruscello… E affoga nei debiti prima di salpare. 

A San Marino, quel sottomarino è il Da Vinci, usato per pescare sardine quando bastava una canna da pesca… E magari un pescatore – si fa per dire – sobrio. E mentre i costi di manutenzione e materiali divoravano risorseproiezione annua: 400-750.000 euro, sterilizzazione inclusa, commissionata a Rimini – i cittadini attendevano risposte, con un sorriso ironico stampato in faccia. 

Perché non si scelse il comodato gratuito? Perché si ignorarono gli esempi italiani? E il governo attuale? Sembra accontentarsi di ereditare il problema senza risolverlo, come un erede pigro che vive di rendita. Ma il dibattito nazionale, riacceso dal Piemonte, potrebbe essere l’occasione per un mea culpa collettivo, o almeno per una risata collettiva sull’assurdità. Alcuni vedono la chirurgia robotica come il futuro, altri – me incluso – come un lusso da riservare a casi complessi come la chirurgia toracica, non a ernie inguinali che un chirurgo tradizionale gestisce con maestria e parsimonia, senza bisogno di un circo meccanico. 

In un contesto di pressioni sui bilanci, privilegiare i “medici in carne e ossa” non è arretratezza, ma saggezza, quella che manca a chi confonde progresso con sperpero. Il Piemonte opta per l’essenziale: cure efficienti, accessibili, umane. San Marino, invece, forse ancora persiste in un’illusione costosa, dove i bracci meccanici rubano la scena – e i fondi – a chi davvero salva vite, come ladri in maschera da Capitan Futuro.

È tempo di spegnere le luci sul palcoscenico futuristico e accendere quelle sulle priorità reali. E magari chiedere scusa all’allora Direttore Sanitario, Sergio Rabini, che ha sempre osteggiato quell’investimento… Invano, purtroppo! Altrimenti, il prossimo stop non sarà volontario, ma imposto da un bilancio rosso sangue… 

Enrico Lazzari

 

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