Mentre la protesta dei cittadini divampa sui social -e non solo- conseguentemente al blocco dei sistemi informatici che, da stamattina, bloccano l’accesso alle cartelle sanitarie elettroniche dei sammarinesi compromettendo l’operatività di alcuni settori della sanità pubblica, le annose questioni relative alla gestione dell’Istituto per la Sicurezza sociale sono finite sul tavolo di un Magistrato.
Come scritto qualche giorno fa, infatti, le accuse mosse dall’ex Direttore Generale, Alessandra Bruschi -cavalcate prontamente da una opposizione sempre più “salviniana” e sempre meno razionale e propositiva- hanno trovato una pronta replica in una sorta di relazione presentata dal DG ad interim Sergio Rabini alla Quarta Commissione consigliare in seduta segreta. Ma non solo: precise accuse indirizzate alla Bruschi sono -anzi sarebbero, visto che non esistono conferme ufficiali in materia, ma neppure smentite- in un esposto-denuncia che sarebbe ormai al vaglio di un Magistrato.
Ma i problemi della sanità pubblica sammarinese vanno ben oltre questo ennesimo scontro fra dirigenti ed ex dirigenti che, in fondo, è nulla rispetto i problemi strutturali del comparto. Problemi strutturali ed annosi non sempre responsabilità di politica o di dirigenti. O, perlomeno, non solo: anche i supertutelati dipendenti hanno le loro responsabilità nel grave dissesto e nella non ottimale qualità del servizio e dei servizi forniti.
Scorrendo, ad esempio, lo storico delle indennità per malattia scopriamo che queste hanno un costo annuo di circa 15 milioni. Tantissimo anche se raffrontato alla “sprecona” e vicina Italia. Infatti, un dipendente Iss, in San Marino, in caso di malattia percepisce l’86% dello stipendio per i primi 14 giorni di assenza dal lavoro e il 100% per i successivi fino al 180° giorno.
Ciò determina che, rispetto ad Italia, ovviamente in proporzione, i dipendenti Iss sammarinesi facciano il triplo delle assenze dal lavoro per malattia dei colleghi italiani, a loro volta non certo, in Europa, fra i meno “malaticci”.
Quindi, seppure le criticità importanti sulle quali intervenire per razionalizzare i costi e migliorare il servizio sono molteplici (le affronteremo una ad una nei prossimi giorni) quella da cui partire potrebbe essere proprio questa: ridefinire -ovviamente in maniera razionale e non punitiva- i termini del permesso per malattia.
Del resto, sempre guardando al passato, si vede che ciò è possibile. Qualche anno fa, difatti, si era varata una regola che prevedeva, per i primi tre giorni di malattia, una penalizzazione pesante per i lavoratori, i quali per i primi tre giorni di assenza dal lavoro non percepivano alcuna retribuzione.
Certo, una norma forse “ingiusta” e iniqua, che penalizzava indebitamente anche i dipendenti più presenti, ma che -come confermato da fonti interne alla stessa Iss, determinò un pesantissimo crollo delle assenze per malattia fra i dipendenti della sanità pubblica.
Un crollo che, da solo, conferma come il sistema attuale non disincentivi eventuali abusi favorendo addirittura, forse, qualche “furbetto”.
Alcune malattie, forse, si curano con la sola pressione psicologica della perdita di parte dello stipendio? La risposta sembrerebbe essere sì…
Quindi, in attesa di una complessa e non certo veloce, nei tempi, riforma dell’intero sistema, cosa aspetta un governo serio ad intervenire passo a passo, con misure che permettano in tempi brevissimi di superare le criticità più evidenti, così da razionalizzare al più presto le spese sanitarie e migliorare altrettanto velocemente la qualità del servizio fornito ai cittadini?
Enrico Lazzari
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